NEWS

Suicidato dalla mafia?*

Di Giuseppe Francese* il . Rassegne

Cosimo Cristina venne trovato morto sui binari della galleria Fossola,a Termini Imerese, un pomeriggio dell‘ormai lontano 1960. Il professore Giovanni Cappuzzo, recentemente scomparso, avrebbe voluto rievocare il ‘caso’    E’ la storia di un giornalista scomodo che, con i propri articoli, seminava lo scompiglio tra i potenti  di Termini, Cefalù e delle Madonie. La tesi del suicidio, che ha retto fino ad oggi. Ma anche tanti dubbi mai fugati. Le inchieste dell’allora vice Questore, Angelo Mangano  Voleva tornare a raccontare il ‘caso’ di Cosimo Cristina, il giovane giornalista morto in circostanze alquanto strane trentotto anni fa. Aveva anche telefonato al nostro periodico annunciando la ricostruzione di una vicenda della quale era stato tra i protagonisti. Parliamo di Giovanni Cappuzzo, noto critico letterario di Palermo. Ma il professore non ha avuto il tempo di tornare a rievocare una storia che all’epoca fece scalpore. Cappuzzo, che fu grande amico e collaboratore di Cristina, è morto qualche tempo fa. Noi abbiamo tentato di ricostruire una vicenda che rimane ancora avvolta da moltissime ombre e da pochissime luci. 

Cosimo Cristina era nato a Termini Imerese, l’11 agosto 1935. Terminati gli studi, aveva intrapreso l’attività giornalistica. Tra il 1955 e il 1959 aveva collaborato come corrispondente per il giornale ‘L’Ora’ di Palermo, per ‘il Giorno’ di Milano, per l’agenzia Ansa, per ‘il Messaggero’ di Roma e per ‘il Gazzettino’ di Venezia. Giovane e ambizioso, aveva anche fondato e dirigeva a Palermo, il periodico ‘Prospettive Siciliane’. il pomeriggio del 5 maggio 1960, ad appena venticinque anni, Cosimo Cristina fu rinvenuto privo di vita nel tunnel ferroviario di contrada ‘Fossola’ a Termini Imerese. “Si tratta di un palese suicidio”, sentenziarono sicuri gli inquirenti, intervenuti sul luogo del ritrovamento, tanto che non predisposero nemmeno l’autopsia. Eppure quel ‘presunto suicidio’ lascia tutt’oggi aperti tanti dubbi.  La mattina del 3 maggio, alle 1l circa, Cosimo Cristina uscì di casa ben vestito, con il solito cravattino, rasato di fresco e accuratamente profumato. Strano, per chi decide di farla finita. in genere, chi si vuoi togliere la vita non cura il proprio aspetto. Quella sera, non vedendolo rincasare, i genitori e le tre sorelle, si preoccuparono. Ma non eccessivamente: sapevano, che Cosimo era giornalista ventiquattr’ore su ventiquattro, ed altre volte era capitato che rientrasse a casa fuori orario. Poi, una volta a casa, raccontava di avere fatto un grande servizio o scoperto chissà quali verità. Ma quella volta le cose andarono diversamente. 

Cosimo fu rinvenuto morto due giorni dopo la sua scomparsa. Il suo corpo privo di vita fu ritrovato alle 15,35 del 5 maggio, dal guardalinee Bernardo Rizzo di Roccapalumba. Tra i primi a correre sul luogo del ritrovamento fu proprio il padre, impiegato delle Ferrovie, che, avendo appreso dalla radio della presenza di un corpo senza vita sui binari, accorse sui posto. Mai avrebbe immaginato, il signor Luigi, di trovare su quei binari il proprio figlio. Il corpo di Cosimo Cristina, al momento del ritrovamento, si presentava perfettamente integro. Soltanto sulla testa c’era un’evidente ferita all’altezza della nuca. Cosi scriveva il giornale ‘L’Ora: “Cosimo Cristina fu trovato al centro dei binari con la testa poggiata al binario di destra. Ma il fendente, che era visibile sulla testa, era sulla parte sinistra, Inoltre, il convoglio che avrebbe dovuto investirlo proveniva da Palermo. Il cadavere era posto in modo tale che i piedi si trovava no in direzione della città, mentre le spalle verso Termini. Tutti gli oggetti appartenenti alla vittima furono ritrovati tra il cadavere e il lato dal quale era giunto il convoglio. Furono pertanto sovvertiti tutti i principi relativi allo spostamento d’aria, il cui risucchio porta un qualsiasi oggetto lungo la scia della direzione di marcia”.  Dalla descrizione, come si può notare, emergevano alcune incongruenze. Sul corpo furono riscontrati parecchi ematomi ed evidenti macchie di defecazione sulle natiche e sulle gambe. Queste ultime causate, probabilmente, da avvelenamento. Il povero Cosimo, stando ad ipotesi per altro mai appurate, potrebbe essere stato costretto ad ingerire forti dosi di medicinali, che lo avrebbero stordito. Inoltre, le ecchimosi presenti sui corpo non potevano giustificarsi in un cadavere che aveva subito un forte dissanguamento, come nel caso di Cristina. Ferite che, stando sempre ad ipotesi, potrebbero essere state provocate prima del ‘suicidio’. E’ difficile comprendere come un corpo finito sotto un treno, o che abbia impattato su di esso, non presentasse nessuna evidente frattura.  Lo zio, Filippo Cristina, fratello del padre, fece subito notare le palesi anomalie, richiedendo l’autopsia. Ma gli investigatori non ritennero opportuno ricorrere all’esame del cadavere. Va rilevato, inoltre, che in una tasca della giacca di Cosimo Cristina fu trovato un biglietto nel quale il giovane avrebbe scritto poche parole per il fraterno amico Giovanni Cappuzzo, invocandone il perdono per l’irreparabile gesto. Il biglietto conteneva soltanto un accenno alla  sua fidanzata, pregando l’amico di volerle dare un bacio per lui. Nessun riferimento alla madre,  ed è molto strano, visto che Cosimo Cristina era particolarmente legato alla sua famiglia.

Dell’autenticità del biglietto, sia la famiglia, sia la giovane fidanzata, la sartina romana Enza Venturella, non furono mai convinti. Altro particolare strano: in tasca, Comiso aveva anche una schedina del totocalcio appena giocata, chi ha deciso di togliersi la vita non tenta la fortuna al gioco.  Dalla scomparsa al ritrovamento del giovane trascorsero due giorni. Cosa avvenne nel frattempo?  Da quanto tempo il povero Cosimo giaceva sui binari? E’ lecito pensare che Cosimo Cristina  sia morto il 5 maggio, o che sia morto prima, in un altro luogo, e che solo successivamente sia trasportato su quei binari? Tanti interrogativi. E tanti particolari che lasciano dubitare che possa essersi trattato di suicidio. Ma allora, se di suicidio non si trattò, chi decise e attuò la sentenza di morte per il giovane giornalista? Cosimo Cristina si era occupato, come collaboratore, di alcuni giornali, ed anche attraverso “Prospettive Siciliane”- il periodico che aveva fondato e che dirigeva- di parecchie vicende scottanti. Fatti avvenuti a Termini Imprese e nei centri delle Madonie. Vogliamo ricordare alcuni titoli apparsi su “Prospettive Siciliane” : “La strada per la droga passa per Palermo”; “Agostino Tripi è stato ucciso dalla mafia?”;  “La verità sull’omicidio dell’industriale Pusateri”; “Ecco chi sono Giovanni Cammarata, Antonio Malta e Alessandro Alagna, incriminati per l’uccisione  del capomafia  di Valledolmo”. Si era anche occupato dell’uccisione del sacerdote Pasquale Culotta, avvenuta a Cefalù nel 1955 e del processo dell’omicidio di Carmelo Giallombardo, il cui cadavere fu trovato mutilato lungo la strada ferrata Palermo-Messina. Particolare interesse suscitarono in Cosimo Cristina la serie di estorsioni e gli attentati, avvenuti a Mazzarino alla fine degli anni ‘50, culminati con l’omicidio del cavaliere Angelo Cannada, avvenuto il 5maggio 1959 e con il tentato omicidio del vigile urbano, Giovanni Stuppìa. Naturalmente a Mazzarino regnava il terrore e l’omertà era assoluta. Fin quando, un’improvvisa svolta nelle indagini porta va all’arresto dell’ortolano del convento dei monaci, tale Carmelo Lo Bartolo. Il magistrato non fece in tempo ad interrogarlo: lo trovarono cadavere dentro la sua cella, ‘asfissia da ostruzione meccanica delle vie respiratorie”, secondo la perizia del medico legale. “Me lo hanno suicidato”, continuava invece ad urlare a squarciagola la signora Teresa, vedova Lo Bartolo. Strana morte anche quella, se consideriamo che la maggior parte di impiccati muor
e non per soffocamento, ma per rottura di una vertebra cervicale.  lI 16 febbraio 1960, il procuratore Lamia spiccava ordini di cattura per quattro frati del convento di Mazzarino. L’accusa per tutti era di associazione per delinquere, simulazione di reato, omicidio, estorsioni e violenze private. Una vicenda che fece scalpore e che divise l’Italia. Una storia, quella dei frati di Mazzarino, raccontata dal giornalista Giorgio Frasca Polara in un libro edito da Sellerio. Cosimo Cristina si dedicò anima e corpo a quest’inchiesta.

Il 26 febbraio deI 1960, sulla prima pagina del suo periodico, ‘Prospettive Siciliane’, apparve un titolo a nove colonne: “Avvocato di Mazzarino, corrispondente di un noto giornale siciliano, è il capo della famigerata banda dei monaci”. Nell’articolo che ne seguiva, a firma del direttore, non veniva però indicato il nome del professionista coinvolto nella vicenda. A Mazzarino, in quel periodo, tre avvocati collaboravano per altrettanti giornali siciliani. Uno di loro, per la verità, non scriveva ormai da molto tempo. Dei tre, soltanto l’avvocato Alfonso Russo Cigna, collaboratore del ‘Giornale di Sicilia’, ritenendo l’articolo lesivo della sua onorabilità di professionista e di uomo, sporgeva formale querela per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Cosimo Cristina. Quest’ultimo era convinto di vincere la  battaglia in Tribunale, dato che, nel contesto dell’articolo, non era stato fatto alcun nome. Dopo un breve processo iniziato il 10 Marzo 1960 e conclusosi il 30 dello stesso mese, Cristina, ritenuto colpevole del reato ascrittogli, veniva condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi nella misura di due milioni di lire. Cosimo Cristina incredulo, amareggiato, ma per niente rassegnato, attendeva il processo d’appello. Era certo che ne sarebbe uscito indenne e stava raccogliendo il materiale per la controffensiva.  Sei anni dopo la sua morte, a seguito di numerose indagini condotte dal ‘Nucleo Antimafia’ della Questura di Palermo, diretto dal vice questore Angelo Mangano, fu riaperto il ‘caso Cristina’.  Finalmente le prime mosse per riabilitare un giornalista coraggioso, ritenuto fino a quel momento un suicida. Nel corso delle indagini fu più volte sentito dagli inquirenti il professor Giovanni Cappuzzo. Cappuzzo era amico d’infanzia di Cosimo Cristina ed insieme avevano cominciato le prime esperienze giornalistiche. Quando Cosimo propose all’amico di fondare un nuovo giornale che potesse dare un ulteriore contributo nella lotta alla mafia, il Cappuzzo accettò subito l’invito e ne divenne il condirettore. Da quel momento condivisero tutto, guadagni (per la verità molto pochi), ma soprattutto guai. Il Cappuzzo, sentito dal Procuratore della Repubblica, Macaluso, avrebbe rac contato di essere stato avvicinato da un certo Accursio Mendola, il quale gli avrebbe ‘consigliato’ di stare molto attento per sé stesso e di abbandonare il Cristina al suo destino. Secondo il Mendola, il giovane Cristina era stato già condannato a morte da un ‘tribunale’ di mafia. Il Mendola, sentito dai magistrati, confermò l’episodio. Il ‘Valachi delle Madonie’, come fu subito ribattezzato (Joe Valachi, è noto, è stato uno dei primi pentiti della mafia americana) il 12 dicembre 1960, subì un attentato, gli vennero sparati addosso alcuni colpi di lupara e di pistola, ma riuscì a salvarsi miracolosamente. L’allora vice questore Mangano, in un’intervista rilasciata nel programma televisivo ‘Cordialmente’, mandata in onda su Rai due, affermava di aver raggiunto le prove che Cosimo Cristina fosse stato ucciso dalla mafia. 

Coinvolti nella vicenda, secondo il rapporto del vice questore Angelo Mangano, sarebbero stati Giuseppe lngrao, detto ‘cazzotto’ (già defunto per cause naturali), e Luigi Longo, detto ‘fezza d’olio’, in quanto lavorava in un frantoio. La tesi fu smentita dalle indagini successive, se è vero che il ‘caso Cristina’ si chiuse con la tesi ufficiale del suicidio. Ingrao, tra l’altro, fu trovato cadavere nel 1961, nella stessa galleria nella quale venne rinvenuto il corpo di Cosimo Cristina. Sempre secondo il rapporto Mangano, nella vicenda sarebbero stati coinvolti Santo Gaeta e Vincenzo Sorci, implicati anche in altre vicissitudini giudiziarie. Il questore Mangano fece predisporre gli ordini di cattura anche per i loro complici, Giuseppe Gaeta, figlio di Santo, Agostino Rubino, Giuseppe Panzeca (già compreso nella più vasta associazione per delinquere, capeggiata dai boss palermitani Angelo La Barbera e Pietro Torretta) e Orazio Lesina Calà. Secondo la ricostruzione del vice questore Mangano, Cosimo Cristina, sarebbe stato tramortito da un colpo di spranga in testa e successiva mente gettato sui binari della galleria. Cosimo Cristina sarebbe stato ucciso a causa dell’inchiesta sull’omicidio del pregiudicato Agostino Tripi. Inoltre il rapporto del vice questore aveva stabilito l’esistenza di precisi legami fra i boss di Termini Imerese ed alcuni individui di Collesano, di Cerda, di Caccamo, di Scordia, di Isnello, di Montemaggiore Belsito, di Scillato e di Corleone. Il 12 luglio 1966, il corpo di Cosimo Cristina veniva riesumato per l’autopsia. Le relazioni depositate a seguito dell’autopsia effettuata dai periti, in contrasto con le tesi del nucleo di coordinamento regionale per la lotta alla criminalità, stabilivano che si trattava di un chiaro caso di suicidio. Ma l’autopsia, bisogna ricordarlo, fu predisposta soltanto a sei anni dalla morte, ed eseguita su uno scheletro. Il caso fu pertanto nuovamente archiviato come suicidio.  Dal racconto dei familiari, pare che Cosimo Cristina, alcuni mesi prima di morire, non scrivesse più per il giornale ‘L’Ora’. In quel periodo, attorno al giovane giornalista si era creato il vuoto. Nonostante tutto, Cosimo riuscì a trovare lavoro presso una importante torrefazione, fin quando, senza una plausibile ragione, veniva inaspettatamente licenziato. Dopo la sua morte, il proprietario della torrefazione, forse divorato dal rimorso, per riparare in qualche modo a ‘quell’inspiegabile’ licenziamento, fece assumere la sorella di Cosimo.  Nel giorno che precedette la sua scomparsa, Co. Cri., (com’era noto in paese, dalla sigla dei suoi articoli) aveva sbandierato ai quattro venti che nel giornale ‘L’Ora’ del giorno successivo sarebbe apparsa una notizia bomba. Ma Cosimo Cristina, l’indomani forse era già morto, e sul giornale ‘L’Ora’ nemmeno un piccolo petardo.  La bomba, quella vera, scoppiava diciotto anni dopo. A saltare per aria, un altro giovane giornalista, Peppino Impastato, impegnato sul fronte della controinformazione. Dalla sua ‘Radio Aut’, tuonava denunce contro il potere politico-mafioso e contro i boss del calibro di Gaetano Badalamenti.

Il corpo di Impastato, con una singolare analogia con Cristina, venne trovato, dilaniato dall’esplosione, lungo la linea ferroviaria Palermo-Trapani, a due passi da Cinisi. Per tanti anni hanno provato a farci credere che Peppino si fosse suicidato, o peggio ancora, che fosse morto nel tentativo di compiere un atto terroristico, essendo militante della nuova sinistra. In realtà gli assassini, nel tentativo di depistare le indagini, dopo averlo ucciso, misero il suo corpo sui binari, quindi piazzarono l’ordigno per la spettacolare messa in scena. Cosimo e Peppino, due giovani giornalisti uniti nello stesso tragico destino?  Recentemente, una sala dell’Associazione siciliana della stampa è stata intitolata ai giornalisti uccisi dalla mafia. Tra questi figura il nome di Cosimo Cristina. L’Ordine dei giornalisti, pertanto, riconosce in Cosimo Cristina, una vittima della mafia, lo Stato no .          

*  www.fondazionefrancese.org

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link