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Terzo colpo al binomio mafia – imprenditoria

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

E’ una storia, quella della “Calcestruzzi s.p.a.” in provincia di Caltanissetta, lunga, tortuosa, di certo non sempre lineare: parliamo, infatti, di una propaggine societaria della multinazionale bergamasca, “Italcementi s.p.a.”, presente in lungo e in largo per il globo, con stabilimenti anche in Sicilia.  L’indagine “Doppio colpo”, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, potrebbe, in realtà, denominarsi, “terzo colpo”: poiché direttamente correlata ad altri due precedenti giudiziari con protagonisti, solo in parte difformi.  Se, infatti, Giuseppe Ferraro, ex proprietario della cava “Billiemi” di Riesi, tra i principali fornitori del locale stabilimento della “Calcestruzzi s.p.a.”, e Salvatore Paterna, già dipendente della stessa società, hanno conseguito, anche nel giudizio d’appello, pene pari, rispettivamente, a quattro anni e otto mesi e tre anni e otto mesi, con le accuse di intestazione fittizia di beni e associazione mafiosa, il secondo ramo dell’intero albero investigativo, quello, cioè, che coinvolge l’ex amministratore delegato della diramazione siciliana, Mario Colombini, il responsabile per l’isola e la Campania, Fausto Volante, ed il delegato per l’area orientale, Giovanni Giuseppe Laurino, è tutt’ora in corso sempre difronte ai giudici della Procura nissena.

 Il “terzo colpo” è stato, invece, assestato, ieri, a quella sorta di indotto, fatto di piccoli e piccolissimi imprenditori, dominato, secondo l’accusa, da accondiscendenze e “pericolosi” collegamenti, ed ancora alle menti del sistema informatico, “Progress”, vero motore delle doppie ricette: quella “regolare”, da utilizzare nei casi di controlli, e quella “irregolare”, destinata a sostenere il circuito delle sovrafatturazioni e dei fondi neri da destinare ai “protettori mafiosi”.  L’architettura, secondo gli inquirenti, era abbastanza semplice: nel nisseno gli stabilimenti della “Calcestruzzi s.p.a.” si servivano di fornitori e trasportatori di fiducia, tutti consci, comunque, del meccanismo da oliare.  Le società di trasporto, soprattutto quella controllata da Salvatore Rizza e dalla moglie, Maria Pia Ricotta, di Caltanissetta e, successivamente, l’impresa “Arnone Vincenzo & C. srl” di Mussomeli, ottenevano introiti superiori rispetto ai carichi effettivamente garantiti, da destinare alle cosche del territorio, ovvero la famiglia del capoluogo, all’epoca controllata da Angelo Schillaci, ed il gruppo voluto da Giuseppe Madonia, coperti da guadagni per la società facente capo alla multinazionale lombarda derivanti, appunto, da ricette “modificate”: ovvero calcestruzzo venduto al prezzo di mercato ma, in realtà, contenente un quantitativo di cemento inferiore ai 30 Kg/mc.  Ed allora, una lunga lista di nomi, noti e meno, e di denominazioni d’impresa: da Gela, con la “Fo.Tra srl” di Rita Angela Averna e Vincenzo Giuseppe Averna, a Polizzi Generosa, sede della “David Santo & Gandolfo snc”, da Riesi, città della “Telg srl”, a Bronte, ove sussiste la cava gestita da Antonino Incognito, passando per Campobello di Licata, piccolo centro all’interno del quale opera la ditta individuale di Francesco Lo Cicero. 

I collaboratori di giustizia, fuoriusciti dalla dimensione della criminalità organizzata nissena, conoscono fatti e riescono a ricostruire dinamiche, utili agli investigatori, ed in primis al sostituto procuratore della Dda di Caltanissetta, Nicolò Marino: i cugini “di mafia”, Pietro Riggio, ex agente della polizia penitenziaria, e Carmelo Barbieri, a sua volta transitato tra le fila dei docenti della scuola superiore, ma conosciuto come vero portavoce del boss, Giuseppe Madonia, parlano e descrivono, al pari di Aldo Riggi e Alberto Carlo Ferrauto, entrambi ai vertici, in passato, del gruppo mafioso del capoluogo di provincia.  Questa “grande impresa”, almeno questo è il sospetto dei magistrati, avrebbe, però, generato rilevanti problemi di sicurezza ingenerati dall’uso del “particolare” calcestruzzo per la realizzazione di opere pubbliche del calibro della diga foranea di Gela, di un’ala dell’ospedale “Sant’Elia” di Caltanissetta, della galleria “Cipolla” sullo scorrimento veloce di Licata, dello svincolo di Castelbuono nel palermitano e della galleria “Cozzo Minneria” sulla A20.  Fatturazioni poco chiare, mafiosi di primo piano, tra tutti Giuseppe Madonia e Francesco La Rocca, la volontà del profitto ad ogni costo: mafia ed impresa, quanto conta, spesso unite.

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