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Il ddl non supera la prova emendamenti

Di Stefano Fantino il . Istituzioni

Il nuovo disegno di legge in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali in discussione in questi giorni al Senato presentato con le sue modifiche, in dodici punti, dai relatori di maggioranza Centaro e Caliendo, non reca con sé elementi che possano permettere di sorridere. Anzi, per magistrati e giornalisti le “novità” apportate dagli ultimi emendamenti suonano perfettamente in linea con la versione precedente, magari nascoste e camuffate dietro qualche stratagemma semantico. A guardare bene a fondo sono infatti pressoché identici i riflessi negativi che questo ddl avrà sulle indagini dei magistrati; per i giornalisti neanche l’illusione di un cambiamento: il disegno si conferma una vera e propria stoccata alla libertà di informazione, al punto che i sindacati di categoria scenderanno in piazza per dare battaglia. In attesa dell’inizio del voto sugli emendamenti presentati dal Governo che avrà inizio il prossimo mercoledì 28 aprile in commissione Giustizia, cerchiamo ora di analizzare il ddl alla luce di queste ultime variazioni, dettate alla maggioranza dalla aspre critiche che la Magistratura e il capo dello Stato avevano mosso al primo documento. 

Lunedì le agenzie battevano la notizia riguardante il positivo incontro tra Luca Palamara, Anm e il presidente del Senato Schifani. Al centro la volontà governativa di sostituire il requisito “evidenti indizi di colpevolezza” con “gravi indizi di reato”, ben accolta dai magistrati e dai tanti che avevano ritenuto la prima formulazione assurda. Così è stato la proposta di modifica 1.100 indica come presupposto il «gravi indizi di reato». Più avanti nel testo presentato si specifica che nella valutazione di questi stessi “gravi indizi di reato” «si applicano le disposizioni di cui agli articoli 192 e 195» del codice di procedura penale. Questo punto, secondo il procuratore aggiunto a Palermo, Antonio Ingroia, non farebbe che rendere inutile la nuova dicitura, dato che se ci si riferisce all’articolo 192 , ha dichiarato a Repubblica, «equivale a dire che non saranno sufficienti indizi di reato ma ci vorranno ancora quelli di colpevolezza». 
Per Ingroia il riferimento a quell’articolo implica di fatto la ricerca di colpevolezza e non di indizio di reato, come la nuova dicitura asserisce. Molte sono infatti le condizioni che fanno seguito a questo cambio linguistico: innanzitutto che le utenze siano intestate «a soggetti indagati ovvero […] intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti diversi che, sulla base di specifici atti di indagine, risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede e sussistono concreti elementi per ritenere che le relative conversazioni o comunicazioni siano direttamente attinenti ai medesimi fatti». E, a questo collegato, anche i luoghi devono appartenere o essere utilizzati dall’indagato o da persone che risultino a conoscenza dei fatti per i quali si procede. Questa variazione implica inutilizzabilità di quando potrebbe emergere dalle intercettazioni qualora emergesse dalla stessa un reato differente da quello per le quali era stata autorizzata l’intercettazione stessa. Inoltre qualora le operazioni venissero autorizzate sarà compito del tribunale dare conto dei presupposti, con una valutazione autonoma, che non siano però desunti da conversazioni intercettate nello stesso procedimento. 
La valutazione non potrà basarsi su dichiarazioni rese dal coimputato, né su testimonianze indirette, né su dichiarazioni rese da informatori non interrogati. Un’altra novità riguarda le disposizioni: a decidere sulle intercettazioni, possibili solo se «assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini» sarà non più il Gip ma il Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, con la possibilità di prorogare di quindici giorni, per un totale quindi di settantacinque, i giorni di intercettazione, qualora emergesse la necessità di impedire altre attività delittuose. Questo limite temporale è stato criticato dall’Anm che in una nota ha sottolineato l’irragionevole decisione di prevedere un termine di scadenza che rischia di rendere inutilizzabile lo strumento. Le altre novità riguardando i parlamentari, destinatari di un trattamento particolare: se si intercetta qualcuno che conversa un parlamentare, sarà necessario richiedere autorizzazione alla giunta di Senato o Camera e i tabulati o i verbali saranno trasmessi al procuratore della Repubblica e separatamente conservati. 
Per quanto riguarda questo ddl non avrà retroattività e impedisce, inoltre, le registrazioni private senza che venga avvertito il destinatario della registrazione: pene severe dai 6 mesi ai 4 anni. Un capitolo a parte riguarda i giornalisti. Infatti di fianco al comma 7 del ddl, modificato come segue, che prevede che sia sempre «vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione e [..] riguardanti fatti, circostanze e persone estraneee alle indagini, non acquisiti o non trascritti o di cui sia stata disposta l’espunzione » vi sono elementi che puniscono severamente il racconto giornalistico e diversamente dalle altre disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso. Sono state rese più severe le norme riguardanti la pubblicazione di atti coperti da segreto al punto che il cronista che pubblica in tutto o in parte atti di un procedimento penale di cui sia vietata la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda dai due ai diecimila euro, mentre se ad essere pubblicato è il contenuto delle intercettazioni, si applica l’arresto fino a due mesi e l’ammenda dai quattromila ai ventimila euro. Comportando peraltro anche la sospensione temporanea dall’esercizio della professione. 
Passato alla prova degli emendamenti che avrebbero dovuto sanarne alcune parti menomate, il ddl rimane nella sua gravità: pericoloso sul lato giudiziario, estremamente avvilente del compito dell’informazione nel punire i cronisti. Il 28 all’inizio dei lavori la manifestazione indetta dalla Fnsi darà voce a chi vede in questo disegno un machete affilato diretto al corpo della libertà di informazione.

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