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La Riviera dei Fuochi

Di Stefano Fantino il . Liguria

«Non sono tanti quelli che vogliono
rilevare quell’attività, sanno che potrebbero bruciargliela il
giorno dopo». Non è raro, girando per Ventimiglia e parlando con la
gente del posto, sentire frasi come questa: per chi in questi luoghi
ci è nato e cresciuto, il problema del racket e degli incendi è
ormai qualcosa di assodato, talmente frequente da aver saturato
l’immaginario collettivo. Ed essere diventato un tratto costituente
della realtà ventimigliese. Negli anni stabilimenti balneari, bar,
ristoranti, gelaterie, hanno tutte subito incendi notturni di dubbia
origine, anche se quasi sempre per calmierare i toni si è parlato di
corto circuiti, atti vandalici generici, quasi mai di mafia. Cosa
pressoché impossibile in quel lembo di terra a pochi chilometri dal
confine francese? Per tanti purtroppo si. Eppure la sequela terribile
che negli anni ha visto un numero imbarazzante di roghi e di
attentati ad attività commerciali avrebbe dovuto accendere più di
una spia. Qualcosa che non va in queste zone c’é, lo si sa dalle
attività investigative che da tempo riconoscono a questa zona il
ruolo di “leader” mafioso in Liguria, e lo si può anche
percepire girando per le strade cittadine di sera , laddove il
grigiore, il silenzio e la sonnolenta vita notturna appaiono la
diretta conseguenza di un controllo territoriale esercitato per
mantenere una sorta di aria grigia, utile a traffici e macchinazioni
e non deputata al fervore sociale e culturale.

Ponente in fiamme

Questo qualcosa è stato ben intuito
dal procuratore capo di San Remo, il romano Roberto Cavallone,
insediatosi a fine 2008 presso la città matuziana, e sotto la cui
giurisdizione, cadono tutti quei territori che conducono fino alla
frontiera, la zona più calda della Liguria. «Non mi aspettavo di
trovare una situazione così grave, il numero degli attentati supera
di molto i limiti fisiologici» ha dichiarato dopo pochi mesi
Cavallone, allarmato da un numero di incendi che già nei primi mesi
del suo mandato ha avuto una significativa accelerata. Difficile
capire a chi si deve l’opera dolosa, tra la ‘ndrangheta, fortemente
insediata a Ventimiglia, dove ha sede il “locale” di riferimento
per la regione e la camorra, storicamente più presente nella città
di San Remo e legata a doppia mandata con i traffici e i business
della costa Azzura. Verso la fine del 2009 la situazione si fa
preoccupante : il 15 novembre, sul lungomare di Ventimiglia brucia la
vettura di un operaio, di 40 anni mentre il 18 a Imperia prende fuoco
il furgone di un ambulante straniero. Fiamme anche il 19 novembre, a
Vallebona, un’altra auto e uno scooter; il 23 novembre, a Cipressa
brucia l’auto di un agente della polizia municipale e il 7 dicembre
brucia il dehor di una pizzeria, a Vallecrosia; il 13 dicembre prende
fuoco la veranda di un bar-pizzeria di Pian di Poma, a Sanremo. Non
basta, sempre a dicembre, il 15 in località Villetta a Sanremo,
ignoti aprono una bombola del gas in una “rostelleria”, dopo aver
infranto l’ingresso e appiccano il fuoco. Il 17 invece, a Bordighera
viene devastato dalle fiamme un chiosco di fiori appartenente alla
figlia dell’assessore Franco Colacito.

Ma il Ponente non smette di bruciare:
il 5 gennaio, davanti al commissariato di Polizia di San Remo in
corso Cavallotti, prende fuoco il bar ‘La Palma’. Nei giorni
seguenti la Procura rilascia un comunicato molto forte in cui
Cavallone invita tutta la popolazione ad abbattere il muro di
silenzio:

«Occorre che chi sa, si faccia avanti,
perché l’atteggiamento di subire non paga e porta soltanto
all’aggravarsi della situazione. Bisogna, dunque, infrangere quel
muro di omertà, ma soprattutto non cercare protezione, da chi
protezione non può darne». Parole molto forti che denotano la
consapevolezza di non essere di fronte a casi fortuiti ma a un
problema serio di criminalità organizzata di tipo mafioso.

Tra misure preventive e impegno civile

In una recente intervista il
Procuratore ha confermato di fare tutto ciò in suo potere e
segnalare alla Dda genovese questi segnali, che potrebbero poi
avviare indagini sul 416 bis, competenza della distrettuale antimafia
regionale. Nel frattempo Cavallone ha preannunciato nuove misure di
sorveglianza speciale come ulteriore strategia di contrasto
all’emergenza incendi. Una battaglia, quella delle forze dell’ordine,
da combattere anche civilmente e culturalmente, come ha sottolineato
Matteo Lupi, referente regionale di Libera, che proprio
nell’imperiese ha un suo punto di controllo privilegiato. «Il
quadro molto preoccupante che emerge non può tuttavia essere
affrontato in modo ESCLUSIVO dalle forze dell’ordine e dalla
magistratura inquirente, in grande difficoltà operativa a causa di
organici carenti, di fondi sempre più scarsi, dichiara
l’associazione in una nota – ecco perché crediamo che l’opinione
pubblica, la comunità educante e la cittadinanza tutta debbano
essere sempre più coinvolte in iniziative di sensibilizzazione
affinché anche le coscienze non vengano infiltrate da sentimenti di
illegalità e soprattutto di indifferenza a fronte di una situazione
sociale che desta grave preoccupazione». Il testo è stato diramato
dopo un altro grave fatto che ha visto protagonista la provincia. A
Taggia, in pieno giorno a inizio marzo, un uomo ha esploso diversi
colpi di pistola contro un rivale, non riuscendo però ad ucciderlo.
L’uomo, già noto alle forze dell’ordine per frequentazioni in
ambienti malavitose è stato poi prontamente rintracciato dai
carabinieri. Rimane un gesto per molti inimmaginabile, anche se non
isolato nel contesto rivierasco.

Voto, custodie cautelari e ricordi del
passato

Era il 1989 quando Maurizio Chiappa
uccise a Ventimiglia, sparandogli in pieno volto, Aurelio Corica.
Proprio in questi giorni, estradato dalla Francia, Chiappa,
condannato a 21 anni di carcere è rientrato in Italia.
Quell’esecuzione, cruenta nei modi, era maturata nell’ambito della
‘guerra’ tra le famiglie criminali calabresi della provincia di
Imperia, in atto tra il 1980 e il 1990, per il controllo del traffico
di sostanze stupefacenti. Anche ora che il locale di Ventimiglia ha
visto parzialmente persa, dopo Schengen, la sua funzione di cerniera
con l’estero, la presenza criminale mantiene alto il suo controllo
sul Ponente. Sempre a marzo scorso, su richiesta del procuratore di
Sanremo Roberto Cavallone, è stata disposta una misura della
sorveglianza speciale nei confronti del pregiudicato calabrese
Antonino Palamara, residente a Ventimiglia, 70 anni, ritenuto molto
vicino alla cosca Piromalli. è già con numerosi precedenti a carico
per traffico di armi e di droga.

E mentre si approntava la campagna
elettorale è anche capitato che a Camporosso, città della
conurbazione ventimigliese, il point elettorale di un candidato
prendesse fuoco. Occhi aperti, dicono in procura. Al punto che ci si
comincia a interrogare anche sulla possibilità, non tanto peregrine,
di vedere nel gioco politico un possibile interesse criminale, grazie
alla pervasiva presenza in zone cittadine che permetterebbero il
potenziale spostamento di centinaia di voti. Non sarebbe che un altro
segnale del controllo di alcune zone, come ad esempio la città
medievale di Ventimiglia, dove si è concentrata da decenni la
pressoché totalità degli immigrati calabresi. Solo qualche
settimana fa cinque turchi di etnia curda, regolarmente in Italia,
sono stati assaliti e pestati a sangue da un gruppo di residenti, in
un campetto di calcetto. “Ventimiglia Alta è solo dei calabresi”
avrebbero detto ai malcapitati, prima che i Carabinieri ne
acciuffassero quattro, poche ore dopo. 2010, Ventimiglia, Liguria,
Italia.

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