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L’onda verde iraniana arriva a Perugia

Di La redazione della Marcia il . Progetti e iniziative, Umbria

E’ un giorno di gennaio del 2010 quando nelle sede dell’associazione
‘Terra del Fuoco’ a Torino arriva una telefonata. Dal prefisso si
capisce subito che arriva da lontano, dagli Stati Uniti.
A chiamare è
Farzaneh Davari, portavoce della International Campaign for Human
Rights in Iran che chiede l’aiuto dell’associazione per accogliere in
Italia alcuni dei ragazzi che hanno partecipato alle manifestazioni di
protesta del  ‘movimento verde’. Sono in pericolo e rischiano il carcere
o peggio.
A raccontare questa storia è Michele Curto, presidente di
‘Terra del Fuoco’, durante un seminario organizzato dalla ‘Tavola della
pace’ e dedicato proprio alla difficile situazione politica nella
Repubblica islamica. Con lui cinque di quei ragazzi, arrivati in Italia
ad aprile dopo un lungo e rischioso viaggio. Questi giovani iraniani,
seduti oggi nella prima fila della sala gremita, hanno tra i venti e i
trent’anni al massimo. Per proteggerli e proteggere anche i loro amici
rimasti in Iran, i loro nomi restano un segreto. Quando una delle
ragazze prende la parola riesce a stento a trattenere l’emozione. Si
interrompe più di una volta, beve un bicchiere d’acqua. Scelgono per lei
un bel nome di fantasia, Sherazade. Ti piace? Le chiedono. Un sì
accennato con la testa e poi riprende subito a parlare. Vuole
raccontare.
“L’Iran è la più grande prigione del mondo per i
giornalisti – spiega ai presenti  – dopo le elezioni del giugno 2009
sono stati 90 i reporter arrestati e 23 sono ancora in carcere”.  Poi, a
voce più alta, scandisce una lista di nomi: “Sono persone che
conosciamo, sono ancora in carcere. Mentre io sono qui, molti dei miei
amici sono ancora prigionieri” dice e poi si rivolge ai presenti:
“Quello che potete fare per gli iraniani è informarvi, capire cosa sta
realmente succedendo e cercare di far aumentare la pressione sul governo
iraniano affinché rispetti i diritti umani”.
Dopo di lei un altro
dei ragazzi prende la parola. Ha i capelli lunghi e il piglio più
deciso. Escono parole dure da una bocca sorridente. “Nei giorni delle
proteste a Teheran, Ahmadinejad ci ha definito ‘polvere’ ma noi non
siamo polvere. Vi prometto che continueremo a protestare contro il
regime in Iran e vinceremo tutti insieme. Sentiamo spesso parlare del
nucleare iraniano ma noi dobbiamo parlare dei diritti umani. I diritti
umani sono più importanti del programma nucleare”.
“A marzo, continua
il giovane, sono stato a Milano a una manifestazione contro le mafie
dove sono stati detti a voce alta tutti i nomi delle vittime della
mafia. Un giorno, lo prometto, in Iran potremo fare la stessa cosa…ma
voi non  dimenticateci”, chiede.
Per adesso il loro orizzonte è qui
in Italia, sono al sicuro, vivono una vita normale e li aspetta futuro
più libero. “Speriamo possano iscriversi presto all’università” dice
Michele Curto.

***

Continuano
torture e processi sommari. Sette minuti per una condanna a morte

A quasi un anno dall’inizio delle proteste post elettorali
in Iran il bilancio della repressione del regime non ha precedenti
nella storia del paese. Ne è convinto Riccardo Noury portavoce della
Sezione Italiana di Amnesty International che oggi, durante un seminario
sull’Iran al Forum della Pace, parla di “torture, processi sommari,
confessioni estorte e molte condanne a morte” che continuano anche a
distanza di mesi dalla contestata rielezione del presidente Ahmadinejad.
“Nei
giorni scorsi sono state eseguite altre condanne a morte per
impiccagione con l’accusa di ‘moharebeh’, cioè di comportamento ostile
nei confronti di Dio”, spiega Noury secondo cui la pressione
internazionale per garantire il rispetto dei diritti umani nella
Repubblica islamica è “un dovere morale”.
Secondo il rapporto
dell’associazione Human Rights defender “nel 2009 è stata eseguita una
condanna a morte ogni giorno”. Il portavoce dell’associazione  Mahmood
Amiry-Moghaddam ha raccontato al seminario la storia di Farzad Kamangar,
un insegnante e sindacalista iraniano che dal carcere di Evin ha
scritto una lettera di sostegno ad altri insegnati e compagni di
prigionia. Il titolo della lettera è ‘Siate forti compagni miei” e
l’autore cita il titolo e il contenuto di un famoso libro per bambini
pubblicato nel 1967 dallo scrittore e dissidente Samad Behrangi ‘Il
pesciolino nero’.
La storia è quella di un piccolo pesce che sfida le
regole della sua comunità intraprendendo un viaggio alla scoperta del
mare.
Farzad Kamangar è stato giustiziato per impiccagione domenica
scorsa insieme ad altre quattro persone. Il suo processo è durato in
tutto 7 minuti.

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