Matteo Messina Denaro: richieste di condanna per i complici
C’è un processo in corso a Trapani, con poche parti civili costituite: Confindustria Trapani e per il rotto della cuffia il Comune di Campobello che solo dal giornale ha detto di avere appreso dell’avvio del dibattimento e in tutta fretta è corso ai ripari (non senza accusare i giornalisti che avevano sottolineato come a Trapani, talvolta, l’antimafia resta «parolaia» se poi non conseguono azioni concrete, come il costituirsi parte civile in processi contro presunti mafiosi).
Gli indagati sono sotto accusa per intestazione fittizia di beni, favoreggiamento e traffico di droga. Cinque le persone coinvolte nella prima fase dell’operazione «Golem» che da ieri compaiono dinanzi al gup di Palermo per il processo col rito abbreviato. Avrebbero fatto parte di una delle «cerchie» di complici a disposizione del latitante Matteo Messina Denaro. Ieri i pm della Dda di Palermo, Paolo Guido e Sara Micucci, hanno chiesto la loro condanna, richieste di pena ridotte di un terzo, considerato che gli imputati hanno scelto un rito alternativo a quello ordinario. Ma pur sempre richieste di condanna pesanti per complessivi 32 anni e 6 mesi. Di traffico di droga rispondono Domenico Nardo e Giuseppe Arcà, i magistrati hanno chiesto rispettivamente condanne a 7 anni e a 8 anni. Di intestazione fittizia di beni e favoreggiamento rispondono gli altri indagati: Franco Indelicato, richiesti 10 anni, Giuseppe Indelicato, 4 anni e Lea Cataldo, 3 anni e sei mesi. Le difese adesso parleranno il prossimo 6 luglio. L’indagine approdata al gup originariamente comprendeva anche Leonardo Bonafede e Franco Luppino, tutti e due di Campobello di Mazara, lrinviati a giudizio davanti al Tribunale di Marsala per associazione mafiosa.In questo processo è raccontata l’evoluzione più recente della mafia trapanese, diventata impresa, «supercosa» nelle mani di Messina Denaro che sarebbe riuscito a tenere riservate una serie di affiliazioni, mantenendo attive quelle antiche, storiche, come quelle impersonate da Bonafede e Luppino. E tra le figure emerse quella del romano, Mimmo Nardo, pregiudicato, uomo abituato a frequentare “vip” dello spettacolo, ritenuto dagli investigatori anche un «fine» falsario, sarebbe stato il «tipografo» a disposizione di Matteo Messina Denaro, al boss potrebbe avere fornito un passaporto per permettergli suoi spostamenti all’estero. Nardo si sarebbe occupato di un traffico di droga tra Roma e la provincia di Trapani.
Questi come il resto degli indagati dell’operazione Golem hanno lasciato «tracce» nelle intercettazioni, sono stati ascoltati parlare di «pizzini» e di contatti con diversi soggetti. Tre indagati nel frattempo hanno scelto il patteggiamento per definire le loro pendenze, e cioè Leonardo Ferrante, partannese di 65 anni, ed i castelvetranesi Giovanni Salvatore Madonia, 44 anni e Mario Messina Denaro, 57 anni: la pena definita per ognuno di loro è stata di 5 anni. Alcuni di questi soggetti avrebbero avuto nel tempo contatti con esponenti politici di Campobello di Mazara e parte dell’indagine «Golem» è anche finita al centro di una ispezione avviata dalla Prefettura per valutare l’inquinamento mafioso. Una ispezione che si conclusa proprio con la proposta di scioglimento avanzata dal prefetto Trotta al ministro Maroni, proposta però che non ha avuto seguito. Uno dei nomi coinvolti nella prima fase dell’operazione antimafia «Golem» fu quello di un funzionario della Regione Sicilia, Mimmo Coppola, imparentato con soggetti nel tempo finiti sotto indagini antimafia. Le accuse per Coppola erano «pesanti», avrebbe gestito il passaggio di «pizzini», sarebbe stato un soggetto «contattabile». Lui però denunciato dalla Squadra Mobile diretta da Giuseppe Linares, «graziato» dal gip che non concesse l’arresto, ma solo l’avviso di garanzia, alla fine è uscito dall’indagine con una richiesta di archiviazione presentata dai pm della Dda di Palermo. Prove sufficienti per il dibattimento la Dda di Palermo ha ritenuto non averne, e ha preferito chiudere il fascicolo.
Ma questo capitolo di indagine, che affronta il nodo delle complicità raccolte nella cosidetta «zona grigia», quella dei professionisti e dei burocrati non per forza «punciuti», resta ugualmente valido a dimostrare la possibilità del boss latitante Matteo Messina Denaro di potere contare su una rete di complici insospettabili. Qualcuno, come il procuratore aggiunto Antonio Ingroia colloca questi «complici», in generale, come rappresentanti dei cosidetti «poteri forti». C’è un’altro aspetto delle indagini «Golem» che chiama in causa «poteri forti» nella latitanza del capo mafia belicino. Questo è raccolto all’interno di quella parte dell’inchiesta che ha visto esistere contatti tra l’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino» e soggetti del servizio segreto civile. Una indagine non del tutto conclusa, la Dda di Palermo ha chiesto infatti alla presidenza del Consiglio di potere usare le intercettazioni dove agenti dei servizi sono stati sentiti parlare con Vaccarino che nel frattempo era in «corrispondenza» col boss latitante. Ruolo dei servizi, come quello di Vaccarino, mai del tutto chiarito, ma anche in questo caso è intervenuta l’archiviazione dell’indagine a carico di Vaccarino, «salvato» dal Sisde che lo ha qualificato come proprio «informatore».
Il procuratore aggiunto della Dda Antonio Ingroia ha confermato nei giorni scorsi che nelle indagini in corso per la cattura di Messina Denaro si colgono elementi che confermano ciò che avevano già colto gli investigatori della Squadra Mobile trapanese – che lavorano nel pool apposta orgabnizzato assieme a Squadra Mobile di Palermo e Sco, servizio centrale operativo – e ciò di «collaborazioni ad alto livello» delle quali potrebbe godere Messina Denaro. «Il boss – dice Ingroia – si muove in un territorio, la provincia di Trapani, difficilmente permeabile a fenomeni di collaborazione da parte di affiliati a Cosa Nostra». Arresti che hanno fatto terra bruciata, ma non c’è ancora il «colpo» deifnitivo: «Cosa Nostra trapanese – ha detto il procuratore aggiunto Teresa Principato che coordina le indagini antimafia nel trapanese – è connotata da aspetti tradizionali, è una Cosa Nostra ortodossa, si caratterizza per l’appartenenza degli affiliati fino alla morte e questo consente all’esercito mafioso di mantenere inalterata la propria pericolosità».
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