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Le riforme nella nebbia

Di Roberto Morrione il . L'analisi

Il dibattito sulle “riforme” è di nuovo in primo piano sulla scena nazionale, riempie le pagine dei giornali e gli schermi televisivi, domina le esternazioni degli stati maggiori dei partiti. Superate le elezioni regionali, vinte dalla Lega e indirettamente da Berlusconi, che è straripato in chiave personale nel sistema mediatico da lui controllato, dopo che una parte del Paese ha marcato nell’astensionismo la crescente e trasversale sfiducia verso la politica, con il conseguente calo di consensi di tutti i partiti, i nodi che incombono sul Paese si ripresentano dal punto in cui erano mesi fa. Che l’Italia abbia un grande, antico bisogno di cambiamenti legislativi e operativi che incidano sulla situazione economica, sociale e civile, facendo funzionare in modo radicalmente diverso le istituzioni e l’amministrazione pubblica, è al di fuori di ogni dubbio, come non si stanca di ricordare il Capo dello Stato. Da dove e come partire è però ancora avvolto in una nebbiosa genericità che nasconde divisioni profondissime, opposte visioni delle priorità e dello stesso ruolo del potere esecutivo e di quello legislativo. Proviamo a elencare alcune contraddizioni, destinate peraltro a esplodere. Il governo, su imperativo comando del leader, pone in testa la cosiddetta riforma della Giustizia, che ha in primo piano il controllo e la limitazione delle intercettazioni, sia dal punto di vista delle indagini giudiziarie, sia da quello dell’impossibilità di pubblicazione fino all’avvio del procedimento giudiziario. Seguono a ruota, come più volte ribadito dal ministro Alfano, i progetti di separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti, un radicale cambiamento dell’assetto del CSM, il passaggio della polizia giudiziaria dalla dipendenza ai PM a quella al ministro dell’Interno, a cui si è aggiunto recentemente da parte di Maroni l’idea di rinunciare all’obbligatorietà dell’azione penale, vero cardine di una “legge uguale per tutti”. Che tutto questo o anche parte di ciò possa essere accettato dall’opposizione, almeno da quella rappresentata dal PD e dall’IDV, è fuori di qualsiasi logica, a meno di una paludosa trattativa sottobanco che coinvolga settori del PD, chiamato però a una trasparenza di scelte che gli stessi risultati del voto, l’esigenza di uno schieramento alternativo unitario e la disaffezione astensionista sembrano rendere irreversibile. C’è poi la spinta presidenzialista, impressa da Berlusconi nella variante avanzata dalla Lega, ma che prefigura una strutturale modifica della Costituzione, di fronte alla quale è impossibile che l’opposizione accetti di recedere dalla difesa dei principi fondanti della Carta. E’ antitetica inoltre, almeno finora, la richiesta dell’opposizione di mettere in primo piano una nuova politica economica e di incentivi sociali per l’occupazione, il precariato, gli aiuti alle famiglie, nonchè di avere il Parlamento come unica sede del confronto, per evitare pericolosi “pacchetti” a tavoli separati. E su tutto pendono i provvedimenti “ad personam” presentati dal governo per sottrarre Berlusconi dai suoi guai giudiziari. L’approvazione da parte del Presidente Napolitano di quel “legittimo impedimento” che aveva suscitato il rifiuto dell’opposizione e sul quale si pongono anche a livello giuridico forti dubbi di costituzionalità, ha reso certo Berlusconi più tranquillo, rafforzandone l’immagine e offrendogli altre carte da giocare nel confronto, ma ha suscitato critiche e malumori, con il PD contrario alla risposta referendaria avanzata subito da Di Pietro. Si teme infine che la mano tesa del premier, alla luce di troppi suoi comportamenti precedenti, nasconda in realtà il randello di chi ha in mente solo l’assalto finale alla diligenza, per dirigerla sull’onda populista verso il Quirinale… 

Infine registriamo che fra le priorità avanzate finora dal governo, a parte vaghi accenni del ministro dell’Interno, non figura una nuova politica per colpire al cuore gli interessi criminali e il sistema di complicità che ne ha consentito il dilagare nell’economia legale, a partire da una vigorosa normativa anti-corruzione e contro il voto di scambio per fronteggiare il fiume degli scandali legati agli appalti pubblici e alle cattive amministrazioni sui territori, con una trasversalità politica che ripropone drammaticamente l’irrisolta “questione morale”. E’invece un buon segnale l’approvazione in parlamento della decisione governativa di istituire l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alle mafie, obiettivo sul quale si è a lungo battuta Libera, che collaborerà per la buona riuscita dell’iniziativa. Una decisione voluta da Maroni, per lo meno in controtendenza con numerosi atti in direzione opposta, quali la decisione di vendere all’asta i beni sequestrati e non assegnati a uso sociale, la vergognosa non ottemperanza della richiesta del prefetto e del ministro dell’Interno di sciogliere a suo tempo l’amministrazione di Fondi per complicità mafiose, la permanenza al suo posto del sottosegretario Cosentino, di cui era stato chiesto addirittura l’arresto per contiguità con i clan casalesi della camorra. Vedremo dunque sul campo, così come possono essere densi di ricadute gli esiti delle inchieste e dei processi in corso a Palermo (e in altre Procure) sulle trattative fra Stato e Cosa Nostra a metà degli anni ’90 o nei confronti di Marcello Dell’Utri, giudicato in appello dopo la condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, per non parlare delle nuove indagini sull’ipotesi di analogo reato nei confronti del potente governatore Lombardo. La realtà, dunque, come spesso è accaduto nella storia della Repubblica, potrebbe irrompere in modo imprevedibile nella situazione del Paese. Libera e con essa Libera Informazione, faranno in ogni caso quanto è nei propri fini morali e civili, soprattutto per informare un’opinione pubblica tenuta all’oscuro e distratta da un dominio dell’informazione televisiva mai come oggi fuori da ogni controllo democratico, come ha dimostrato l’uso spregiudicato e autoritario che ne è stato fatto nell’ultima campagna elettorale.

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