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Fini e Saviano, questione di Fede…

Di Lorenzo Frigerio il . L'analisi

Potrebbe non
essere una notizia il fatto che il Presidente della Camera Gianfranco
Fini abbia ricevuto ieri a Montecitorio lo scrittore Roberto Saviano,
autore del romanzo denuncia “Gomorra”: in un paese normale,
infatti, le istituzioni dovrebbero sempre e comunque essere al fianco
di chi, con ruoli e responsabilità diversi, si batte contro il crimine
organizzato. Il nostro però, purtroppo, non è ancora un paese normale
e il traguardo della normalità continuerà a essere un miraggio fino
a quando si continuerà a denigrare chi esprime volontà di cambiamento,
senza per questo nascondersi la verità. E così è accaduto che a Roberto
Saviano siano state rivolte in questi anni di vita, passati sotto scorta

per le minacce ricevute dal clan dei casalesi, accuse di protagonismo
e di mancanza di spirito di patria.

La letteratura
e la cultura sotto finite sotto accusa da una delle più alte cariche
dello Stato, il presidente del Consiglio Berlusconi, che si è spinto
qualche settimana fa a parlare di fiction e letteratura che fanno «supporto
promozionale alla mafia
»: nuovi strali polemici contro opere
come il romanzo di Saviano, dopo essersi in precedenza lamentato della
Piovra televisiva e di quanto raccontano e documentano fatti di mafia,
perché nella visione del premier sarebbero loro il problema e non la
mafia. Grazie a queste opere per Berlusconi la mafia italiana risulta
la prima al mondo e non la sesta come dovrebbe essere: “Gomorra”
e altri farebbero quindi una cattiva propaganda per il nostro paese
e non sarebbero invece il segno di una riscossa civile, quanto mai
opportuna
e necessaria per vincere la battaglia contro le mafie. E domenica
scorsa,
sotto i riflettori del Tg4 il suo direttore, Emilio Fede, in linea con
il suo editore di riferimento, si era lasciato scappare un eloquente «non
se ne può più
» in riferimento proprio a Saviano: «non
è soltanto lui che ha scoperto la camorra, non
è lui il solo che l’ha denunciata, ci sono magistrati autorevoli,
ci sono magistrati che l’hanno combattuta e sono morti, lui
è superprotetto
». Insomma, secondo l’Emilio televisivo,

va bene l’antimafia ma
«
senza rompere,
senza disturbare
»

Ecco quindi
come una notizia che non sarebbe notizia normalmente diventa di colpo
una notizia, perché l’incontro tra Fini e Saviano riposiziona
correttamente
il tema al centro del dibattito politico, in quanto esprime la vicinanza

delle istituzioni a quanti sono impegnati quotidianamente nella denuncia

del crimine, del malaffare e nella diffusione di una cultura della
legalità
democratica, quanto mai necessaria per un paese come il nostro dove
dai “furbetti del quartierino” si passa alla “cricca”,
senza che le cose cambino mai, in una logica di gattopardesca memoria,
dove tutto cambia perché nulla cambi. Nel corso del colloquio di ieri
durato meno di un’ora, Fini ha manifestato a Saviano grande stima
e considerazione, con l’intento di «sgomberare
il campo dagli equivoci
e testimoniare la vicinanza delle istituzioni
». Gli uomini dell’entourage del Presidente
della Camera si sono affrettati a smentire alcuna relazione tra le
polemiche
dei giorni scorsi e l’incontro di ieri, che sarebbe stato fissato
da tempo, ma quello che è chiaro che, sui temi della lotta alla mafia
e della legalità, il divario tra i due cofondatori del PdL aumenta,
visto che Fini, già dopo la reprimenda berlusconiana contro lo
scrittore,
si era affrettato a dichiarare che «quando
Berlusconi dice che Saviano
con Gomorra rende la criminalità italiana più
forte nel mondo, è meglio che queste affermazioni non le faccia
».

E oggi “Il
Secolo d’Italia”
rilancia e titola in prima pagina con grande
evidenza “Dalla parte di Saviano”: un altro strappo sembra
consumarsi in queste ore, ma francamente di questo non ci importa molto.

Ci interessa di più che la lotta alle mafie sia una battaglia condivisa
e non ostaggio di logiche e calcoli dei diversi partiti, che vorrebbero
tirare per la giacchetta Saviano a proprio tornaconto. L’impegno contro
le cosche è una priorità per il nostro Paese e per un giorno
Montecitorio
ha dimostrato di averlo capito.

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