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Lotta alle ‘ndrine, punto di svolta

Di Stefano Fantino il . Calabria, Interviste e persone

Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, due importanti attività di polizia giudiziaria hanno segnato la provincia reggina, permettendo di analizzare la gestione del potere nella zona intorno a Reggio Calabria. Un’ estenuante azione della magistratura sta ora raccogliendo i frutti di una stagione, quella degli anni Novanta, che ha portato alla condanna, e dietro le sbarre, tutti i più grandi boss ‘ndranghetisti. Una azione giudiziaria formidabile frutto del passato che a breve si spera potrà conseguire altri fattivi risultati, soprattutto nel contrastare quella “borghesia mafiosa” che costituisce il cemento del potere ‘ndranghetista. A rimanere a piede libero solo Domenico Condello, il “giovane”, sicuramente pericoloso ma non assimilabile ai boss che combatterono tra l’85 e il ’91 la seconda guerra di mafia. Proprio da lì ripartiamo per porci alcuni interrogativi che la recente operazione “Reale” ha messo in luce: esiste nella struttura rigidamente orizzontale della ‘ndrangheta una sovrastruttura che dirige l’organizzazione? O si tratta di un espediente formale, un organismo provinciale, capace di dirimere i contrasti, simile a quello che la mattanza della seconda guerra di mafia aveva portato a costituire? Questa sembra la strada più praticabile almeno secondo l’opinione del magistrato Vincenzo Macrì, procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, che ci ha concesso questa intervista e col quale tentiamo di capire quale sia la situazione e l’equilibrio dei poteri delle ‘ndrine, all’indomani dei grandi arresti e alla luce della grande espansione economica e geografica della mafia calabrese.


L’operazione “Reale”, che ha portato, tra gli altri, all’arresto dei rampolli di grandi cosche, come Morabito e Pelle, ha posto il problema della coabitazione tra ‘ndrine di Reggio città e della jonica reggina. Questo è utile per analizzare i movimenti di forze nella provincia: come possiamo sintetizzare i rapporti attuali, non dimenticando una prospettiva storica? 
Nel rapporto tra le ‘ndrine non si può parlare di un’ invasione conflittuale, sono accordi che si vengono a creare tra la provincia e la città. E con questo intendo sia la fascia jonica della provincia reggina, sia quella tirrenica, perché analoghi rapporti ci sono anche tra le cosche della piana di Gioia Tauro e quelle della città. C’è stato un rapporto continuo di osmosi e di scambio, di sinergie e rapporti; in questo momento probabilmente si stanno rafforzando. Ma questa non è una novità assoluta, secondo la mia valutazione. Si stanno evidenziando ora maggiormente, ma ci sono sempre state: era noto il collegamento della cosca Alvaro di Sinopoli, siamo sulla tirrenica, con la città, e lo stesso valeva per la jonica, con i collegamenti tra la famiglia Nirta e la famiglia Di Stefano di Reggio. Il valore dell’operazione è nel rilevare la costanza di questo rapporto ma ancora di più come questo rapporto sia cementato da presenze anomale, presenze istituzionali. Viene fuori, come ben saprà, la presenza di una talpa, di collegamenti con persone delle istituzioni. E sono probabilmente questi personaggi, contigui alla politica e alle istituzioni, a garantire i collegamenti. 
Da questa indagine emerge un nuovo riferimento all’esistenza della “provincia”, una sorta di “cupola” reggina, che gestisce gli affari delle ‘ndrine e dirime eventuali contrasti. Stiamo parlando di una “camera di compensazione” già sperimentata dopo la fine della seconda guerra di mafia, oppure un qualcosa di diverso che mette in “crisi” la struttura storicamente orizzontale della ‘ndrangheta? 
La presenza della “provincia” è venuta fuori la prima volta circa dieci anni fa, esattamente con l’inchiesta “Armonia”, sui Morabito di Africo. Non è una novità, ma una conferma dunque. Già da allora gli scopi di questo organismo erano risultati però diversi dalla concezione di “cupola” intesa alla “siciliana”, almeno secondo la mia valutazione. Non si tratta di una struttura stabile che serve a prendere decisioni, non un organismo “istituzionale”, che opera sul territorio e decide le cose più importanti. Ma è una struttura che interviene soltanto per prevenire situazioni di conflitto. Infatti fu creata all’indomani della fine della guerra di mafia a Reggio, che aveva prodotto centinaia di vittime, per evitare future guerre totali. Questo non ha eliminato la possibilità di piccoli conflitti locali, però le guerre totali sono state evitate, questa struttura ha funzionato. Questo ci conferma che siamo sulla buona strada per capire come è organizzata la ‘ndrangheta attualmente. 
In un discorso di rapporti nella provincia reggina, di strutture di controllo per dirimere scontri, come si inserisce il centro economico, che lei stesso, ha più volte individuato al nord? Come funzionano le dinamiche di potere tra la Calabria e le propaggini finanziarie, magari in Lombardia? 
Il discorso è un pochino complicato, cerchiamo di fare alcune considerazioni. C’è un rapporto dinamico e un processo ancora in corso di svolgimento, nel tratteggiare i rapporti fra la sede lombarda e la sede calabrese. Nel senso che ci sono spinte verso l’autonomia e spinte ovviamente contrarie che vogliono riaffermare la centralità della casa madre calabrese. Si tratta di un processo in atto: anche omicidi di ‘ndrangheta in Lombardia si inseriscono in questa discussione. Al momento non è dato, di sapere come andrà a finire. Ma questo da modo di capire che Milano è la centrale economico-finanziaria, il nuovo “far west” della ‘ndrangheta che lì si sposta perché trova occasioni di investimenti, di affari, di collegamenti di ogni genere. La frontiera oggi è quella, se questo porterà a una autonomia piena o a rapporti di collegamento di sinergia non è dato sapere, ora. Non ci sono però strutture tali che possono assicurare la centralità, una cupola calabrese che domina tutto il mondo, La ‘ndrangheta è presente in Canada, in Australia, dappertutto ha strutture articolate, per questo è stata definita una mafia liquida: in ogni ha un modo “suo” di essere presente. In Lombardia c’è la presenza più strutturata di tutte, rispetto alle altre parti d’Italia, perché ci sono decine di locali, c’è una tradizione, ci sono investimenti cospicui: le forme più dinamiche dell’imprenditoria mafiosa calabrese si sono spostate su Milano, i Morabito, i Piromalli, i Barbaro. 
Tornando alla Calabria, l’arresto di Tegano segue la fine di un’epoca, in cui grandi boss della ‘ndrangheta sono stati arrestati. Cosa rimane dei grandi capibastone usciti dalla seconda guerra di mafia? 
C’è stata una stagione, negli anni Novanta, investigativa e giudiziaria di grandissimo livello: in quella stagione sono stati investigati, processati e condannati tutti i capi storici della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Da Iamonte a Giuseppe “Tiradrittu” Morabito, Cataldo, gli Alvaro, i Piromalli: nessuna cosca, o quasi, è stata esclusa, tutte processate e condannate, con pene molto pesanti. Oggi si portano all’incasso gli esecutivi di quelle operazioni, senza le quali non sarebbero state possibile quelle catture. Oggi e ieri sono quindi momenti strettamente collegati: io non sono d’accordo di chi sta valutando questa stagione dell’antimafia reggina come una stagione di discontinuità rispetto al passato. Si tratta della raccolta di ciò che è stato seminato. Oggi bisogna andare avanti e si sta andando avanti, su questo io non ho dubbi. Il lavoro di oggi si vedrà tra un paio di anni, oggi si chiude un ciclo di lavoro. E se ne apre un altro. 
Quale? 
Quello che deve entrare nel campo di quella che anche il procurato
re Pignatone ha definito “borghesia mafiosa”, cioè i collegamenti con le istituzioni, la politica, gli affari, le professioni, quel vasto mondo che io ho definito “i dintorni della ‘ndrangheta”. Non è che siano mancati i processi in passato, c’è stato quello a Giacomo Mancini, a Paolo Romeo, del PSDI, che è l’unico politico condannato con sentenza definitiva che ha scontato la condanna. Questo è un risultato: diciamo quindi che quella borghesia mafiosa degli anni Novanta è stata toccata. Oggi ce n’è una nuova e questa dovrebbe essere il centro del programma di lavoro del futuro. 
Il trasferimento in carcere Tegano ha visto scatenarsi un circo mediatico incredibile, che ha visto gli applausi al boss sotto le luci della ribalta. Si tratta solo di parenti o amici o esiste ancora una vasta presa sul terreno popolare, del fascino del capobastone? 
Non essendo direttamente sul territorio non posso arrischiarmi, però mi sorprende la sorpresa. Quando fu ucciso Paolo De Stefano ci fu una concelebrazione religiosa nella chiesa madre di Archi. E in casa di uno dei killer, trovammo dei santini di De Stefano, con dei versetti del profeta Isaia, riferiti al boss. Ne erano state stampate cinquemila copie, diffuse in tutta Reggio. Questo fa capire il livello di diffusione del consenso. A me la cosa ha sorpreso fino a un certo punto: purtroppo capitano in una città come Reggio. Questo ha scosso, forse si poteva evitare, e permette quanto meno di avere ancora la percezione di quale consenso questi personaggi abbiano.


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