Le tre italie del dopo voto
La cosa più importante in queste elezioni è che per la prima volta la gente ha votato secondo criteri “etnici” e non politici: prima c’erano soprattutto una destra e una sinistra, ora c’è soprattutto un nord e un sud. Qualcosa del genere si era già verificato negli ultimi tempi della Jugoslavia.
La seconda cosa importante è che queste elezioni, che nessuno formalmente ha contestato, sono elezioni fino a un certo punto, falsate sia da irregolarità amministrative (la faccenda delle liste, ecc.) che dalla disparità, ormai ridicola, di propaganda. Entrambe queste caratteristiche sono ormai praticamente accettate. E’ dubbio, da questo punto di vista, che l’Italia sia ancora un paese democratico nel senso occidentale.
Dal voto sono usciti tre Paesi distinti – il Nord, il Centro con la Puglia, il Sud – dei quali almeno due, come statuto di fatto, sono completamente fuori dalla vecchia Costituzione. Al nord è ormai riconosciuta quasi dappertutto l’apartheid, che nell’Italia classica non è mai esistita nè a destra nè a sinistra nè in alcun’altra formazione; al Sud, dopo i fatti di Rosarno (ma prima ancora di Napoli), è ormai indubbio che il reale governo del territorio è gestito spessissimo da mafia, ‘ndrangheta e camorra (il Sistema). Neanche questo era previsto dalla precedente Costituzione.
La responsabilità delle varie sinistre, in tutto ciò, non è da poco. Il partito maggiore ha quella di aver lasciato crescere Berlusconi, con una tendenza all’inciucio (come ora in Sicilia) che sembra fare ormai parte del suo Dna. I minori quello di essersi colpevolmente divisi (Ferrero e Vendola), di aver navigato fra piazza e notabilato (Di Pietro), di aver trasformato giuste istanze in pasticci utili a nessuno (Grillo).
Se si dovesse sintetizzare, il vilain più emblematico risulterebbe Bassolino: accolto con entusiasmo da una popolazione ansiosa di cambiare, sostenuto con lealtà e coraggio dalla massa infelice ma fiera dei napoletani – e scivolato nel giro di pochi anni nell’arroganza, nel notabilato, nella corruzione e infine nel tradimento politico e sociale. Nessun segretario della sinistra sarà credibile se non farà piazza pulita, e pubblicamente, di tale gente.
Abbiamo perso il Lazio per pochi voti e il Piemonte per la coglionaggine (peraltro giustificata) dei grillini; ma la Campania e la Calabria li abbiamo persi perché abbiamo malgovernato, perché non siamo stati, come la gente ci aveva chiesto, antimafiosi.
Non è elevatissimo, il dibattito post-elezioni della sinistra: panico, accuse reciproche e ambizioni si sfogano liberamente e senza alcun senso di responsabilità. Tornano a farsi sentire i Veltroni, i D’Alema e gli altri affossatori del vecchio modello Pci, che pure organizzativamente (e purtroppo l’ha dimostrato Bossi) era quanto di più efficiente la sinistra italiana avesse mai prodotto. Negli apparati, i giovani non sembrano molto meglio dei vecchi, quanto a proclami apodittici gonfi di Io.
Alla base, per fortuna, il clima è differente. Rabbia (si è perso per pochissimo), volontà di lottare, patriottismo. Fra i giovani soprattutto c’è confusione, sconcerto, paura per l’avvenire ma non, o assai raramente, rassegnazione. E questo trasversalmente, senza gran distinzioni di partito. Chi spera in Vendola, chi in Bersani, ma in un Bersani o un Vendola visti non come grandi leader blairiani ma come servitori seri e modesti di noi tutti.
Il modello politico – lo ripetiamo ancora – per noi è quello dell’antimafia, libera, responsabile, combattiva e unita. Il progetto potrebbe ripartire dell’intervista estiva di Romano Prodi (qui a suo tempo ripresa), autocritico, anti-blairiano, irriducibilmente anti-destra, e ottimista.
da ucuntu.org
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