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Brindisi, operazione “Human Carriers”

Di Gaetano Liardo il . Internazionale, Puglia

Trenta arresti per tratta di esseri
umani e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ questo il
bilancio dell’operazione Human Carriers della Squadra Mobile di
Brindisi in collaborazione con lo SCO della Polizia e la Direzione
Centrale Anticrimine, e con l’ausilio dell’Interpol. Sgominato un
sodalizio criminale, composto da curdi e iracheni e da una donna
italiana, che organizzava il traffico di esseri umani verso l’Italia
e dal nostro paese verso Gran Bretagna, Francia e Germania. I
migranti arrivavano tramite la Turchia in Grecia e da qui, “caricati”
nei camion venivano fatti arrivare nei porti italiani di Brindisi,
Bari, Ancona e Venezia. Da Roma, base logistica dell’organizzazione,
venivano organizzati gli spostamenti verso le regioni del centro –
nord e verso gli altri paesi europei. L’organizzazione criminale
riusciva a far arrivare nel nostro paese 50 migranti a settimana
dietro il pagamento di una tariffa, a persona, che variava dai 3000
ai 6000 euro.

La tratta degli esseri umani nel tempo
si è dimostrato uno tra gli affari più  redditizi per le
mafie transnazionali. Il magistrato Giusto Sciacchitano scrive a tal
proposito nella relazione della Dna del 2009 che la tratta
«costituisce una delle fonti di reddito più interessanti per il
crimine organizzato transnazionale», e che «sarebbe diventata il
secondo business dopo il narcotraffico».

La legislazione italiana riconosce tre
tipologie di reato riconducibili alla tratta degli esseri umani:
riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 del
codice penale), la tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto e
alienazione di schiavi (art. 602 c.p.). Tuttavia, dall’analisi fatta
dalla Direzione nazionale antimafia non è sempre facile individuare,
perseguire e contrastare la tratta. Sia perchè è un fenomeno nuovo
e mutevole, che per la difficoltà di una effettiva cooperazione
internazionale. La tratta di esseri umani, infatti, per sua stessa
natura è un’attività criminale transnazionale che coinvolge i paesi
di origine, i paesi di transito e quelli di destinazione.
Intervengono quindi una molteplicità di attori criminali di diversi
paesi. «Le industrie della tratta – si legge nella relazione della
Dna – sono un circolo vizioso nel quale operano tutti i livelli del
crimine: dai piccoli gruppi alle grandi reti internazionali dove
tutti si arricchiscono operando su diversi versanti».

Come spesso accade nell’attività di
contrasto alle mafie, alla globalizzazione delle organizzazioni
criminali non corrisponde una globalizzazione degli strumenti della
magistratura e delle forze dell’ordine. Se i mafiosi riescono a
collaborare tra loro creando vere e proprie reti transnazionali che
rendono possibile crimini quali la tratta, lo stesso non succede, e
se succede non avviene con la stessa funzionalità, tra gli organi di
contrasto. Accade quindi che le Procure che in Italia indagano sul
traffico dei “nuovi schiavi” raramente fanno ricorso alla
collaborazione internazionale, anche perchè difficilmente possono
trovare dei riscontri positivi.

Per questo motivo la maggior parte
delle operazioni condotte riescono a bloccare i “basisti” delle
organizzazioni che operano la tratta, senza colpirne mai la
leadership, che in questo modo è in grado di riorganizzarsi
individuando nuove rotte. Si verifica spesso che le operazioni si
limitino ad individuare e disarticolare piccole reti criminali che
gestiscono lo sfruttamento della prostituzione, o lo sfruttamento
dell’immigrazione clandestina, senza però risalire alla più grande
organizzazione criminale che sta alla radice. Il risultato che così
si ottiene, si legge nella relazione della Dna, è che: «sembra che,
giudiziariamente, il delitto di tratta non esista; che la tratta non
è affrontata come attività della criminalità organizzata; in ogni
caso non si tratta di criminalità transnazionale e non si
perseguitano i veri capi che risiedono all’estero».

E’ bene inoltre notare, come si
può evincere dall’operazione Human Carriers, che le
organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani
non sono quelle italiane. Le mafie nostrane non sono interessate a
questo business, anche se si realizza nei “loro” territori,
limitandosi a tollerarlo. «Il rapporto che si può stabilire tra le
organizzazioni criminali italiane e quelle straniere – scrive la
Dna – è limitato a relazioni di affari che si traducono nello
scambio di servizi».

Gli italiani incassano una tassa dalle
mafie straniere che utilizzano il nostro paese come transito o
destinazione dei migranti, intervenendo, come è accaduto a Castel
Volturno o a Rosarno quando questi ultimi hanno iniziato a reagire
alla violenza e alla sopraffazione mafiosa, per tutelare i propri
interessi e riaffermare il controllo sul territorio. 

Il “business”  degli esseri
umani è una delle vergogne del nostro tempo. Pensare di
arricchirsi sulla miseria e sulla disperazione dei più deboli
non può essere tollerato. Occorre quindi che si accelerino le
misure di contrasto internazionale contro i trafficanti di uomini,
ponendo fine all’odioso mercato dei “nuovi schiavi”.

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