Contro l’ignoranza di regime
Bum, bum, bum. I percussionisti di Santa Cecilia aprono il pomeriggio di protesta che a Roma in piazza Navona, come in numerose altre piazze italiane, ha visto il mondo della cultura mobilitarsi contro i tagli previsti nella manovra correttiva e nel decreto Bondi. Tagli ingiustificati e sproporzionati, denunciano gli organizzatori. Cgil, Cisl, Uil, il Movem09, Fnsi, Usigrai. Tutti in piazza a protestare. Attori di cinema, teatro e televisione, produttori, scrittori, tecnici del suono, montatori, cantanti, studenti delle scuole specialistiche che rischiano di scomparire. Tutto un mondo sul piede di guerra che rischia di scomparire.
«La cultura è un diritto, la cultura è una risorsa», campeggia sullo sfondo del palco lo slogan della manifestazione. Una folla eterogenea che sfida il calore cocente per difendere la cultura italiana. La manovra finanziaria, infatti, nonostante gli aggiustamenti promessi dopo l’intervento del Capo dello Stato, rischia di vedere evaporare quei finanziamenti pubblici che le permettono di sopravvivere. Produzioni teatrali, cinematografiche, musicali, televisive, tutte appese sul filo del rasoio della discrezionalità del ministro della cultura.
«Chi ci ha ridotto a terra come giovani, studenti e cittadini ci vedrà rialzare in piedi», urla la rappresentante degli studenti del Centro sperimentale di cinematografia di Roma, la scuola di cinema più antica al mondo che rischia di chiudere grazie ai tagli. Nel frattempo uno striscione nero, come il futuro che attende questi studenti, si alza in aria portato dalle correnti verso palazzo Madama: «cultura: omicidio di stato».
«Il taglio del 50% dei fondi della cultura – denuncia il Movem – dimostra l’indifferenza dei politici nei confronti della crescita culturale del nostro Paese». Un disegno che per il Movem, il Movimento Emergenza Cultura – una sigla trasversale che raggruppa attori di cinema, teatro e televisione, mira a ridurre la cultura ad un «mero tappetino per desideri più o meno beceri».
Fanno sentire la loro voce anche i rappresentati degli enti lirici italiani. Cantanti e musicisti del Teatro dell’Opera di Roma, della Scala di Milano, dell’Arena di Verona, del Teatro Carlo Felice di Genova, del San Carlo di Torino, del Petruzzelli di Bari, scaldano i manifestanti intonando l’inno di Mameli e il “Va Pensiero” di Verdi, denunciando, anche loro, il rischio che i teatri italiani chiudano i battenti. Per mancanza di fondi, s’intende. Ma anche perchè il voler imporre una «gestione culturale in termini ragionieristici significa strangolare progetti creativi e produttivi». Quindi opportunità di crescita e di sviluppo, proprio quelle che i tanti giovani presenti in piazza vedono sfumare.
I tagli alla cultura, infatti, sono ancora più gravi e dannosi se si considera l’attacco concentrico contro la scuola pubblica, le Università, la ricerca scientifica. Tutte armi che un paese desideroso di riprendersi dalla crisi dovrebbe avere in dotazione.
Cultura e formazione garantiscono, infatti, innovazione e sviluppo, possibilità di avere orizzonti più ampi e nuove e fresche risorse da investire. Un paese normale taglierebbe gli sprechi, non la cultura.
In un paese normale sarebbe, anzi, prioritario investire, quindi spendere in questi settori. In Italia no. In Italia è prioritario chiudere le fonti di circolazione del libero pensiero, siano produzioni cinematografiche, opere liriche e teatrali, musica, ma anche libri e informazione. Non è affatto strano che la scuola e il mondo della cultura siano feriti a morte contemporaneamente al mondo dell’informazione e dell’editoria.
La reazione, come dimostrato dalla presenza in piazza della Fnsi, di Articolo 21 e di molti giornalisti, deve essere le più ampia possibile, perchè il Bavaglio c’è e colpisce tutti.
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