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La soppressione diretta della parola

Di Nando dalla Chiesa il . L'analisi

Le parole. Alla fine i regimi si confrontano e si scontrano con le parole. Perciò il primo segno della loro incipiente formazione è la costruzione di nuovi dizionari, volti a rovesciare il senso della realtà. Perciò tendono a rimodellare il linguaggio, e anche a impoverirlo, a massificarlo. Ossia a togliergli forza descrittiva. E per questo passano a un certo punto alla soppressione diretta della parola, per alzare il grado di omertà e di mutismo sociale. Quello che sta accadendo con l’informazione, con l’editoria, ma anche con la giustizia, va collocato esattamente in questo quadro. Che può apparire di cronaca e invece ha un marchio d’epoca, rivelando il più generale e ciclico conflitto che si consuma intorno alla qualità democratica della vita pubblica. Oggi il potere vuole fare scomparire le sue, di parole. Vuole che esse non vengano captate e fissate e conosciute nemmeno per esigenze di giustizia. Vuole potersi garantire la massima distanza tra i valori su cui costruisce la sua micidiale propaganda e i valori che pratica effettivamente. Non desidera che il popolo conosca il linguaggio della “cricca”. Perciò ha deciso di tirare fuori le unghie per proteggerle, le sue parole, di farne per legge degli assoluti e impenetrabili arcana imperii, producendo norme e poi norme e poi vincoli e ancora vincoli per impedire le intercettazioni telefoniche. E contemporaneamente ha deciso di privare la stampa e l’opinione pubblica della possibilità di parlare di quelle inter-cettazioni che ancora si potranno fare. Perfino la galera è prevista per chi dovesse riferire contenuti di atti giudiziari; e sanzioni monetarie da intimidire qualsiasi editore piccolo o medio, e anche grande. Parallelamente, e dal livello più alto, è partita la delegittimazione di chi, senza violare alcuna norma, scriva o parli di mafia o di camorra, accusato di operare contro la patria e la nazione. Insomma, il Potere-regime, che di estetica si intende, sa di essere brutto, inguardabile. E rifiuta di farsi riprendere in qualsiasi modo perché sa, questo sa per certo, che “riuscirebbe male” in fotografia come in filmato. Può darsi che questa vicenda finisca lasciando meno morti (metaforici) sul campo di quanti oggi ne possiamo immaginare. Può darsi che la rivolta (tiepida, in verità) della stampa riesca a ottenere che lo scempio della parola sia meno tracotante. Ma viene lo stesso da pensare che a questo non si sarebbe arrivati se più schiene diritte e meno cerchiobottisti fossero state chiamate a vergare editoriali e commenti per chi oggi lancia l’allarme ai suoi lettori. Resta da pensare, pure, che qualche licenza in meno sulle vite private sarebbe stata utile a rendere più chiaro il senso della battaglia odierna. E che sarebbe bene se la stampa riservasse la stessa preoccupazione che ha per le sue sorti anche ai destini della giustizia. Poiché anche la giustizia, alla fine, si nutre di parole.

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