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Acqua ed inquinamento: una storia tutta gelese

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Un investimento da oltre 100 milioni di euro, questo il programma, annunciato solo alla fine di Febbraio, da “Syndial spa”, società dell’ampio universo Eni, attiva entro i confini dello stabilimento petrolchimico gelese.  Fondi destinati al raggiungimento di un’essenziale meta: la bonifica della discarica di fosfogessi, già gestita da “Isaf”, Industria Siciliana Acido Fosforico, entità economica, oggi, in liquidazione.  

Non si tratta, certamente, di un’impresa di secondo piano; a Gela, infatti, venne realizzato, allo scopo di favorire la produzione di fertilizzanti, definitivamente interrotta nel 1992, il  più esteso sito per la raccolta dei materiali di risulta generati da tale ciclo di fabbricazione nonché da quello dell’acido fosforico: cinquanta ettari, per una capacità totale di sei milioni di metri cubi.  

Il problema essenziale inerente la sussistenza di una simile struttura sul territorio, proprio in piena area industriale, concerne la riconosciuta instabilità molecolare dei fosforiti, minerali di base con elevata concentrazione di fosfati di calcio, tale da rafforzare la percentuale di U-238, isotopo dell’uranio: il tristemente famoso uranio impoverito.  Così l’ “Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale”, “Ispra”, oggi “Apat”, descrive, all’interno dell’Annuario dei Dati Ambientali, gli effetti indotti dai fosforiti, “l’impatto radiologico dell’industria dei fertilizzanti è connesso con l’elevata concentrazione di U-238 nelle fosforiti (minerali di partenza costituiti da fosfati di calcio) e nei loro derivati. In passato erano presenti in Italia diversi impianti che producevano acido fosforico attraverso il processo a umido, con la formazione di fosfogesso come sottoprodotto; impianti che hanno cessato l’attività. Sono comunque presenti alcune aree in cui sono stoccati e smaltiti i rifiuti (fosfogessi o altri residui) che possono rappresentare una potenziale sorgente di esposizione della popolazione”.  

Il centro di raccolta è, dunque, allo stato attuale, una presenza assai “ingombrante”: bonificarlo, almeno stando alle parole dell’amministratore delegato di “Syndial spa”, Sergio Polito, diviene assolutamente necessario; per tale ragione si prevede la movimentazione di almeno 300 mila metri cubi di terreno, mentre un impianto, appositamente realizzato, dovrebbe consentire l’esaurimento chimico delle scorie, fino ad oggi generatesi, entro un arco temporale di tre anni.  

Disinnescare una possibile, e sofisticata, “arma”, permettendo, al contempo, la collocazione di un parco fotovoltaico, potenzialmente in grado di generare energia per un totale di 5-7 Mw/h, commissionato da “EnelPower spa”.  

Il paradosso, tutto gelese verrebbe da dire, si può facilmente desumere da una ricognizione a monte della stessa discarica: ordinari parametri di riflessione logica, infatti, escluderebbero, dalle fondamenta, la presenza di condutture per il passaggio di acqua destinata alla popolazione entro un perimetro decisamente a rischio.  

Ma l’area sotto esame, oltre ad avere accumulato per decenni ingenti quantitativi di materiali, causa prima, secondo il fronte ambientalista, di infiltrazioni talmente profonde da non poter essere intaccate neanche da un’incisiva opera di bonifica, ospita proprio una condotta per il trasferimento di acqua potabile.  

L’esistenza di una così  lampante incoerenza, del resto, è stata accertata dalla conferenza di servizi decisoria convocata, presso il “Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare”, il 23 Luglio dello scorso anno, alla presenza del direttore generale del dicastero, Marco Lupo: nonché da due precedenti conferenze, quelle del 31 Luglio 2008 e del 24 Luglio 2007.  

Il timore, espresso anche dai vertici ministeriali, di un’inevitabile commistione del liquido trasportato tramite le condutture con le sostanze prodotte dal sito di smaltimento, è, a quanto pare, assai sentito: al punto da indurre la conferenza alla formulazione di una richiesta, indirizzata al Comune di Gela, circa la realizzazione di urgenti, e non differibili, analisi radiometriche, volte ad escludere ogni ipotesi di inquinamento radioattivo delle acque.  Processo d’analisi tutt’ora in corso, vista l’assenza di definitive comunicazioni provenienti dall’ente locale.  

I più attenti osservatori della “questione ambientale” gelese, però, ben informati sulle quotidiane dinamiche in atto, descrivono, con assoluta cognizione di causa, uno stato assai fatiscente della condotta, soggetta a diverse rotture: ritenendo, dunque, praticamente scontata una contaminazione, in presenza, peraltro, di un’elevata concentrazione di isotopo dell’uranio (U-238).  
Acqua ed inquinamento, insomma: una storia tutta gelese. 

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