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Italia paese parzialmente libero

Di Gaetano Liardo il . L'analisi, Progetti e iniziative

Settantaduesimo posto, a parità di punti con Benin, Hong Kong e l’India. Se fosse la classifica di un campionato di calcio, l’Italia sarebbe già matematicamente retrocessa. Purtroppo il punteggio in questione riguarda la posizione del nostro paese nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, stilata ogni anno dalla Ong statunitense Freedom House. Il settantaduesimo posto dell’Italia consolida la permanenza  della nazione nella non piacevole posizione dei “paesi parzialmente liberi”. Dove, purtroppo, la libertà di stampa, sancita dall’articolo 21 della nostra Costituzione viene pesantemente messa in discussione. L’ultima tra i paesi dell’Europa Occidentale, l’ultima tra le democrazie moderne, nonostante a governare ci sia una maggioranza che della libertà fa un suo vessillo, Casa della libertà prima (ironia della sorte l’esatta traduzione del nome dell’Ong statunitense), Popolo delle libertà oggi. 

Il declino della libertà di stampa in Italia deriva proprio dalla forte concentrazione dei media nelle mani dell’esecutivo, o meglio del Presidente del consiglio che, caso unico nel novero dei paesi democratici, controlla la televisione pubblica e la sua diretta concorrente, Mediaset. Un controllo asfissiante e totale. Una Rai che perde ogni briciolo di autonomia e indipendenza, vede nominare i vertici del suo Consiglio di Amministrazione dal capo del governo che è anche il capo delle reti televisive direttamente concorrenti con il servizio pubblico. I telegiornali Rai nascondono platealmente le notizie, dando informazioni parziali per non dare fastidio al premier, come nel caso del Tg1. Quello che è stato il principale telegiornale italiano si è ridotto ad un servizio servile, con il direttore Minzolini, il “direttorissimo”, che è riuscito a cacciare via quei giornalisti che non hanno voluto seguire il nuovo corso del tigì, cioè il corso dettato dal potere.  Inoltre, la sospensione delle trasmissioni di approfondimento televisivo nel corso della campagna elettorale per le regionali. Sospese e sostituite da inutili quanto noiosissime tribune elettorali, per evitare che un giornalismo capace di porre interrogativi smentisse e smontasse la “pravda” ufficiale.

Infine, la spada di Damocle del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche e il relativo “bavaglio” di giornalisti ed editori che dovessero pubblicare quelle scomode notizie. Non quelle legate al gossip, su cui può intervenire, e anzi deve, l’Ordine dei Giornalisti, ma intercettazioni legate alle scandalose e infinite questioni di corruzione, malapolitica e collusione mortale tra la classe dirigente del nostro paese e le mafie. Se il disegno di legge Alfano venisse approvato morirebbe il giornalismo in Italia, e quindi verrebbe meno il diritto costituzionale dei giornalisti di informare e dei cittadini di essere informati.

La denuncia viene dalla Federazione Nazionale della Stampa, da Articolo 21, da Libera Informazione, oltre che da tutti quegli operatori dell’informazione che credono ancora in un giornalismo guardiano della democrazia. La denuncia viene, inoltre, dai magistrati e dalle forze dell’ordine che vedrebbero limitate le possibilità investigative.  Una legge del genere non sarebbe altro che l’inizio di una vera censura, che farà scivolare il Belpaese ancora più in basso nella classifica sulla libertà di stampa, mettendo in pericolo la nostra democrazia.

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