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Ponente, terra di confine e di conquista

Di Stefano Fantino il . Liguria

Un altro rogo, questa volta una macchina, ha illuminato la piccola cittadina di confine ed è finito sulle pagine dei giornali. I carabinieri di Ventimiglia, intervenuti martedì scorso per le indagini di rito, hanno parlato di probabile origine dolosa: uno dei tanti casi che negli ultimi mesi hanno riproposto una pratica ben nota a chi, nella striscia di terra tra Sanremo e il confine ci vive. E che, negli anni, ha visto finire arsi dalle fiamme stabilimenti balneari, bar, negozi, macchine. Non senza scontrarsi con segni ancora più evidenti di una presenza mafiosa da troppi sottovalutata. È sempre dei giorni scorsi l’arresto del latitante ventimigliese Maurizio Chiappa, estradato dalla Francia, condannato a 21 anni e 9 mesi di reclusione per omicidio. Fu lui, più di vent’anni fa, l’8 giugno 1989, a sparare in pieno a volto ad Aurelio Corica nella città intemelia: una esecuzione maturata in seno a una guerra sul territorio tra le famiglie calabresi, che a cavallo tra anni ’80 e ’90, si disputavano il controllo di quel canale di confine, particolarmente ambito per il traffico di sostanze stupefacenti.

Una presenza decennale

La presenza della mafia calabrese nel Ponente Ligure è da considerarsi tutt’altro che una novità. Lasciando momentaneamente da parte il fenomeno, comune a gran parte di regioni del Nord, del soggiorno obbligato, in Liguria la presenza calabrese è legata alla rinascita economica del secondo dopoguerra.

Fin dagli anni Sessanta, conferma la dottoressa Anna Canepa, magistrato originario proprio di Ventimiglia e attualmente in forza alla Direzione nazionale antimafia, «si è verificato un rilevante afflusso di immigrati dal meridione attirati dalla attività di florivivaismo, dalla possibilità di lavorare nella vicina Francia e dalla apertura di cantieri, primo fra tutti quello per la costruzione della autostrada». Tra questi anche diversi esponenti di spicco della ‘ndrangheta, lesti ad approfittare della centralità strategica del Ponente grazie alla vicinanza con la frontiera francese: traffici di droga e armi e reinvestimento nel terzo settore così sviluppato in Riviera, grazie al turismo di massa che, soprattutto nei decenni scorsi, triplicava le presenze turistiche durante le estati, favorendo ghiotti business.

A ribadire la ormai radicata presenza delle ‘ndrine sul territorio regionale è, in un’ intervista apparsa nel 2004 sul mensile Narcomafie a firma del collega Marco Nebiolo, il dottor Vincenzo Macrì, adesso procuratore alla Direzione nazionale antimafia, che in questo modo sintetizzava la questione:  «La presenza della ’Ndrangheta in Liguria non è affatto recente. Al contrario, la Liguria, insieme a Lombardia e Piemonte (compresa la Val d’Aosta) è una delle prime regioni che già negli anni Settanta conoscevano la presenza di numerose cosche in tutta la regione. Tracce evidenti se ne trovano in numerosi processi condotti in quella regione, già all’epoca del famoso caso “Teardo”. Risulta la presenza delle cosche Asciutto, Grimaldi, Bruzzaniti, De Stefano (in particolare hanno operato in quella regione personaggi dello spessore di Paolo Martino e Vittorio Canale), e molte altre ancora».

L’ “affaire Teardo”, la politica e  i locali di ‘ndrangheta

Il caso Teardo cui si riferisce il dottor Macrì è uno dei più importanti avvenimenti giudiziari che la storia regionale ricordi: il processo all’allora presidente della Regione Liguria Alberto Teardo, socialista, coinvolto in un sistema di racket e tangenti che toccava tutta la regione. Al di là delle valutazioni sul processo che ha visto, per esempio cadere le accuse, relative ai reati di tipo mafioso, è emerso dalle indagini il ruolo che le ‘ndrine calabresi, soprattutto al Nord, avevano nell’organizzazione del consenso elettorale. Diversi, all’epoca furono gli interrogatori in cui personaggi calabresi, operanti e residenti nella conurbazione intemelia, ovvero l’area urbana che comprende Ventimiglia  e le città  limitrofe,   mostravano a vario titolo connessioni con Teardo e il suo entourage.
Ciò chiarito, nel corso dei decenni attività investigative soprattutto, molto meno certezze giudiziarie, hanno accertato sicuramente la sussistenza di più strutture  orizzontalmente organizzate, di almeno quattro “locali”, che per la ‘ndrangheta costituiscono le unità territoriali minime di riferimento: uno in Ventimiglia , considerato il centro nevralgico, uno operante in Genova, un altro attivo nella zona di Levante e più precisamente in Lavagna, sempre nel genovese e un quarto in Sarzana, nello spezzino. La centralità del locale ventimigliese deriverebbe da quella che sempre Macrì ha definito «una struttura di ’Ndrangheta assai importante, detta “camera di compensazione”, in quanto ha il compito di raccordare le attività mafiose della regione con quelle dei “locali” di Nizza e dell’intera Costa Azzurra».
Questa “camera di controllo”, usando la terminologia della dottoressa Anna Canepa, di cui diversi pentiti hanno parlato, come ci ha confermato Macrì durante un colloquio nel marzo scorso, ha il compito di assicurare stabilità di rapporti, sinergie logistiche e operative, strutture integrate, a sostegno di una serie di attività di vario tipo, che vanno dal traffico di sostanze stupefacenti, alle attività di usura che si muovono abitualmente intorno alle case da gioco, al riciclaggio di proventi illeciti in attività commerciali e nell’acquisto di beni immobili, e infine al  rifugio di latitanti eccellenti.

In questo si è nei decenni segnalato l’operato delle ‘ndrine ventimigliesi: i locali presenti in Francia in particolare a Mentone, Marsiglia, Nizza e Tolosa coordinati da quello ventimigliese hanno spesso accolto oltre frontiera pericolosi  esponenti della ‘ndrangheta reggina. Molti furono catturati proprio in Costa Azzurra. Ad esempio   Paolo De Stefano a Cap d’Antibes oppure Luigi Facchineri, inserito tra i 30 latitanti più pericolosi, acciuffato a Nizza il 31 agosto 2002. Città teatro già nel 1993 di un esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro, seguito da personaggi del calibro di Natale Rosmini, Antonio Mollica e Carmelo Gullace, tutti scovati nella latitanza francese.

Il Ponente nel rapporto 2009 della Dna

Nel 2006 fece un certo scalpore, nel circondario intemelio, il  Rapporto di Ricerca sulla realtà socio-economica-criminologica della città  di Ventimiglia, il cosiddetto “Rapporto Carrer”, dal nome del criminologo genovese che lo scrisse. La dettagliata analisi alla base dello scritto dipinge una cittadina di confine pericolosamente in mano alla criminalità mafiosa e funge allo stesso momento come pungolo per una società e una politica locali che, vezzo comune al Nord, preferisce non vedere. Eppure, anche quest’anno, quanto emerge dalla relazione della Dna, questa volta redatta dal magistrato Canepa, non fa che rinforzare gli elementi che già da anni si affastellano, sulla grave situazione del Ponente: «significativi e ormai radicati insediamenti mafiosi si registrano soprattutto nel Ponente Ligure, ove si riscontra una presenza più numerosa di esponenti delle cosche della Piana di Gioia Tauro e delle cosche della città di Reggio Calabria». Il numero di locali pare aumentato, stando alle relazioni degli ultimi anni che vedono in Sanremo, Imperia, Taggia e Rapallo, nuove concentrazioni di potere mafioso. Secondo la Dna alla tecnica di mimetizzazione e sommersione attuata dalle cosche  «corrisponde una coerente espansione della dimensione affaristica dei medesimi gruppi, risultando da molteplici fonti investigative l’interesse di soggetti legati alla ‘ndrangheta’in attività economiche legali controllate attraverso una fitta rete di partecipazioni societarie (nel campo
dell’edilizia, soprattutto, ma anche dello smaltimento dei rifiuti e del commercio) e una spregiudicata pressione usuraria su operatori economici locali funzionale ad obiettivi di sostituzione nell’esercizio delle imprese in crisi finanziaria».Per questo motivo le possibili infiltrazioni nella politica potrebbero essere un nodo da affrontare: «La crescente ampiezza della sfera di interessi economici ruotante attorno alle varie anime della ‘ndrangheta presenti nella regione ligure ben contribuisce a spiegare l’attivo interesse di tali articolazioni, registrato in recenti contesti investigativi, a individuare in ambito locale specifici referenti amministrativi e politici – sottolinea la relazione- oltre che a rinsaldare e saldare le molteplici relazioni delle proprie rappresentanze economiche fiduciarie con gli ambienti imprenditoriali della regione».

E se sulla presenza forte delle ‘ndrine i dubbi investigativi sono ormai pochi c’è da segnalare come all’interno di un contesto fortemente “calabrese” si siano inseriti interessi camorristici, come la Dna nota, riguardo una indagine focalizzata su un soggetto in passato considerato punto di riferimento di esponenti della Camorra nel Ponente ligure insediatisi in quel territorio al fine di gestire e controllare gran parte dei traffici illeciti che su di esso venivano consumati. D’altronde la gestione del gioco d’azzardo, nella vicinissima città di Sanremo  ha progressivamente segnato «un avvicinamento tra gruppi legati alla Camorra e Calabresi». Con buona pace di chi, nel Ponente, vede solo la Riviera dei Fiori delle cartoline di 50 anni fa.

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