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Libertà di stampa, la crisi dei sistemi democratici

Di Stefano Fantino il . Interviste e persone

Un problema di libertà di informazione. Freedom House prima, Reporters Sans Frontières dopo, ma il risultato non cambia. Che sia il 72 esimo o il 49 esimo posto nella classifica stilata, l’Italia rimane sempre fanalino di coda in Europa denotando una situazione sempre più grave nel rapporto atavico tra stampa e potere, reso ancora più grave da quegli aggiornamenti normativi che potrebbero far precipitare la situazione. Libera Informazione ne ha parlato con Mimmo Càndito, storico inviato de “La Stampa” e presidente di Rsf Italia. 

Dottor Càndito, nel vostro rapporto sulla libertà di stampa l’Italia è piazzata al 49esimo posto, cinque posti più in basso dello scorso anno. Ci sono nodi problematici che negli anni non sono stati sciolti: la decisione di presentare il vostro rapporto lunedì scorso all’Aquila è anche un segno di denuncia di un modo scostante di fare informazione, come nel caso del terremoto? 

La situazione dell’Italia non è rimasta ferma in questi anni ma ha avuto delle variazioni al ribasso: ciò significa che la situazione è critica perché è l’ultimo, in classifica, tra i paesi occidentali sia nelle classifiche di Rsf sia in quelle di Freedom House. Questa situazione drammatica per tutti noi e in costante declino sta per diventare distruttiva, il che indica come sia quasi impossibile peggiorare ulteriormente. Il caso dell’Aquila che lei citava può essere uno dei casi nei quali si è manifestata quella che possiamo definire una “difficoltà” del giornalismo italiano ad assumere completamente le responsabilità del proprio ruolo. Quando si danno questi giudizi è importante cercare di capire quale siano le cause. Innanzitutto vi è sicuramente un dato culturale di fondo: le radici del giornalismo italiano, che sono fortemente legate al mondo politico, hanno difficoltà a esprimere una cultura diversa rispetto a quella della dipendenza. In secondo luogo un elemento strutturale, dato che il sistema mediatico italiano è un sistema dove la capacità di intervento dei poteri non è mai stata così forte come in questi ultimi dieci o quindici anni. Questo fa capire come non si possa sviluppare una cultura autenticamente liberale cioè di consapevolezza del ruolo del giornalismo, critico nei confronti dell’esercizio del potere, quale che esso sia. 
Prima di entrare ancora più a fondo in questa disamina, vorrei proporle un paragone: nel rapporto si legge dello stato di non particolare grazia della Francia, dove perquisizioni, ingerenze anche del presidente sulla stampa, stanno mostrando il dilagare anche oltralpe di interventi esterni, a condizionare il giornalismo. Italia e Francia ancora molto distanti? Vi è una degenerazione globale? 
Io direi che vi è un problema generale dei sistemi democratici. L’Italia e il “caso Berlusconi”, rappresentano, e me ne assumo la responsabilità, una “perversa anticipazione” di ciò che già si stava immaginando all’interno dei percorsi delle relazioni tra i poteri e l’esercizio delle libertà. La Francia ha sicuramente delle relazioni tra media e potere una cultura molto più consapevole del ruolo e della propria responsabilità, perché nella storia della Francia vi è una consapevolezza culturale della divisione dei poteri che in Italia ha avuto sempre difficoltà ad affermarsi e soprattutto i venti anni di fascismo hanno interrotto un percorso che era iniziato ai tempi di Cavour con lo Statuto Albertino. Oltre questo excursus storico, mi sento di ricordare come Rsf ha deciso di riaffermare il dovere genetico, fisiologico di denunciare tutte le limitazioni alla libertà di stampa in quei paesi a regime oppressivo e repressivo. Ma si denota anche una deriva pericolosa nei sistemi democratici: in tutti quei sistemi si difendono esplicitamente l’esercizio della manifestazione del pensiero, cosa che però nei fatti è sempre messa in pericolo dalle pratiche del governo o dalle logiche dei poteri. Bisogna porre attenzione su quando avviene non solo in Italia, un caso di studio ormai, ma anche altrove. Come la Francia che lei mi cita: Sarkozy ha fatto licenziare due giornalisti che avevano portato informazioni sulle presunte storie sentimentali del presidente e della presidentessa. 
E negli Stati Uniti, terra della libertà di espressione? 
Negli Usa il mito della libertà di espressione è assoluto: eppure il presidente Obama ha boicottato per un certo tempo le interviste al canale televisivo Fox, perché è un avversario politico più che un canale televisivo. Ci sono volute le pressioni dell’opinione pubblica, dei giornalisti e dei suoi stessi consiglieri, per fargli rivedere questa posizione. Ma lui si era comportato in questo modo, come si comporta il premier italiano, assumendo che esistono avversari politici all’interno del mondo dell’informazione. Obama a detto sì a tutte le reti e non a Fox: questo in un sistema democratico non è accettabile e va denunciato. 

Prima ha parlato di impianti normativi e costituzionali che dovrebbero difendere l’esercizio della manifestazione del pensiero e dell’informazione. A volte, penso al Ddl intercettazioni, le norme agiscono contro… 
Questo rientra in questa maggior denuncia che va fatta all’interno dei sistemi democratici. Entro cui l’esercizio del potere o non consente di applicare completamente le norme, rendendole vane, oppure sta preparando o ha già messo in atto interventi che inseriscono sottrazioni progressivo di spazio per l’esercizio della libertà, pur lasciando formalmente l’impianto generale normativo. Finendo con l’essere fortemente repressive esattamente come ogni azione che viene compiuta in un regime autoritario e dittatoriale. 
E in Italia le limitazioni e i condizionamenti fisici per mano mafiosa acuiscono questa minor possibilità di informare, spesso spalleggiati da dichiarazioni di politici che non aiutano chi affronta tematiche così impegnative… 
Indubbiamente il fatto che il premier Berlusconi dica che la nostra mafia viene supportata dai libri, come quello di Saviano, è indicativo del suo approccio culturale. Anche ieri Bertolaso, per citare un altro esempio, ha detto che non faremo bella figura con il film di Sabina Guzzanti (“Draquila” ndi) a Cannes. Il problema non è fare bella figura: esiste una realtà, quanto più si denuncia questa realtà, tanto si può intervenire per eliminarle. Un altro esponente del mondo istituzionale politico che indica una cultura che tende a limitare la libera espressione del giudizio e lo spirito di denuncia.ticolare grazia della Francia, dove perquisizioni, ingerenze anche del presidente sulla stampa, stanno mostrando il dilagare anche oltralpe di interventi esterni, a condizionare il giornalismo. Italia e Francia ancora molto distanti? Vi è una degenerazione globale? Io direi che vi è un problema generale dei sistemi democratici. L’Italia e il “caso Berlusconi”, rappresentano, e me ne assumo la responsabilità, una “perversa anticipazione” di ciò che già si stava immaginando all’interno dei percorsi delle relazioni tra i poteri e l’esercizio delle libertà. La Francia ha sicuramente delle relazioni tra media e potere una cultura molto più consapevole del ruolo e della propria responsabilità, perché nella storia della Francia vi è una consapevolezza culturale della divisione dei poteri che in Italia ha avuto sempre difficoltà ad affermarsi e soprattutto i venti anni di fascismo hanno interrotto un percorso che era iniziato ai tempi di Cavour con lo Statuto Albertino. Oltre questo excursus storico, mi sento di ricordare come Rsf ha deciso di riaffermare il dovere genetico, fisiologico di denunciare tutte le limitazioni alla libertà di stampa in quei paesi a regime
oppressivo e repressivo. Ma si denota anche una deriva pericolosa nei sistemi democratici: in tutti quei sistemi si difendono esplicitamente l’esercizio della manifestazione del pensiero, cosa che però nei fatti è sempre messa in pericolo dalle pratiche del governo o dalle logiche dei poteri. Bisogna porre attenzione su quando avviene non solo in Italia, un caso di studio ormai, ma anche altrove. Come la Francia che lei mi cita: Sarkozy ha fatto licenziare due giornalisti che avevano portato informazioni sulle presunte storie sentimentali del presidente e della presidentessa. E negli Stati Uniti, terra della libertà di espressione? Negli Usa il mito della libertà di espressione è assoluto: eppure il presidente Obama ha boicottato per un certo tempo le interviste al canale televisivo Fox, perché è un avversario politico più che un canale televisivo. Ci sono volute le pressioni dell’opinione pubblica, dei giornalisti e dei suoi stessi consiglieri, per fargli rivedere questa posizione. Ma lui si era comportato in questo modo, come si comporta il premier italiano, assumendo che esistono avversari politici all’interno del mondo dell’informazione. Obama a detto sì a tutte le reti e non a Fox: questo in un sistema democratico non è accettabile e va denunciato. Prima ha parlato di impianti normativi e costituzionali che dovrebbero difendere l’esercizio della manifestazione del pensiero e dell’informazione. A volte, penso al Ddl intercettazioni, le norme agiscono contro… Questo rientra in questa maggior denuncia che va fatta all’interno dei sistemi democratici. Entro cui l’esercizio del potere o non consente di applicare completamente le norme, rendendole vane, oppure sta preparando o ha già messo in atto interventi che inseriscono sottrazioni progressivo di spazio per l’esercizio della libertà, pur lasciando formalmente l’impianto generale normativo. Finendo con l’essere fortemente repressive esattamente come ogni azione che viene compiuta in un regime autoritario e dittatoriale. E in Italia le limitazioni e i condizionamenti fisici per mano mafiosa acuiscono questa minor possibilità di informare, spesso spalleggiati da dichiarazioni di politici che non aiutano chi affronta tematiche così impegnative… Indubbiamente il fatto che il premier Berlusconi dica che la nostra mafia viene supportata dai libri, come quello di Saviano, è indicativo del suo approccio culturale. Anche ieri Bertolaso, per citare un altro esempio, ha detto che non faremo bella figura con il film di Sabina Guzzanti (“Draquila” ndi) a Cannes. Il problema non è fare bella figura: esiste una realtà, quanto più si denuncia questa realtà, tanto si può intervenire per eliminarle. Un altro esponente del mondo istituzionale politico che indica una cultura che tende a limitare la libera espressione del giudizio e lo spirito di denuncia.

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