C’è un Paese che vuole sapere
Quando il giornalista Pippo Fava veniva ucciso a Catania nel gennaio del 1984 dalla mafia, lei era poco più che una adolescente. Frequentava il liceo da qualche anno e leggeva il giornale “I Siciliani” , diretto da Fava. Quando il direttore venne ucciso, fu fra le organizzatrici della manifestazione che si ribellò al potere mafioso che comandava a Catania. Una scelta da partigiana in terra di mafia, quella della giornalista Antonella Mascali. Una decisione che ne ha guidato il percorso che dalla redazione de “I Siciliani nuovi”, l’ha portata a Milano ai microfoni di Radiopopolare, e oggi a collaborare con il Fatto quotidiano. Con Antonella Mascali, al Festival del giornalismo d’inchiesta di Marsala, il punto sulle indagini delle stragi del ’92 – ’93 e il ruolo dell’informazione d’inchiesta nel Paese.
18 anni fa le stragi di Capaci e via d’Amelio. Poi a seguire, l’anno dopo, una serie di attentati a Firenze, Milano, Roma. Da pochi mesi sono state riaperte le indagini, cosa sta accadendo?
Questo è un momento favorevole per cercare tutta la verità sulle stragi del ’92 e del ’93. E in particolare sulla strage di Via d’Amelio, questo perchè c’è una sinergia fra la procura di Palermo e quella di Caltanissetta. Un’intesa che non c’era diciotto anni fa, a causa di diverse vedute dei vertici delle due procure, una di Palermo guidata dal procuratore Giancarlo Caselli e l’altra di Caltanissetta con a capo il procuratore Tinebra, lo stesso che volle, nonostante parere contrario del magistrato Luca Tescaroli (che si occupò del processo sui mandati esterni di via d’Amelio) l’archiviazione. Adesso c’è una collaborazione, uno scambio di informazioni fra le due procure, guidate a Palermo da Messineo e nel nisseno da Lari, quest’ultimo magistrato proveniente proprio dal capoluogo siciliano, collega di Ingroia e di Di Matteo. Ricordo, in particolare, che a Palermo si indaga nel processo a Mario Mori e Mauro Obinu sulla mancata cattura di Provenzano (con le deposizioni sulla trattativa) e a Caltanissetta sui mandanti esterni delle stragi.
Si indaga anche sul fallito attentato all’Addaura nell’estate del 1989. In questi giorni il procuratore Lari ha invitato i giornalisti a “valutare attentamente le fonti” sulle notizie pubblicate. Cosa sta succedendo, c’è il rischio di un nuovo depistaggio?
Il procuratore Lari è molto preoccupato per la fuoriuscita di notizie distorte. Anche il procuratore aggiunto, Nico Gozzo, l’ha detto molto chiaramente, parlando di notizie false scritte da alcune testate, fra le più importanti, aggiungendo: “potevano essere verificate confrontandosi con chi le indagini le sta conducendo”. Questo vuol dire che le notizie cui fa riferimento il pm non sono uscite dalla procura di Caltanissetta, titolare delle indagini. La paura dei magistrati nisseni è che la fuoriuscita di notizie parzialmente vere, o distorte, sia un’operazione sofisticata, per far si che le indagini in qualche modo, vengano pilotate. Quello che è certo è che non si tratta di una censura al diritto di cronaca o alla libertà di stampa, come ha subito voluto far intendere, strumentalizzando, il ministro della GiustiziaAngelino Alfano, a Palermo.
Quali sono i rischi concreti per le indagini?
Il timore è soprattutto che questa manovra possa portare, ad esempio, alla richiesta del Copasir, l’organismo parlamentare di controllo sui Servizi segreti, di avere notizie da parte dei magistrati, che sarebbero quindi obbligati a sveltare elementi riservatissimi e questo potrebbe compromettere l’esito di queste indagini. Questa è una paura seria, fondata, perchè sappiamo che ogni volta che si è toccato questo punto fondamentale, non solo per la verità su questi fatti e l’esito delle indagini, ma anche per conoscere cosa ci fu dietro il passaggio fra la prima e la seconda Repubblica, i depistaggi, le calunnie, e tutto quello che ne consegue sono sempre stati messi in atto.
Indagini che evidenziano sempre più la mano “esterna” di entità deviate delle istituzioni, si citano i servizi segreti, che hai appena menzionato. Citando Sciascia, lo Stato è pronto a processare se stesso?
Sciascia diceva, “lo Stato non può processare se stesso”… ma come accennavo all’inizio ci sono oggi condizioni favorevoli perchè ciò avvenga. C’è la volontà degli inquirenti e la preparazione. Difficile dire come andrà a finire ma quel che è certo è che in questo momento diventa importante la presa di responsabilità, anche dei giornalisti. Serve una maggiore vigilanza e presa di coscienza, anche di noi giornalisti. Questo vuol dire, per quel che riguarda il ruolo dell’informazione, continuare ad informare ma farlo con una maggiore attenzione. Verificando le notizie e le fonti. Una accurata verifica. Lavorare molto prima di pubblicare, sapendo che in questo momento, come è accaduto in passato, è possibile che vengano messe “ad arte” in circolazione notizie false o distorte.
Sul giornalismo, chiamato ad una grossa responsabilità in questo ambito e in tanti altri, in questi mesi pende la spada di damocle del ddl intercettazioni. Quale il rischio se venisse approvato, anche per queste indagini delicatissime?
Approvato così com’è, in Commissione giustizia al Senato, significa la fine della libertà d’informazione e del diritto di cronaca. Il testo, infatti, prevede che non si possa scrivere non solo di intercettazioni, ma anche di atti processuali non più coperti da segreto istruttorio, fino alla conclusione delle indagini preliminari, un tempo che può durare anche due, tre anni, nei quali non si verrebbe a conoscenza di reati commessi (in queste ore si stanno valutando modifiche al testo di legge, ndr) . Questo significherebbe la fine del diritto all’informazione, e del dovere di informare da parte dei giornalisti. Non è un caso che il Ddl Alfano, sia voluto a tutti i costi da Berlusconi, e che in queste settimane si stiano approvando, in Parlamento, norme che limitano le intercettazioni nei confronti degli uomini dei Servizi, guarda caso. O che in un momento in cui sono in corso le indagini sulla “cricca”, si protegga la riservatezza di uomini legati al Vaticano, o approvino privilegi da riservare ai parlamentari in merito alle intercettazioni sulle loro utenze telefoniche.
In un momento di grossa difficoltà sul versante della libertà di stampa, qual è lo stato di salute del giornalismo d’inchiesta in Italia?
C’è una parte di questo Paese che le inchieste le vuole. Il successo dei libri come quelli editi da Chiarelettere si può leggere da un lato come una risposta positiva, ovvero i cittadini cercano strumenti per capire, dall’altro è sintomatico del fatto che i giornalisti non trovano più lo spazio necessario per fare inchieste sui quotidiani. Questa è anche un pò la chiave del successo de “Il Fatto quotidiano“, un giornale che fa inchiesta ma che soprattutto da le notizie così come sono e quelle che non avrebbero spazio su altri giornali. C’è dentro la testata la libertà di scrivere, cosi come dentro Radio popolare, per la quale lavoro da anni. C’è una parte di Paese, a mio avviso, che vuole conoscere le cose e approfondirle.
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