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“Né terrorista, né suicida. Mio figlio è stato ucciso”!

Di Mario Francese* il . Rassegne

Felicia Bartolotta difende la memoria del figlio. E’ stata interrogata ieri dal magistrato – Dice di non sapere chi possano essere gli assassini.   “Ho solo uno scopo: riuscire a fare accertare che mio figlio Giuseppe non si è suicidato e che non era un terrorista. Io sono certa che a mio figlio hanno teso un agguato. Gli assassini hanno avuto un obiettivo: quello di fare apparire Giuseppe un sanguinario che va a fare un attentato per screditarlo agli occhi del paese, dell’opinione pubblica e dei suoi compagni di partito”.  Lo dice Felicia Bartolotta, madre di Giuseppe Impastato, il trentenne studente fuori corso di filosofia dilaniato da una bomba ad alto potenziale esplosa al km. 30.800 della linea ferroviaria Palermo – Trapani.

La madre della vittima di Cinisi, ieri, al Palazzo di giustizia, è stata interrogata dal sostituto procuratore Domenico Signorino, che conduce l’inchiesta su questo episodio.  Dice Felicia Bartolotta:  “Mio figlio da qualche tempo dormiva da mia sorella Fara, per farle compagnia. Lunedì 8 maggio, io non l’ho visto. Ero uscita alle 10.30 per andare a prendere a Punta Raisi una mia cugina proveniente dalla California. Ma l’aereo atterrò con molto ritardo, alle 16″.  “Quella mattina”, continua Fara Bartolotta, la sorella, “Mio nipote si alzò tardi e uscì intorno alle 10, diretto a casa sua. Mio nipote dormiva infatti da me ma mangiava da sua madre”.  “Penso che sia venuto a casa. Quando ritornai dall’aeroporto, notai che in cucina c’erano resti di pane e salame”, aggiunge la madre.  “Giuseppe”, dice il fratello Giovanni, “avrebbe dovuto venire immancabilmente a casa per conoscere e salutare la cugina venuta dalla California e anche per cenare. Poi doveva ritornare a Radio Aut di Terrasini entro le 21 perché doveva partecipare ad una riunione politica”.  Giuseppe Impastato, 30 anni, era entrato all’Università dieci anni fa. Contemporaneamente aveva intrapreso  l’attività politica. E ora a Cinisi era il leader di Democrazia proletaria. “Carattere introverso, ma affettuoso”,afferma il fratello Giovanni. “Faceva attività politica a tempo pieno. Io avevo le sue idee, ma non il tempo di svolgere attività politica. Con Giuseppe comunque, discutevo di politica. Condannava le Brigate Rosse ed il terrorismo”.  “Nel suo comizio”, ricorda il fratello, “Giuseppe era stato polemico con la mafia e con certi personaggi mafiosi. Noi, però, non possiamo dire nulla. Siamo certi che è stato assassinato ma non abbiamo alcuna idea di chi possa essere stato l’esecutore materiale di questo infame delitto”.

 Otto mesi fa Giuseppe e Giovanni Impastato hanno perduto tragicamente il padre Luigi, di 72 anni, morto in un incidente stradale. Come aveva reagito Giuseppe?  “Giuseppe, aveva risentito come me della tragedia”, risponde Giovanni Impastato. “Però, per quanto avesse accusato la perdita, non ritengo che Giuseppe non sia stato capace come me, di reagire”.  E’ vero che Luigi Impastato era parente di Cesare Manzella, boss del clan di Liggio, dei Greco e di Badalamenti, fatto saltare nell’aprile 1963 con un’auto imbottita di tritolo abbandonata nella sua villa di Cinisi?  “Mio marito”, chiarisce la moglie, “era cognato di Cesare Manzella, che aveva sposato una sua sorella. Ma non capisco dove vuole arrivare”.  Un giornale del pomeriggio ha fatto martedì alcuni nomi legandoli alla tragica fine di suo figlio Giuseppe.  “Noi non abbiamo fatto alcun nome. Noi”,risponde secca Felicia Bartolotta, “non abbiamo fatto proprio né quei nomi né altri. Non abbiamo proprio alcuna idea di chi possa avere assassinato mio figlio. E poi il fatto di Cesare Manzella è lontano e con la vedova, che è sorella di mio marito, siamo in buoni rapporti”.  Il dottor Signorino interrompe la nostra conversazione. Nell’ufficio del magistrato Felicia Bartolotta ha sostato una decina di minuti. Ha riassunto praticamente quanto ci aveva anticipato lungo il corridoio della Procura.  

* Giornale di Sicilia,
18 maggio 1978

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