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Testimonianza di giustizia a teatro

Di Elisa Palagi il . Lazio

La storia di due donne che hanno conosciuto “l’odore del sangue e il sale delle lacrime”. Un secchio colmo di sale in proscenio rafforza le parole ripetute dalle attrici, tre donne a contatto con un padre-marito-fratello amato e violento, ammazzato sotto i loro occhi. Quattro corpi sospesi tra la rigidità e l’abbandono e un testo vero, a tratti straziante, per raccontare la storia di Rita Atria e Piera Aiello, testimoni di giustizia. Al  teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma, ieri sera, Viartisti teatro ha portato in scena Uncinn’è dedicato a Ritra Atria, a chiusura delle manifestazioni romane legate alla XV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle Vittime delle mafie, diretto da Pietra Selva.

«Ho visto 19 anni della mia vita scorrere in un’ora, la morte di Rita è servita a portare l’attenzione sulle difficoltà di chi lotta per la giustizia» ha commentato commossa Piera Aiello, una donna forte e ironica che dopo lo spettacolo è salita sul palco per testimoniare ancora una volta. Il Procuratore Capo di Torino Giancarlo Caselli, al suo fianco, esprime un giudizio entusiasta sulla performance. Poi, interrogato, passa a delineare il preoccupante quadro culturale della nostra Italia, dove “il rispetto delle regole fa venire l’orticaria un po’ a tutti” e fin dall’infanzia ci viene insegnato che “chi fa la spia non è figlio di Maria”. Lo spettacolo parla della difficoltà di dire la verità, di stare dalla parte della giustizia, subendo come conseguenza il distacco affettivo dai familiari e dagli amici.

Rita Atria è cresciuta a Partanna, un Comune del Belice, in una famiglia mafiosa. A dodici anni   assiste all’assassinio del padre, piccolo boss di quartiere, sei anni più tardi a quello del fratello che voleva vendicarlo. La cognata Piera Aiello diventa testimone di giustizia e pochi mesi dopo anche Rita, a diciassette anni, si ribella al sistema mafioso e si affida a Paolo Borsellino cominciando una nuova vita clandestina a Roma, rinnegata dalla madre. Non passa nemmeno un anno, e una settimana dopo la strage di via D’Amelio in cui viene ammazzato Borsellino, Rita Atria si sente troppo sola e si uccide.

Michela Lucenti, coreografa e performer di spicco nel teatro-danza contemporaneo, dà corpo e voce alla bambina Rita, che all’inizio appare nascosta dietro una bambola. Avanza a saltelli nei suoi giochi infantili fino agli undici anni, quando una raffica di spari interrompe l’innocenza. Il suo corpo scattante, che cerca appoggio sul fratello, sulla cognata, sulla madre, si muove in modo inusuale e sapiente, incatena a sé gli sguardi, si aliena e poi riprende contatto con la scena. In perfetta sintonia, come a creare risonanze, aperture e declinazioni di Rita, i bravissimi Francesca Ardesi, Gabriele Ciavarra, Gloria Liberati, che da entità ultraterrene statuarie e visionarie si trasformano in umani vivissimi con tutto il dramma dei loro personaggi. Pochi elementi sulla scena, il sale-lacrime e le arance-sangue che rimandano l’eco della Sicilia, tanti panni, per spogliare e rivestire i morti, ma anche cambiare gli abiti ai vivi. La performance tocca le corde intime dell’emozione e disinibisce il pianto in sala, ma le presenze di Piera Aiello e Giancarlo Caselli riportano ad una realtà in cui l’impegno è necessario e imprescindibile.

Nadia Furnari, fondatrice dell’associazione Rita Atria (www.ritaatria.it), richiama l’attenzione sulle difficoltà di Piera e di tutti i testimoni e invita il pubblico a non compiacersi delle proprie lacrime, ma a trasformarle in un concreto lavoro di testimonianza quotidiana, anche perché “fare l’antimafia non è un sacrificio, ma una gioia immensa”

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