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La civiltà del libro contro il Ddl intercettazioni

Di Gaetano Liardo il . L'analisi

«La civiltà del libro è la parte
del Paese che non sceglie di
abdicare alla libertà di pensare
». E’ con queste parole,
che fanno esplodere in un boato il Teatro Quirino
di Roma, che prende il via l’iniziativa di
editori, scrittori, giornalisti a tutela della libertà
di informazione e del diritto ad essere informati.
Una mobilitazione nata al Salone del Libro di
Torino su iniziativa di tre editori, Laterza, Minimun
Fax e Mauri Spagnol, che ha registrato
l’adesione convinta di oltre cento editori italiani.
«Da quando si è materializzato l’appello contro
la legge bavaglio – proclama il giurista Stefano
Rodotà – abbiamo ritrovato l’opinione pubblica,
rompendo l’incantesimo del sondaggio». Tuttavia,
sottolinea, questa legge farà si che «tutto
ciò che è atto giudiziario, non solo le intercettazioni,
non sarà più pubblicabile». Toni duri
quelli di Rodotà che aggiunge: «sta avvenendo
qualcosa di inaccettabile. La legge sulle intercettazioni
è un punto che conferma la revisione
strisciante della Costituzione». Di quella parte
della Costituzione «che a parole si dice intoccabile,
ma che nei fatti viene svuotata». «La
Costituzione nella parte delle libertà è a rischio
– conclude – e noi dobbiamo impedire questa
revisione». 

Sulla stessa linea d’onda il costituzionalista
Alessandro Pace, che insiste nel voler definire
in modo corretto il concetto di libertà. «La
libertà – spiega – è la manifestazione della
propria personalità tutelata nella nostra Costituzione
dagli articoli che vanno dal 13 al 54».
Il termine libertà, tuttavia, viene troppo spesso
utilizzato in modo improprio. Marina Berlusconi,
uno degli editori che non ha firmato l’appello
contro la legge bavaglio, sulla polemica che il
premier ha innescato attaccando Roberto Saviano,
si giustifica dicendo che anche il padre ha la
libertà di fare critiche. Classico esempio di un
termine utilizzato in modo improprio. «Quando
parla Berlusconi contro Saviano – sottolinea
Pace – non si tratta della manifestazione della
sua personalità, bensì di esercizio di potere».
Il premier, infatti, non è un cittadino come tutti
gli altri perchè ha la capacità di influenzare
l’opinione pubblica. «Dal ddl intercettazioni –
conclude Pace – viene danneggiato il processo
circolare delle informazioni. Si prosciugano –
cioè – le fonti liberamente accessibili dell’informazione
».
 Dopo la lezione introduttiva dei due studiosi,
iniziano le letture di scrittori: romanzieri, poeti,
giornalisti, storici, tutto il mondo del libro che
indignato, reclama la cancellazione del bavaglio
all’informazione. Andrea Camilleri, Corrado
Augias, Antonio Pascale, Giovanni Sartori,
l’editore Ferri, Nadia Urbinati, Rosetta Loy,
Guido Crainz, Dacia Maraini, Igiaba Scebo,
Marco Travaglio, Gianrico Carofiglio. Esperienze
diverse, sensibilità differenti, accomunate
però dalla tutela della libertà nel nostro paese.
Così Camilleri che legge la lettera del Rettore
dell’Università di Padova, Concetto Marchesi,
scritta nel 1943. «Stiamo difendendo la libertà
di informazione – commenta – ma rischiamo di
non avere più informazioni. Lo scopo principale
di questa legge è – infatti – di mettere gli inquirenti
nell’impossibilità di fare intercettazioni».
Augias legge dei passaggi di John Stuart Mill
tratti dal “Saggio sulla libertà”. Lo scrittore casertano
Antonio Pascale legge degli stralci di
un’intervista a Gherardo Colombo su tangentopoli,
un articolo di Deaglio sulla stagione delle
stragi, e l’intero “botta e risposta” al Parlamento
Europeo tra Schultz e il Berlusconi dell’infelice
“battuta” sui kapò. Marco Travaglio legge le
cronache di Indro Montanelli da Budapest durante
l’invasione sovietica del 1956, esempio di
giornalista capace di difendere le proprie idee e
di raccontare i fatti, anche se scomodi per i propri
lettori. Cosa che, purtroppo, molti giornalisti
non sanno più fare. 
Il politologo Giovanni Sartori, critico storico
della “videocrazia” berlusconiana, dichiara
amareggiato: «stiamo discutendo sulla possibilità
di sopravvivenza, in queste condizioni, di
un sistema democratico». «La democrazia – aggiunge
– è il governo dell’opinione. Può essere
tante cose, ma sicuramente deve essere un governo
appoggiato e consentito da un’opinione
pubblica interessata, attenta e consapevole sulla
gestione della cosa pubblica». L’italiano, purtroppo,
è diventato un “animale vedente”, per
cui esiste soltanto ciò che vede, e ciò che non
vede non ha diritto di cittadinanza. In questo
modo «l’italiano non sa più nulla del mondo, e
sa tante cose false sull’Italia».
Un mondo, quello del libro, sul piede di guerra.
Consapevole che se il disegno di legge Alfano
dovesse diventare legge a tutti gli effetti
scomparirebbe l’informazione dal nostro Paese.
L’italiano si trasformerebbe così in un animale
cieco, in balia del potere. Una situazione grave
che porterebbe all’estinzione della democrazia
in Italia.

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