La “caccia” a Messina Denaro
La Procura antimafia di Palermo ha chiesto di processare per favroeggiamento e associazione mafiosa la gran parte degli indagati finiti in manette la scorsa estate individuati quali “postini” del capo mafia latitante Matteo Messina Denaro. Sono quei soggetti inquisiti nell’ambito dell’operazione antimafia Golem 1, quella che scompaginò quel gruppo di complici del mafioso ricercato dal 1993 e che avevano come base operativa un oleificio di Campobello di Mazara. Si trattava del gruppo più esterno a quel circolo concentrico di favoreggiatori del capo mafia del Belice legati alla cerchia più vicina a Messina Denaro arrestati appena qualche settimana addietro nel blitz di Polizia denominato Golem 2; indagini che hanno consegnato uno scenario non nuovo ma che ha suscitato impressione come se fosse inedito. Ossia l’esistenza di una rete di complici di Messina Denaro che si muovono attorno a lui proteggendolo con una partecipazione di sentimenti che fanno del capo mafia ricercato per scontare una serie di ergastoli, essendo stato autore e mandante di stragi e delitti, una sorta di icona da adorare. Non è il rispetto che le storie mafiose hanno da tempo consegnato alle nostre conoscenze è qualcosa di più che è simile alla devozione religiosa. Complici che stanno affianco al capo mafia non per paura, per soggezione, o magari perchè possano guadagnarci qualcosa in termini di soldi o altro, ,a uomini che sono convinti di trarre prestigio o che riconoscono nel boss un uomo perseguitato come lui racconta di se. E dunque non è un caso che a poche settimane dai nuovi arresti, a poche ore dalla notizia della richiesta di rinvio a giudizio per i complici del boss, a Castelvetrano acacde di un furgone che va in giro per mandare un sinistro messaggio.
Il messaggio del boss. È un giallo la storia dell’avvistamento di un furgone bianco fermo, qualche giorno fa, in una traversa del centro storico di Castelvetrano, dietro il quale vi era scritto. «cu voli mali a mattè avi la morte d’arrè», che tradotto manda un messaggio lugubre: «Chi vuole male a Matteo – chiaro il riferimento al latitante Matteo Messina Denaro – ha la morte dietro». Il messaggio era accompagnato dall’immagine di un teschio. La notizia è finita anche con il girare su Facebook, ma quando sono scattate le ricerche delle forze dell’ordine di quel furgone non s’è trovara traccia. Il contesto e una serie di precedenti forniscono riscontro, nè confermano la fondatezza, è un fatto reale perché la scritta sul furgone non sarebbe altro che una ulteriore prova della esistenza della «idiolatria» di cui il capo mafia Messina Denaro si circonda e ne beneficia per sostenere la sua latitanza. L’operazione «Golem 2» di poche settimane fa ha consegnato in questo senso un quadro preciso: “u Siccu”, così viene appellato dai complici Messina Denaro, va adorato, gli investigatori hanno sentito dire questo intercettando i soggetti poi arrestati, tra questi il fratello del latitante, Salvatore Messina Denaro o l’imprenditore Giovanni Risalvato. La frase sul furgone potrebbe essere un segnale mandato in giro, Messina Denaro non si tocca. A Castelvetrano chi sta dalla parte del boss non ha mai mancato occasione per rendersi presente. Mani segrete per esempio nei giorni di aprile dell’anno scorso in coincidenza del compleanno del capo mafia andarono a deturpare uno dei murales disegnati dai ragazzi di Libera durante il passaggio della Carovana Antimafia sul muro di cinta di un parcheggio del centro storico, era comparso un viso somigliante ad una foto segnaletica di Matteo Messina Denaro, con l’indice alzato e un bocciolo di fiore vicino. E che a Castelvetrano possano girare certe lezioni lo racconta quanto accaduto un mese fa ad un giovane attivista di Rifondazione Comunista affrontato da coetanei che lo picchiarono mostrandosi con magliette addosso dedicate al padrino.
Il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 12 maggio davanti al gup del Tribunale di Palermo, giudice Petruzzella. Per complici e favoreggiatori del superboss latitante Matteo Messina Denaro la Procura antimafia di Palermo hanno chiesto il processo, alcuni di questi hanno già scelto la strada che li porta a definire le loro pendenze con la giustizia senza affrontare il pubblico dibattimento. La conferma che il «colpo» inferto da inquirenti e investigatori è stato sostanzioso, forte, difficile per gli indagati sostenere la estraneità. Ci sono le «tracce» lasciate, le loro voci intercettate. L’indagine è quella che lo scorso giugno portò la Polizia ad arrestare una serie di soggetti nell’ambito dell’operazione denominata «Golem 1». Gli arrestati sono parte della «catena di comunicazione» a disposizione del latitante Messina Denaro. Una «rete » che si collegava al cerchio più stretto di favoreggiatori finiti in manette alcune settimane addietro nell’ambito dell’altro blitz antimafia «Golem II». La richiesta di rinvio a giudizio riguarda Vito Angelo Barruzza,45 anni, il boss di Campobello, Leonardo Bonafede, 77 anni, Giuseppe Bonetto, imprenditore belicino, 54, i campobellesi Lea Cataldo, 47 anni, Salvatore Dell’Aquila, 48 anni, i fratelli Franco e Giuseppe Indelicato, 40 e 36 anni, ed ancora Aldo Luppino, 62 anni, imparentato col capo mafia ricercato, di Castelvetrano, ed ancora Mimmo Nardo, romano, 50 anni, ritenuto il «falsario» autore di alcuni documenti di identità usati da Matteo Messina Denaro per alcuni suoi spostamenti, anche all’estero, durante questa sua latitanza che dura da 17 anni. Tre imputati hanno scelto il patteggiamento per i reati contestati e cioè Leonardo Ferrante, partannese di 65 anni, ed i castelvetranesi Giovanni Salvatore Madonia, 44 anni e Mario Messina Denaro, 57 anni: la pena definita per ognuno di loro è stata di 5 anni. Dall’indagine sono usciti invece il castelvetranese Giovanni Garamella,28 anni, Francesco Mesi, 39 anni, di Bagheria, fratello di Maria Mesi la donna che per un periodo anni addietro ha avuto una relazione col capo mafia latitante, il partannese Francesco Li Vigni, 47anni e il funzionario della Regione Girolamo “Mimmetto” Coppola, 47 anni. Per questi soggetti la Procura antimafia ha ritenuto non sufficienti gli elementi per andare verso il processo.
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