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L’ombra della camorra sull’omicidio di Don Cesare Boschin

Di Ruggiero - Turri* il . Lazio

C’era già il calore della primavera quella mattina del 30 marzo 1995 quando gli occhi della perpetua si riempirono di orrore alla vista del corpo straziato e insanguinato di don Cesare Boschin, parroco della piccola chiesa di Borgo Montello,una frazione ubicata tra i comuni di Latina e di Nettuno. Gli investigatori si resero subito conto che la morte fu provocata da una violenta esecuzione avvenuta col metodo dell’ incaprettamento in chiaro stile mafioso e per le percosse sul volto che fecero ingoiare al prelato la dentiera. Oggi a  25 anni da quel delitto che sconvolse e ridusse al silenzio la piccola comunità di Latina,  i depistaggi e le colpevoli mancanze tengono ancora nell’ombra gli esecutori materiali e i mandanti di quella che sembra essere stata la morte “inutile” di uno sconosciuto sacerdote di periferia.

 Le indagini, cosi come era all’epoca,  prima dell’azione di contrasto nel basso Lazio alle mafie del prefetto Bruno Frattasi, esclusero ogni coinvolgimento di clan mafiosi che si diceva non operassero in alcun modo nella Regione. Per mettere a tacere quanti avevano ben compreso le ragioni di quella morte, si tentò di infangare la figura di don Cesare il cui  omicidio si vociferò essere maturato negli ambienti  gay e a scopo di rapina. Nonostante  nessuno seppe spiegare il perchè non furono rubati ben 800mila lire dell’epoca che  rimasero nelle tasche di don Cesare insieme agli  otto milioni delle vecchie lire lasciati  in un cassetto dell’armadio della canonica. Non furono mai rinvenute invece due agende nelle quali l’anziano sacerdote scriveva delle vicende del Borgo ed in particolare di quelle legate alla discarica e al traffico di rifiuti di cui tutti con paura parlavano e di cui un comitato di cittadini chiedeva spiegazioni alle istituzioni e mondo della politica. Quindi il messaggio dell’incaprettamento in stile mafioso fu bollato dalla Procura della Repubblica dell’epoca,  come un tentativo di depistaggio rispetto ad un delitto commesso da “balordi” nei confronti di un sacerdote con frequentazioni particolari. Questa versione dei fatti non ha mai convinto  i parrocchiani e   tutti gli abitanti del piccolo borgo .

Don Cesare non si era fatto intimidire dalla presenza dei nuovi abitanti del Borgo che parlavano il dialetto di Casal di Principe e che vantavano parentele criminali importanti. Anzi testardo e concreto come è la gente della sua terra d’origine ospitò nei locali della parrocchia quel comitato di cittadini che si  battevano contro l’interramento dei rifiuti tossici e industriali nella discarica del borgo. e si fece promotore di iniziative che smuovessero le coscienze di una classe politica che iniziava allora e che spesso continua a favorire l’ascesa dei clan mafiosi e i loro affari.  Quest’attività  non passò inosservata a quei criminali che risiedevano e risiedono più o meno indisturbati sul territorio e che si concluse con la morte violenta tipica delle vicende di mafia in cui si rimane soli. Quel comitato di cittadini dalla morte del prete  fu intimorito e cessò ogni attività.  Oggi, 25 anni dopo, ricordare  Don Cesare Boschin significa accendere i riflettori  in una terra dove parte importante delle Istituzioni politiche continuano a negare la presenza attiva delle mafie,nonostante lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Nettuno,confinante con Borgo Montello e la sua mega discarica, il caso Fondi e la confisca di innumerevoli beni al clan dei Casalesi a quasi tutte le ‘ndrine calabresi e clan mafiosi e le periodiche mattanze e gli attentati con il fuoco o il tritolo.

Gli inquirenti dell’epoca stabilirono che il decesso di Don Boschin fu provocato da una cruente aggressione compiuta da ignoti e il caso fu archiviato. E non tennero in alcun conto delle dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone che raccontava di come le mafie operassero e lucrassero sul traffico di rifiuti tossici e nocivi nella discarica di Borgo Montello e più in generale nel Lazio. Nel 25esimo anniversario dell’ omicidio l’associazione Libera chiede che il caso venga riaperto e che si faccia luce sulla morte di don Cesare. E  che venga definitivamente riabilitata la sua figura di uomo libero e coraggioso che ebbe il coraggio di non tacere. E con Libera lo chiedono anche i tanti coraggiosi cittadini che lavorarono  con Don Cesare Boschin in quel comitato per la legalità nel Borgo. E chiedono che  si riaprano  anche le indagini  sull’ omicidio dell’avvocato Mario Maio, avvenuto il 7 luglio 1990  ad Aprilia e dell’omicidio dell’avvocato di Terracina Enzo Mosa,  avvenuto il 2 febbraio 1998 a  Sabaudia. Tutti omicidi senza colpevoli ma tutti  legati dal filo del traffico illegale  dei rifiuti nel Lazio.

* Giuseppe Ruggiero e Antonio Turri
  Fonte: L’Unità

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