In ricordo di Pietro Scaglione
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Mercoledì 5 maggio 2010, ricorrerà il
trentanovesimo anniversario dell’efferato omicidio di Pietro
Scaglione – Procuratore capo della Repubblica di Palermo – e di
Antonio Lorusso – agente di custodia – che saranno ricordati anche
quest’anno, per volontà dei familiari, con una S. Messa celebrata in
forma privata. Il Procuratore Scaglione, che ha segnato l’inizio
del martirologio nella magistratura italiana, fu ucciso, con Antonio
Lorusso, alle ore 10.55 del 5 maggio del 1971 in via Cipressi a
Palermo, nel corso di un agguato mafioso, dopo la consueta visita nel
cimitero dei Cappuccini, dove era sepolta la moglie.
Come è
stato scritto anche in sentenze emesse da diverse autorità
giudiziarie, Pietro Scaglione – fu un «magistrato integerrimo,
dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà
morale, persecutore spietato della mafia» e «tutta la verità è
emersa a positivo conforto della figura del magistrato ucciso», sia
per quanto concerne la sua attività istituzionale, sia in relazione
alla sua vita privata.
Purtroppo – come si ribadisce
ancora una volta con profonda amarezza – le indagini dell’Autorità
giudiziaria di Genova, svolte per un ventennio, non hanno consentito
di condannare gli autori dell’efferato crimine. E’ stato però
accertato che i possibili moventi del delitto sono in ogni caso da
ricollegare all’attività svolta «in modo specchiato» e
inflessibile dal magistrato, soprattutto nella repressione della
mafia. Nella sua lunga carriera di giudice e, soprattutto, di
pubblico ministero, iniziata nel 1928, Pietro Scaglione si occupò,
infatti, di gravi episodi di mafia e dei misteri siciliani, dal
banditismo del dopo guerra agli assassini dei sindacalisti (come
Salvatore Carnevale), fino ai delitti mafiosi degli anni Sessanta e
Settanta.
Dopo la strage mafiosa di Ciaculli del 1963, grazie
soprattutto alle inchieste condotte dall’Ufficio Istruzione del
Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura
della Repubblica (diretta da Pietro Scaglione) «le organizzazioni
mafiose furono scardinate e disperse», come si legge nella Relazione
conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976.
In
particolare, il magistrato Scaglione, prima come Sostituto
procuratore generale presso la Corte di appello e poi come
Procuratore della Repubblica fu un accusatore implacabile di Luciano
Leggio e di tutti gli affiliati alla cosca mafiosa di Corleone – come
risulta dagli atti giudiziari e dalle dichiarazioni dei principali
collaboratori di giustizia – dirigendo, tra l’altro, personalmente
nel 1966, per la prima volta, un’operazione di polizia, a livello
internazionale, nei confronti degli stessi (Giuseppe Fava, Tutti gli
uomini di Liggio e Navarra arrestati, in Il Tempo del 26 aprile 1966,
p. 57).
Il Procuratore Pietro Scaglione inoltre – come
scrisse Mario Francese – «fu convinto assertore che la mafia aveva
origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava
snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto
braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui
la “linea” Scaglione portò ad una serie di procedimenti
per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti
di amministratori comunali e di enti pubblici»; il riacutizzarsi del
fenomeno mafioso, nel 1969-1970, «aveva indotto Scaglione ad
intensificare la sua opera di bonifica sociale», infatti, richieste
di «misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici
amministratori ……. hanno caratterizzato l’ultimo periodo di
attività del Procuratore capo della Repubblica» (M. FRANCESE, Il
giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio
1971, p. 3).
In questo contesto – come affermò Paolo
Borsellino (in La Sicilia, 2 febbraio 1987, p.10) – «la mafia
condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori
che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che
dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe
ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino
calunniati. Accadde così per Scaglione [….]». L’uccisione del
procuratore Scaglione – come scrisse, a sua volta, Giovanni Falcone
(in Interventi e proposte, Sansoni, 1994, p. 310) – ebbe sicuramente
«lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era
stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre
pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino».
Il Procuratore Scaglione svolse
anche, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente del
Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed
ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la
costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu
conferito dal Ministero della giustizia il Diploma di primo grado al
merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della
relativa medaglia d’oro. Infine, con Decreto dello stesso Ministero
della Giustizia del 1991, previo parere favorevole del Consiglio
Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione è stato riconosciuto
.
Distinti saluti
Prof. Antonio Scaglione
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