Sequestrata l’impresa di calcestruzzo al boss Mariano Agate
Il boss in carcere per decenni ha continuato a gestire la sua attività. Il suo cemento è entrato nei cantieri pubblici, nessuno degli imprenditori liberi ha mai pensato a fargli concorrenza, lui ha invece continuato a violare il mercato, col monopolio in chiave mafiosa. Mariano Agate adesso ha perduto il controllo della sua impresa. Adesso la Calcestruzzi Mazara, l’impresa di calcestruzzo di proprietà della «famiglia» Agate, noti esponenti mafiosi, è in mano all’amministratore giudiziario. Dopo i sequestri scattati in sede penale, dapprima con l’ordinanza emessa dalla Dda di Palermo, che ipotizzando l’uso dell’industria ai fini criminali disponeva il sequestro, all’inizio dell’anno e successivamente al sequestro nell’ambito dell’indagine antimafia «Eolo», perchè la sede dell’azienda era stata usata per un paio di «summit» serviti a mettersi d’accordo sulla costruzione del parco eolico di contrada Aquilotta, adesso è stato il Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani a strappare dalle mani dei «pericolosi» fratelli Agate, Mariano e Giovan Battista, le quote dell’impresa (5 mila per ciascuno, complessivamente 206 mila euro il valore delle 10 mila quote) affidandole ad un amministratore giudiziario. A questo punto la totalità dell’impresa di produzione di calcestruzzo è gestita dallo Stato, che già gestiva le quote (mille per circa 51 mila euro) appartenute all’altro socio, Nino Cuttone, e la Calcestruzzi Mazara si avvia verso la confisca. In provincia di Trapani è l’ennesima impresa che produce cemento che è passata sotto controllo giudiziario. Un lungo elenco di imprese controllate una volta dalla mafia.
La «Calcestruzzi Mazara» è stata sequestrata, è la prova materiale di come mafia e impresa possono costituire un binomio indissolubile. Il provvedimento del Tribunale di Trapani è dello scorso 2 marzo, ad eseguirlo sono stati gli agenti della sezione trapanese della Dia, la direzione investigativa antimafia. La proposta di sequestro risaliva al febbraio scorso firmata dal procuratore della Dda di Palermo Francesco Messineo. Dentro al faldone erano finite le indagini fatte sul conto dell’impresa e dei suoi titolari, Agate e Cuttone, da parte di Polizia e Guardia di Finanza, che avevano portato la magistratura al primo dei sequestri. A queste si erano aggiunte quelle dei Carabinieri anche per la parte relativa all’indagine sulla costruzione del parco eolico nel mazarese, ed ancora le risultanze investigative della Dia. Un vero e proprio accerchiamento da parte di investigatori e inquirenti, forze dell’ordine e magistratura, di quello che è stato da sempre il «fortino» del «padrino» Mariano Agate. Un capo mafia indiscusso, «se fosse libero lui non vi sarebbe un Matteo Messina Denaro a capo della mafia trapanese». Dentro l’impianto la «cassa» della «famiglia» mafiosa secondo gli investigatori, e poi quegli uffici sono stati usati per riunioni segrete della cosca, all’interno della Calcestruzzi Mazara sono stati commessi due delitti ed ancora la Calcestruzzi Mazara unica impresa di produzione di cemento della zona puntualmente riusciva ad entrare in tutti i cantieri quando i «don» non riuscivano a fare intestare a imprese loro vicine i relativi lavori pubblici. Da qui l’idea che fosse una sorta di «fortino» mafioso, adesso è stato espugnato. Gli stessi giudici delle misure di prevenzione ricordano che già altre richieste di sequestro erano finite nel nulla proprio perchè la gestione dell’impresa era tale da riuscire a coprire le malefatte che all’interno si nascondevano. Tutto questo però fino a quando con le «intercettazioni» non si sono raccolti elementi mai comparsi prima: come per esempio per telefono ad un imprenditore agrigentino, tale Rizzo, gli si dà l’ordine di rivolgersi alla Calcestruzzi Mazara per un appalto pubblico appena aggiudicatosi a Mazara. Oppure quando gli investigatori hanno potuto ascoltare un colloquio tra Nino Cuttone e l’imprenditore, da poco riarrestato, Matteo Tamburello (quello che minacciò gli imprenditori del parco eolico di contrada Aquilotta che senza il suo assenso non poteva essere “piantato” alcun palo). Tamburello ufficialmente non aveva interessi nella Calcestruzzi Mazara, ma essendo «parte» della «famiglia» mafiosa con Cuttone parla di soldi da spartire provenienti da quella impresa: «Vistu chi voi u cuntu di soldi, al 50 per cento li vogghiu, almeno se dumani succeri na ‘nsalata almeno mi pigghiai a metà e va fa ‘nculu». In sostanza la richiesta di avere i conti dell’azienda e di averne liquidati almeno il 50 per cento, così se succede qualcosa resta quello che si è riuscito a prendere, e infine il “va fan culo” in chiare lettere siciliane che di solito si dedica a chi si occupa di criminali soprattutto quando si riesce a far beffa di loro.
I destinatari del provvedimento di sequestro odierno sono i fratelli Mariano e Giovan Battista Agate, 71 e 68 anni, tutti e due, annotano i giudici delle misure di prevenzione, «sono pienamente inseriti nella cosca mafiosa mazarese, ricoprendo un ruolo di vertice».
Prima dell’odierna richiesta di sequestro ce ne erano state altre, una risalente al 1984 (proposta dalla Procura di Marsala), ma allora i giudici del Tribunale quasi sostennero che su Mariano Agate non c’erano prove certe sulla sua pericolosità, ma nel frattempo il suo nome saltava fuori dalle indagini sulla «Stella d’oriente» (società di export e import che serviva a nascondere canali di riciclaggio), dalle inchiesta sulla massoneria deviata di Trapani. Anni dopo ancora si scopriva che negli anni ’80 Agate era colui il quale dava ospitalità a Mazara al capo dei capi, Totò Riina. Nel 1995 fu avanzata nuova richiesta di sequestro della Calcestruzzi Mazara, ma allora non andò avanti, osservano gli odierni giudici, per una anomala conduzione della relativa perizia. L’ultimo provvedimento è stato accolto invece sulla base di prove ritenuti schiaccianti sull’uso di capitali e sulla relativa provenienza di questi soldi («capitali illeciti») nonchè per avere accertato che la società, come bilancio e come sede logistica, è stata usata «per il perseguimento di fini delittuosi». Il Tribunale ha annotato in sentenza come i «bilanci» possono apparire «corretti», ma la loro correttezza è all’interno di un «sistema criminale». È la nuova mafia, che riesce a fare apparire come lecito ciò che è profondamente illecito, la mafia che rende legale ciò che non lo è grazie alle infiltrazioni.
La famiglia Agate. Percorrendo la circonvallazione è possibile scorgere all’ingresso di Mazara del Vallo due grossi silos, sono quelli dell’azienda di produzione di calcestruzzi appartenente alla famiglia Agate. Cognome «pesante» in città, il principale protagonista è Mariano, capo mafia in assoluto, il suo nome è comparso in tante indagini sulla mafia siciliana, precise inchieste hanno dimostrato che per lui fare uscire messaggi dalla cella non è stato quasi mai un problema, anzi un giorno mandò i ringraziamenti a chi si interessava a far cambiare la legge sul 41 bis, sul carcere duro. Affianco a lui suo fratello, Giovan Battista, tornato in cella, condannato a 8 anni e 4 mesi nel processo sull’impianto eolico di contrada Aquilotta costruito a suon di «mazzette» e con un «patto» tra imprese e mafia. Indagato e assolto in diverse indagini è stato invece Epifanio Agate, figlio di Mariano, risulta, con la sorella Vita, dipendente della Calcestruzzi Mazara, per loro stipendio da super manager, 5 mila euro al mese. Forte l’alleanza tra gli Agate e i Messina Denaro. Il delitto Rostagno fu deciso, come racconta il pentito Sinacori, a Castelvetrano, Mariano Agate era infastidito per i servizi del sociologo e dall’aula del Tribunale disse ad un operatore della tv di Mauro di andare a dire «a chiddu ca varva e vestito di bianco che a finissi di riri minchiate».
Il caso del presidente dei revisori dei conti. Un paio di mesi addietro divenne un «caso» il fatto che la dott. Cinzia Puma fosse presidente del collegio dei revisori della Calcestruzzi Mazara e della Provincia regionale. Un filo che si spezzò con la Puma che rinunziò all’incarico «in casa dei mafiosi» poco prima che arrivasse il primo sequestro. La politica ha deciso di archiviare il caso, “turandosi” il naso.
Il presidente del Collegio dei Revisori dei conti non si è posta mai alcun problema mentre accadeva che tutti e tre i soci proprietari dell’azienda si trovavano per varie vicende, sempre mafiose, in carcere: Mariano sconta ergastoli anche per le stragi, suo fratello e Cuttone travolti dall’affare dell’eolico: l’impresa di calcestruzzi è risultata «strumentale» all’azione mafiosa, qui si sono svolti «summit», presenti il capo dei capi Totò Riina, qui si sono decise le strategie imprenditoriali, i cartelli di imprese si sono spesso ritrovati a concordare le regole per attaccare il libero mercato, fino appunto a discutere delle forniture di cemento per la costruzione di un parco eolico appena fuori Mazara, ma in questa azienda sono state nel tempo decise strategie di morte, qui secondo condanne definitive sono state ammazzate persone. Sono queste circostanze, prima che l’aspetto finanziario, ad avere portato al sequestro.
I delitti dentro l’impresa. Il pentito di Castelvetrano, Francesco Geraci, ha ricordato quando all’interno dell’impianto Matteo Messina Denaro gli presentò i boss mazaresi a cominciare da Mariano Agate che tornò ad incontrare quando la mafia pianificò l’attentato a Roma a Maurizio Costanzo. Fu dalla «Calcestruzzi Mazara» che si mosse il carico di armi con la raccomandazione di Mariano Agate a lui e «agli altri picciotti», «a tenere gli occhi aperti». Una intercettazione svelò anche altro, fu dal racconto sentito pronunciare ad un ex capo dell’ufficio tecnico del Comune di Mazara, l’arch. Pino Sucameli, che gli investigatori appresero di un summit con Riina e presente tutto il “gotha” mafioso siciliano e delle varie famiglie trapanesi: «Qui – disse Sucameli parlando con un altro uomo d’onore – alla Calcestruzzi… c’era tutta mezza Sicilia…c’era Totò Riina».
Tifavano per Amnesty international. Nello spazio sul web che pubblicizza le formidabili capacità della «Calcestruzzi Mazara» c’è anche un link che fa pubblicità ad «Amnesty International» e alla difesa dei diritti dell’uomo. Forse troppo per una impresa che è stata usata per attirare in tranelli persone poi uccise o per tenere riunioni di mafia per ordinare stragi.
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