Minacce ai giornalisti,
siamo maglia nera d’Europa
L’Italia, uno dei sei storici Paesi Fondatori delle comunità europee, è un esempio, un modello da imitare per i paesi che aspirano ad entrare nell’Unione Europea. E’ un modello in vari campi, ma non per quanto riguarda la libertà di informazione. In questo campo l’Italia è la pecora nera, è da tempo un sorvegliato speciale, e non solo a causa di quello che sinteticamente viene chiamato “il caso Berlusconi”, ma anche a causa dell’elevato numero di giornalisti minacciati. Se ne è avuta l’ennesima riprova lo scorso gennaio, quando il Consiglio d’Europa ha esaminato il Rapporto McIntosh, nel quale oltre a ricordare il conflitto d’interessi del premier e la concentrazione della proprietà dei media televisivi in poche mani, si afferma che in Italia c’è un numero elevato di giornalisti minacciati.
Il rapporto ricorda le minacce di morte rivolte nel 2007 al giornalista Lirio Abbate e allo scrittore-giornalista Roberto Saviano, che da allora vivono sotto scorta. Il relatore cita le parole di alcuni magistrati italiani secondo i quali “le minacce di morte e le aggressioni vengono usate comunemente da elementi criminali, inclusa la mafia, per forzare i giornalisti italiani a tacere”. Il Consiglio d’Europa ha chiesto perciò a tutti i Paesi membri e ai loro governi più impegno per garantire l’incolumità dei giornalisti. Un analogo appello è stato lanciato lo scorso marzo dal Rapporto UNESCO sulla libertà di informazione, che cheide provvedimenti e iniziative per mettere fine mette alla sostanziale impunità di cui gode chi minaccia, aggredisce o uccide un giornalista.
In Italia queste importanti prese di posizione non hanno avuto nessuna risonanza. Eppure proprio negli stessi giorni, nel nostro paese si è manifestata una impressionante recrudescenza del fenomeno: nuove gravi minacce, ritenute attendibili dagli inquirenti, sono state rivolte a Lirio Abbate; un plateale atto di intimidazione è stato compiuto in pieno giorno nei confronti di Rosaria Capacchione; in Calabria cinque giornalisti (Francesco Mobilio, Michele Albanese, Francesco Cutrupi, Antonino Monteleone, Giuseppe Baldessarro) sono stati bersagliati, uno dopo l’altro, in provincia di Reggio Calabria nell’arco di sessanta giorni; alcune troupes televisive sono state minacciate a Rosarno dopo i gravi scontri durante i quali sono stati feriti 37 immigrati. Altri gravi episodi si erano verificati nei mesi e nelle settimane precedenti in varie parti d’Italia, senza che se ne avesse una adeguata rappresentazione sui media: in provincia di Foggia, contro un giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno di San Severo, e a Orta Nuova contro Gianni Lannes, che a dicembre ha ottenuto una protezione di polizia; a Treviso, dove Fabio Fioravanti ha ricevuto minacce telefoniche durante una trasmissione televisiva in diretta; a Udine, dove un giornalista ha ricevuto una busta con un proiettile; a Roma, dove due giornalisti televisivi, Nello Rega e Guido Ruotolo, hanno ricevuto gravi intimidazioni; e ancora altri casi a Napoli, a Palermo, a Genova, a Firenze, a Torino…
Dopo questi episodi, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha sollecitato l’attenzione delle forze politiche e del governo su una situazione “ormai non più tollerabile”. Non è in gioco solo un problema di protezione dei giornalisti, ha fatto osservare il sindacato dei giornalisti, ma anche di libertà, poiché “colpendo ed intimidendo l’informazione si colpisce e si mortifica la democrazia”. Ma neppure questo appello ha ottenuto la dovuta attenzione.
Proprio per rompere questo muro di silenzio e di indifferenza nel 2008 insieme ad alcuni giornalisti particolarmente sensibili a questo tema (fra loro Roberto Natale, Lorenzo del Boca, Lirio Abbate, Angelo Agostini, Roberto Rossi, Luciano Mirone) abbiamo fondato “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio promosso dalla FNSI e dall’Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza in Italia, che nel 2009 ha pubblicato il primo rapporto annuale nel quale si segnala, con una valutazione per difetto, che nel 2006-2008 nel nostro paese almeno duecento giornalisti sono stati minacciati, intimiditi, o bersagliati da esose richieste di risarcimento per avere raccontato i fatti esprimendo la loro opinione e il loro punto di vista.
E’ evidente che un clima di intimidazione così diffuso non dovrebbe essere tollerato. Dovrebbe essere contrastato in ogni modo, perché ostacola e a volte rende impossibile il lavoro dei giornalisti, il loro compito di fornire una informazione attendibile, critica, senza omissioni, particolarmente approfondita nei confronti dei personaggi pubblici. Questo clima di intimidazione purtroppo esiste, e la paura spinge molti giornalisti a far finta di non vedere le notizie più delicate. In altre parole, li spinge a rifugiarsi nell’auto-censura. Tacendo certe notizie si evitano i rischi più gravi, ma viene meno la funzione sociale dell’informazione che in una società democratica è essenziale, viene negato il diritto dei cittadini di ricevere senza censura tutte le notizie di rilevante interesse generale.
Un diritto sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo. Per capire l’effetto dell’oscuramento delle informazioni basta chiedersi: si possono fare scelte politiche motivate e consapevoli senza conoscere i fatti? Ecco perché è importante parlare di queste cose. Parlarne, certamente, a ragion veduta e senza esagerazioni. Dicendo chiaramente come stanno le cose. Ad esempio, che in Italia le minacce ai giornalisti anche se non hanno le dimensioni del massacro che si è avuto in Russia, dove dal 1989 sono stati assassinati quasi trecento giornalisti, ma hanno forme più subdole, non possono essere sottovalutate, perché il loro numero non ha eguali, per estensione e gravità, negli altri 26 Paesi membri dell’Unione Europea, e perché si realizzano con forme subdole difficili da contrastare con gli attuali strumenti. Il nostro Rapporto Ossigeno consegnato il 20 luglio 2009 al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed oggi disponibile sui siti www.fnsi.it e www.odg.it , dimostra, con una diagnosi dettagliata e circostanziata, qual è la dimensione e la specificità del caso italiano.
Il richiamo del Consiglio d’Europa, l’allarme dell’UNESCO e l’appello del sindacato dei giornalisti sono dunque pienamente motivati. Fanno capire che l’Italia è proprio uno di quei Paesi di cui parla il Rapporto UNESCO del 25 marzo 2010: paesi che non sono in guerra, nei quali formalmente vige la libertà di stampa e di espressione, ma nei quali di fatto è pericoloso fare inchieste e pubblicare notizie scomode, non gradite dai potenti o dai criminali.
In Italia la libertà di stampa è meno libera soprattutto nei territori in cui le mafie sono più radicate: in queste terre è più rischioso trattare certe notizie, in particolare quelle che coinvolgono affari in corso fra criminalità, politica e mondo economico. Notizie di rilevante interesse per i cittadini, notizie come le altre, tranne per un fatto: i protagonisti vogliono tenerle segrete perché riguardano affari che possono svolgersi solo nel buio informativo e finché non interviene qualcuno per fare rispettare la legge. Perciò questi affaristi e i loro amici criminali fanno pressioni sui giornali e sui giornalisti, lanciano avvertimenti, fanno minacce e spesso riescono nel loro intento, oscurando importanti informazioni.
E’ un grave problema sociale di cui non si parla abbastanza. Molti casi di censura violenta restano ignoti, e quando sono conosciuti i minacciati non riescono ad ottenere la solidarietà e la giustizia che dovrebbero essere scontate. Tutti i giornalisti intimiditi o minacciati vivono una condizione assurd
a, di isolamento e di emarginazione, che non ha alcuna giustificazione. Tranne rare eccezioni, le vittime sono trattate con diffidenza anche dagli altri giornalisti e, a volte, sono trascurate dagli stessi organismi della loro categoria.
a, di isolamento e di emarginazione, che non ha alcuna giustificazione. Tranne rare eccezioni, le vittime sono trattate con diffidenza anche dagli altri giornalisti e, a volte, sono trascurate dagli stessi organismi della loro categoria.
E’ un riflesso della negazione del problema nei termini generali: i minacciati sono la dimostrazione vivente di un fenomeno che, dichiaratamente, non esiste. La relazione con il giornalista minacciato si realizza cioè in quella forma che nella teoria del linguaggio si chiama disconferma: ignorando il suo dramma, gli altri giornalisti dicono implicitamente al giornalista minacciato: “Tu non esisti”. Come può un giornale – o un organismo di categoria – occuparsi seriamente di un giornalista che non esiste? Come potrebbe occuparsene senza ammettere che ce ne sono tanti altri come lui, che il suo caso configura un problema più grande del quale non si è mai parlato e del quale non si ha voglia di parlare? E’ più semplice non parlarne mai. Ma a volte la cronaca costringe un giornale a parlare di queste cose: accade quando il minacciato è un personaggio noto, dotato di visibilità pubblica, o quando nel mirino entra un giornalista della propria testata. Ma anche in questi casi si minimizza, si isola il caso dal contesto, si parla solo di quel minacciato ed, eventualmente, di altri minacciati riconducibili al proprio giornale. I giornalisti minacciati così diventano invisibili, anche quelli che vivono vicino a noi, più vicino di quanto pensiamo noi, accecati dalla convinzione che queste cose da noi non possono accadere. In Italia fino a poco tempo nessuno si era preoccupato di raccogliere tutte le tessere del mosaico, di comporle, di contarle, di rappresentare la natura e la dimensione del fenomeno. L’osservatorio Ossigeno ha cominciato a colmare questa lacuna
Alberto Spampinato (Consigliere nazionale Fnsi, direttore del progetto “Ossigeno per l’informazione”, Osservatorio Fnsi-Odg sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate In Italia)
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