Libertà di stampa, per evitare un ulteriore declassamento dell’Italia, tocca alla società civile mobilitarsi
Si è celebrata il 3 maggio la Giornata ONU sulla libertà di stampa che rappresenta l’occasione per ricordare e celebrare i principi fondamentali della libertà di stampa e di rendere omaggio solenne ai giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio della professione. Con l’occasione, l’Unesco, ente delegato dall’ONU a trattare il tema, ha convocato per oggi una conferenza internazionale sulla libertà di stampa e “il diritto di sapere” nella città di Brisbane, in Australia. In vista di questo convegno, l’organizzazione, che si occupa di educazione, scienza e cultura in seno all’ONU, ha fatto appello ai suoi stati membri di “riaffermare e mettere in atto i loro impegni internazionali al fine di garantire e promuovere la libertà di informazione”. Bene. Temo, però, che nessuno di questi stati, nemmeno quelli che più brutalmente si fanno beffa di questi principi, si preoccuperà più di tanto delle parole pronunciate nella lontana città di Brisbane.
La “Giornata mondiale della libertà di stampa” fu istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1993 come occasione per promuovere “azioni concrete” e iniziative finalizzate a difendere la libertà della stampa, ma anche come opportunità per valutare la situazione della libertà di stampa nel mondo. La “Dichiarazione di Brisbane”, votata oggi dai delegati, dice le cose giuste, in particolare sull’importanza dei media e di un’informazione libera nel garantire il rispetto dei diritti umani, nella lotta alla corruzione e per sostenere una democrazia funzionante. Ma in assenza di denunce, o anche di una graduatoria dei violatori della libertà di stampa, rimangono concetti ai quali è fin troppo facile sottoscrivere — nella tranquilla convinzione che alle parole seguirà ben poco di concreto. L’Unesco si definisce l’unico organismo delle Nazioni Unite ad avere il mandato per difendere la libertà di stampa e di espressione insito nella sua costituzione. Ma sappiamo, purtroppo, che ci vorrà ben’altro che la “diplomazia silenziosa” a cui l’organizzazione si affida per promuovere i suoi obiettivi per smuovere governi come quello della Russia di Putin. O anche il nostro.
Nella stessa settimana in cui l’ONU celebra il diritto di sapere, il governo italiano riafferma la sua intenzione a fare votare una legge sulle intercettazioni che viola questo principio. Come ricorda il rapporto annuale del Rappresentante per la libertà dei media dell’OSCE — e come Articolo 21 segnalò in ottobre dell’anno scorso, riportando i contenuti della sua lettera, indirizzata a Silvio Berlusconi e ai presidenti delle due Camere. Le notizie riportate dalla stampa su numerose inchieste in corso — sulla ricostruzione dell’Aquila, sulla compravendita delle case del ministro Scajola, sulle pressioni dello stesso Berlusconi sull’AGCOM, per citarne solo alcune — dimostrano quanto è importante l’opera di controllo dell’informazione sull’attività del governo. Un principio riaffermato oggi a Brisbane (anche con il voto del rappresentante del governo italiano) ma che il nostro governo intende svuotare, cancellando, di fatto, buona parte della cronaca giudiziaria e del giornalismo d’inchiesta.
Oggi, sempre in occasione della giornata mondiale sulla libertà di stampa, l’organizzazione americana Freedom House ricorda che l’Italia è l’unico paese membro dell’Unione Europea ad essere stato retrocesso nella categoria dei paesi “parzialmente liberi” per colpa della concentrazione dei media e del controllo, senza pari nel mondo occidentale, dello stesso Berlusconi sull’informazione televisiva nel nostro paese.
Per evitare un ulteriore declassamento dell’Italia, tocca, oggi più che mai, alla società civile di continuare la propria mobilitazione a difesa di una informazione libera e plurale.
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