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Marsala: beni confiscati ad un colletto bianco della mafia

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Il colpo assestato è 
duro. Ha un costo per chi lo ha subito, un milione di euro, altrettanto
il guadagno per la società civile che si riappropria del maltolto.
Si tratta del patrimonio dell’ex ingegnere capo del Comune di Marsala,
l’architetto Rosario Esposto, adesso gli è stato confiscato. La pronuncia
è del Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani, ed è stata
depositata in cancelleria lo scorso 12 aprile. La ricostruzione fatta
davanti al collegio da parte della Procura antimafia di Palermo è stata
ritenuta fondata dai giudici, le possidenze dell’ex «colletto bianco»
del Comune di Marsala, appena condannato in secondo grado a otto anni
per la sua partecipazione all’associazione mafiosa, derivano dai guadagni
illeciti, da quelli ottenuti sottobanco, grazie all’appartenenza a Cosa
Nostra. 

I sigilli della confisca per
ordine del Tribunale vanno posti a beni che hanno un valore superiore
al milione di euro, e che non erano intestati direttamente all’ex capo
dell’Utc comunale, ma ai figli e altri soggetti. Si tratta del 48 per
cento della «Bep costruzioni srl», intestate a Giacomo Esposto, il
50 per cento della «Gard costruzioni srl», intestate a Rosario e Giacomo
Esposto, un immobile di via Florio del valore di 60 mila euro, intestato
per 2/4 indivisi a Tiziana e Giacomo Esposto, una casa in contrada Colombaio
Lasagna, 674 mila euro, anche questa intestata a Giacomo e Tiziana Esposto,
un immobile in piazza Carmine intestato a Giacomo Esposto, il 51 per
cento delle quote della «Marsala residence srl», intestate a Salvatore
Santangelo. 

Il procedimento della misura
di prevenzione prende spunto da una indagine antimafia condotta a suo
tempo dalla Squadra Mobile di Trapani e coordinata dagli allora pm della
Dda di Palermo Massimo Russo e Roberto Piscitello (il primo odierno
assessore regionale alla Sanità, l’altro vice capo di gabinetto al
ministero di Grazia e Giustizia). Davanti al collegio delle misure di
prevenzione a sostenere le ragioni della Procura antimafia è stato
invece il pm Andrea Tarondo, a lui il compito di mettere insieme davanti
al Tribunale il puzzle investigativo. Nel fascicolo processuale gli
accertamenti investigativi della Squadra Mobile e dal punto di vista
finanziario il lavoro svolto dalla Guardia di Finanza che ha ricostruito
i canali di afflusso del denaro e le compravendite immobiliari e societarie
riferibili ad Esposto. L’indagine che ha «toccato» l’architetto marsalese
è quella che ha messo in luce una rete di collegamenti tra politica,
mafia e imprenditoria a Marsala, sono le investigazioni che hanno costituito
la complessa operazione denominata «Peronospera» e condotta attraverso
diversi tronconi. L’ultimo di questi ha riguardato tra l’altro anche
Rosario Esposto: questi per i giudici che lo hanno condannato ha usato
anche le proprie autorevoli posizioni burocratiche, per agevolare Cosa
Nostra: nel procedimento gli sono stati contestati, appalti «pilotati»,
estorsioni, infiltrazioni, tentativi di condizionamento della pubblica
amministrazione, reinvestimento di capitali in società e aziende, e
poi una serie di rapporti con esponenti di Cosa Nostra o in odor di
mafia. Esposto nel frattempo è stato ritenuto in sede penale referente
dei mafiosi per gli appalti comunali, e di essere lui stesso un affiliato
«riservato» di Cosa Nostra marsalese. Lui stesso è finito intercettato
mentre discuteva di appalti e affari possibili per le cosche.

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