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Gaza: la più palese violazione dei diritti tollerata

Di Tonio Dell'Olio il . Internazionale

Al momento in cui scrivo, sembra
che si sia ormai placato lo sdegno
che internazionalmente si era manifestato
sui giornali e nelle piazze
per l’attacco israeliano alla nave dei pacifisti
diretta a Gaza. L’ombra lasciata cadere
sui pacifisti facinorosi che avrebbero aggredito
i militari israeliani, la falsa consapevolezza
che la nave volesse semplicemente fare
un’azione dimostrativa per attirare l’attenzione
sulle condizioni degli abitanti di Gaza,
la polvere mediatica che inevitabilmente
si accumula sui fatti per dar spazio ad altre
vicende avvenute nel frattempo, sono tutte
ragioni plausibili per giustificare il silenzio
che lentamente sta lasciando scivolare la notizia
dalle prime pagine a quelle interne, dalle
quattro colonne al trafiletto. Avviene così che
si dimentica, insieme ai fatti, anche la loro
gravità. Oltre ai diretti interessati e alle loro
famiglie, chi non riesce a dimenticare sono
gli abitanti di Gaza costretti alla realtà da
condizioni di vita che nulla hanno di umano.
Sono la più palese e costante violazione dei
diritti umani tollerata sulla faccia della terra. 

Eppure è esattamente su questo che converrebbe
soffermarsi, altrimenti si rischia di non
comprendere il significato dei fatti accaduti.
Sopraffatti dalla gravità del gesto o distratti
dall’analisi geopolitica, corriamo seriamente
il rischio di dimenticare che quella nave
stava cercando di attraccare in un porto della
Striscia di Gaza dove alle persone è negata
la libertà di recarsi in un ospedale per farsi
curare, di acquistare beni di uso comune, di
ricostruire la propria casa distrutta dai bombardamenti
dell’aviazione israeliana. In poco
più di una ventina di persone, lo scorso ottobre,
nel corso dell’iniziativa Time of responsabilities,
riuscimmo ad ottenere il permesso
di entrare nella Gaza Streep e ci rendemmo
conto dal vivo di come Gaza sia realmente
una prigione a cielo aperto. 
Visitammo alcune
scuole, vedemmo le pareti squarciate dalle
bombe e incontrammo bambini, tanti bambini.
Restammo impressionati dalla distruzione
totale che è stata operata scientificamente di
interi quartieri. Nelle nostre orecchie solo il
rumore delle ruspe che scavavano e dei camion
che trasportavano detriti. Ricordammo
l’eccidio di Samuni, un’area in cui quaranta
persone erano state condotte dai soldati israeliani
in una casa e bombardati subito dopo.
Non si salvò nessuno. Secondo gli israeliani
era di qui che partivano alcuni dei missili
puntati contro Sderot. 
Mi permane comunque
il dubbio che potessero avere qualche responsabilità
anche i bambini di pochi anni e di pochi
mesi che furono uccisi con gli altri. Dal
27 dicembre dello scorso anno fino al 17 gennaio
successivo i raid israeliani provocarono
la morte di oltre 1400 persone e il ferimento
di altre 5400, in gran parte civili, per almeno
un terzo donne e bambini. Stiamo parlando
del lembo di terra più densamente popolato
del pianeta con un milione e mezzo di abitanti.
Se non si fa riferimento chiaro a questa
situazione, non si comprende l’iniziativa di
una nave che cerca di rompere l’embargo. Gli
abitanti di Gaza convivono quotidianamente
con una precarietà infernale che non lascia
scampo. Una situazione senza apparenti vie
d’uscita se non quella della solidarietà e della
politica internazionale. La prima, oggi è vittima
di una fitta serie di ostacoli interposti da
Israele e motivati sempre dalla necessità di
sicurezza per lo stesso Israele. La seconda,
sembra paralizzata dalla cattiva coscienza
dell’antisemitismo, da interessi economici
verso il piccolo Stato di Israele, dalla paura
di destabilizzare la regione indebolendo
“l’unico governo democratico” dell’area
mediorientale. 
Lo scandalo vergognoso del
governo italiano che alle Nazioni Unite arriva
addirittura a votare contro l’istituzione
di una commissione indipendente in grado di
accertare la verità dei fatti e le responsabilità
conseguenti, è la prova tangibile di quanto la
diplomazia internazionale (quella italiana in
modo particolare) sia vittima di altri interessi
che non siano quelli degli abitanti di Gaza.
C’è un’incapacità vergognosa di riuscire a
valutare i fatti e la storia a partire dalle vittime.
Don Tonino Bello ci ricordava l’importanza
di “guardare il mondo avendo in corpo
l’occhio del povero” e ci rendiamo conto di
quanto sia vitale oggi per il mondo stesso che
tutti adottino quest’unica prospettiva. Solo
da questo punto di osservazione hanno senso
le richieste di istituire la commissione d’inchiesta,
di sottrarre assistenza, forniture e
cooperazione militare a Israele, di pretendere
la fine dell’embargo ai danni della popolazione
di Gaza, di riprendere negoziati seri con
l’aiuto di Paesi terzi. E’ l’unica alternativa a
chi continua a credere e praticare una soluzione
militare che non sembra destinata a ottenere
alcun altro risultato se non distruzione
e morte. “Se ti dimentico, Gerusalemme, si
paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua
al palato, se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni
mia gioia”. Il Salmo 137 oggi non può che
suonare come un’invocazione per gli abitanti
di Gaza.

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