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Libia, tra repressione e affari

Di Rosario Cauchi il . Internazionale

Che il rapporto instaurato nel corso del tempo dall’attuale primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, e dalla Guida della Rivoluzione libica, Mu’ammar Gheddafi, sia ferreo, non è certamente una novità.L’ultima manifestazione di un sodalizio, oramai granitico, è andata in scena con la risoluzione della “crisi” dei tre motopesca della marineria di Mazara del Vallo: l’Alibut, il Mariner 10 ed il Vincenza Giacalone erano stati fermati, il 10 Giugno, a trenta miglia marine dalla costa africana, area ritenuta dalle autorità libiche di propria esclusiva competenza.Molteplici trattative, come spesso capita quando si parla di natanti italiani fermati dagli intransigenti guardacoste rivoluzionari, ed alla fine il colpo di scena: il premier italiano giunge in Libia, stringe la mano al fedele amico, e la crisi, miracolosamente, si scioglie come neve al sole. 

Evidentemente, la Guida libica è stata persuasa anche da altri fattori, decisamente più materiali dei valori politici e delle traiettorie marine.Il giorno precedente alla “presa” dei pescatori mazaresi, il 9 giugno, l’autore del Libro Verde era riuscito a strappare l’ennesimo accordo di cooperazione all’Unione Europea, per un totale di 60 milioni di euro.Si tratta, al pari di altri precedenti, di un documento preliminare, denominato Pin, con alla base azioni di convergenza fra gli stati dell’Ue e la Libia; immigrazione, sanità, sostegno economico, educazione ed energia, questi i punti più significativi dell’intesa.La scadenza è stata fissata per il 2013, intanto l’istituzione europea si impegna a versare l’intero ammontare in tranche da 20 milioni annui.Contante sonante assicurato al tuttofare libico, mentre lo stesso, un momento prima di apporre la sua firma all’accordo, disponeva il blocco nel paese delle attività dell’Unhcr, ovvero l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati.Se Michele Cercone, portavoce dell’Alto Rappresentante della Politica Estera Europea, Catherine Aston, si diceva “assai preoccupato anche per l’impatto negativo della decisione”, Adrianus Koetsenrujter, rappresentante in Libia dell’Ue, si felicitava per la firma del Pin.Insomma, qualcosa evidentemente non torna.Ma la Libia di Gheddafi si muove a trecentosessanta gradi, senza fermarsi innanzi a nulla.
La visita del Presidente del Consiglio italiano, connessa, stando alle indicazioni governative, al suo spirito di sacrificio in favore degli interessi del paese, non pare essersi incentrata sulla sola trattativa dei motopesca, tutt’altro.Esattamente all’indomani del rilascio dei natanti siciliani, il presidente di Unicredit, Dieter Rampl, dichiarava “sì, abbiamo presentato richiesta per svolgere le nostre attività anche in Libia, e ora stiamo aspettando una risposta”.Tempistica perfetta verrebbe da dire.Una spedizione assai prolifica quella condotta da Silvio Berlusconi nel paese della Sirte, coincidenze che fanno pensare.D’altronde, non c’è da stupirsi: quando si tratta di affari, la Guida della Rivoluzione non perde occasione per esaltare il suo innato fiuto.La richiesta inoltrata dai vertici di Unicredit non ha nulla di sorprendente, come ribadisce lo stesso Rampl, “anzitutto, la Libia è un paese dal punto di vista del finanziamento dell’import-export e del project financing molto interessante, ed inoltre è un nostro azionista”.
Sì, perché lo stato nord-africano, per il tramite della Central Bank of Libya, detiene una quota pari al 4,613% del capitale della banca italiana.Questa è certamente una delle caratteristiche salienti del nuovo corso della rivoluzione libica: affari e lunghe trattative.

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