Al servizio di chi?
Prima ha consegnato la sua preoccupazione ai microfoni del Gr Rai e poi si è ripetuto anche nel corso dell’audizione davanti al COPASIR, il comitato parlamentare che si occupa dei servizi segreti. Il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, è stato costretto, probabilmente suo malgrado, a dichiarare che sono in corso di svolgimento accurate indagini sul ruolo svolto da uomini dei servizi in quegli anni cruciali nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.
Una rilettura che parte dal fallito attentato all’Addaura del giugno 1989 per arrivare alle stragi del biennio di fuoco, quello che copre il 1992 e il 1993. Sotto i riflettori sarebbero le azioni, le omissioni, le relazioni di chi era chiamato, per il giuramento di fedeltà alla Repubblica, a servire il Paese e la Costituzione e che, invece, sembrerebbe aver fatto da sponda consapevole e complice alle azioni criminali della mafia, per proprio tornaconto personale o forse per avere salva la vita, mentre in quegli anni altri loro colleghi delle forze dell’ordine venivano spazzati via dalla furia omicida di Cosa Nostra o rimossi per vie burocratiche.
Contemporaneamente, Lari si è anche lamentato delle fughe di notizie che in questi ultime settimane si succedono a cadenza periodica, a partire proprio dalla rilettura delle vicende dell’Addaura, perché danneggerebbero oggettivamente i delicati accertamenti in corso che, meglio sarebbe stato ovviamente, si svolgessero nel riserbo più assoluto. Invece, in questo momento, le procure siciliane, in particolare quella nissena, sembrano tornate ad essere un colabrodo, con il risultato che tutto finisce nel circuito mediatico senza alcun tipo di controllo, in presa diretta. Il risultato è controproducente e spesso e volentieri indigesto, perché incomprensibile ai più, sprovvisti di quella conoscenza e memoria necessaria per interpretare fatti così complessi. E se anche l’informazione contribuisce ad ingarbugliare il quadro, rischia di essere sempre più irraggiungibile l’accertamento della verità in sede giudiziaria.
Il riferimento diretto di Lari è agli scoop giornalistici relativi alla riapertura delle indagini sulla mancata strage dell’Addaura, a partire dagli accertamenti che in queste settimane si stanno facendo, grazie anche alla collaborazione di alcuni uomini d’onore pronti a dire quello che sanno ai magistrati. Nuove prove del DNA sarebbero oggetto di prossimi incidenti probatori, per cercare di arrivare a dare un volto a chi mise sulla scogliera antistante la villa al mare di Giovanni Falcone l’esplosivo che avrebbe dovuto uccidere il giudice palermitano e i colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehman.
Non si è ancora spento l’eco delle parole di Lari, ed esce la notizia che, proprio in queste ultime ore, viene rilanciata dagli inviati de “La Repubblica”: l’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati delle Procure della Repubblica di Caltanissetta e Firenze del famigerato “signor Franco”, il personaggio indicato da Massimo Ciancimino come l’interlocutore istituzionale del padre, quel don Vito che da sempre rappresentava il punto di contatto tra la politica e Cosa Nostra.
Il figlio di Ciancimino, sarebbe stato ascoltato dai magistrati nisseni e fiorentini in tutta fretta nei giorni scorsi e avrebbe proceduto anche al riconoscimento fotografico del “signor Franco”, l’esponente dei servizi segreti che, fin dagli inizi degli anni Settanta, sarebbe stato in strettissimo contatto con suo padre, giocando un ruolo assolutamente ambiguo.
Se costui fosse davvero quello che Massimo Ciancimino sostiene essere, ci troveremmo di fronte ad un esponente dello Stato, da un lato e di quella “zona grigia”, dall’altro, che ritorna periodicamente sul banco degli imputati: il terminale delle vicende più buie della nostra democrazia.
È un dato di fatto che tutte le volte che si chiamano in causa le responsabilità dei servizi segreti, dalle vicende del terrorismo alla strategia della tensione per arrivare alle stragi, passando per gli omicidi di mafia, si avverte netta l’impressione di dover arrendersi di fronte all’impossibilità di arrivare ad una verità, finendo per mettere in dubbio anche le poche certezze fino a quel momento raggiunte a fatica.
Ci auguriamo ovviamente che non si ripeta lo stesso anche questa volta, ma purtroppo i prodromi ci sono tutti, compreso un mal interpretato ruolo dell’informazione e una strumentalizzazione dei rapporti che naturalmente intercorrono tra magistrati e giornalisti. Strumentalizzazione che in queste settimane vive un cruciale banco di prova in materia di intercettazioni e limiti al diritto di informazione nel nostro paese.
Vogliamo dire che se giustamente Lari lamenta la fuga di notizie e paventa il rischio di inquinamento delle fonti di prove, che dovremmo allora dire delle affermazioni del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che, intervenendo durante le commemorazioni ufficiali della strage di via dei Georgofili, in un primo momento dichiara che le stragi del 1993 avevano lo scopo di dare“la possibilità ad una entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica, sociale che veniva dalle macerie di Tangentopoli”, salvo poi precisare, soltanto a distanza di qualche ora, che le sue erano “ipotesi e ragionamenti”?
Non è proprio questo genere di dichiarazioni e smentite che servono ad alzare polveroni che durano lo spazio di una giornata, senza arrivare poi ad un punto fermo? Lo stesso avvenne ad ottobre dello scorso anno, quando il procuratore nazionale antimafia dichiarò che la trattativa avrebbe salvato la vita ad alcuni ministri della Repubblica, salvo poi minimizzare le dichiarazioni rese.
È sicuramente ipotizzabile che a giovarsi di questo continuo tourbillon di detto e non detto, di smentito e di denunciato siano proprio i mandanti delle stragi palermitane. Sarebbe invece ora che si puntassero decisamente i riflettori su quei luoghi dove l’esercizio del potere in forma occulta e fuori da ogni controllo democratico è la regola. Per capire “al servizio di chi” erano e sono i servizi segreti dell’Italia repubblicana.
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