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Per una riforma della giustizia

Di Mario Congiusta* il . Calabria

Indignazione, necessità di una vera giustizia e richiesta di cambiamento.Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso dalla ‘ndrangheta in Calabria il 24 maggio del 2005, chiede risposte sui boss scarcerati in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. All’interno anche un appello per una riforma della giustizia che – scrive Congiusta – “capace di contrastare il dubbio sempre più forte che lottare e resistere sia totalmente inutile”.

Il testo della lettera inviata da Mario Congiusta al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Signor Presidente,

da tempo Lei va ripetendo che, passate le elezioni, accelererà la riforma della giustizia. Non voglio entrare nel merito dei contenuti della Sua riforma: abbiamo letto e ascoltato tutto e il contrario di tutto, tra decorrenze dei termini, prescrizioni, intercettazioni e altri istituti di vario genere e di varia utilità.

Che sia venuta meno la fiducia nella giustizia, come quella nella politica e nella democrazia, non è più un mistero da molto, troppo tempo. La fiducia è un qualcosa che si costruisce nel tempo, che ha bisogno di certezze e di trasparenza. La fiducia è la lotta continua contro il dubbio del nostro grande scrittore, Corrado Alvaro, che diceva: «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile».

Presidente, quel dubbio, per me e per molti altri cittadini, soprattutto meridionali, soprattutto calabresi, è sempre più forte. E la fiducia sempre più debole.

Oggi Le scrivo in molteplici vesti.

Le scrivo da cittadino che crede ancora, nonostante tutto, nelle istituzioni. Le scrivo da calabrese, nato e vissuto nella Locride, che crede ancora nella possibilità  di sconfiggere tutte le mafie, quelle armate di lupara e quelle più subdole, che permeano un numero sempre maggiore di centri di potere. Le scrivo da candidato indipendente, che crede ancora che esista un voto libero in grado di rappresentare quella parte di elettorato che mi ha chiesto di impegnarmi in prima persona per rappresentarlo in Consiglio regionale. Ma Le scrivo, soprattutto, come padre di un ragazzo che avrebbe 36 anni e una vita da imprenditore davanti, se 5 anni fa non fosse stato assassinato dalla ‘ndrangheta.

Gianluca, mio figlio, è solo una delle tante, troppe croci sanguinanti della nostra terra. Uno tra le centinaia di vittime innocenti della mafia che con costanza e senza tregua continuano ad accrescere l’elenco della mattanza cui assistiamo inermi e impotenti.

Presidente, venticinque anni fa una quindicina di mafiosi furono scarcerati per un “difetto formale”: fu sufficiente un timbro sbagliato (di gomma anziché di ferro, o viceversa, ma credo che poco importi) per reimmetterli nella società e nei loro affari. Ieri sono stati scarcerati nella Locride altri tre boss di ‘ndrangheta: cosa è cambiato? Non voglio e non posso parlare di responsabilità o di errori: siamo abituati a leggerli sulle cronache dei giornali da decenni. Ma sento l’obbligo personale, morale e civile di indignarmi perché, se si vuole fare davvero una riforma della giustizia, che sia una riforma in grado di eliminare, una volta per tutte, le troppe aberrazioni “formali” cui assistiamo da troppo tempo. Le nostre ferite di familiari delle vittime innocenti di tutte le mafie sono profonde e non si vedono. Ma chiedono giustizia. Chiedono certezze. Chiedono di poter piangere i nostri morti senza la paura che i loro assassini possano girare indisturbati accanto a noi.

La mia “scelta di campo” politico è opposta alla Sua. Anche per questa ragione non credo che Lei vorrà rispondere al mio appello. Ma credo ancora nella giustizia e nelle istituzioni. Credo – spero – che almeno uno dei Suoi rappresentanti in Calabria possa e voglia farsi portavoce dell’unica vera riforma della giustizia di cui l’Italia ha bisogno: una riforma che impedisca ai mafiosi di godere dei troppi escamotage formali che trasformano i pochi mesi di detenzione in un periodo di momentaneo riposo per riprendere poi, più di prima, la propria attività criminosa. Questi sono i problemi reali della nostra terra, del nostro Sud. Ai quali si aggiungono i tanti altri che vengono sciorinati in ogni campagna elettorale. Ma stavolta non abbiamo più bisogno di parole. Stavolta ci serve la certezza di un sistema giudiziario contro il dubbio sempre più forte che lottare e resistere sia totalmente inutile.

Mi piace credere che il nostro Governo ci voglia togliere, con fatti concreti, quel dubbio.

* Familiare di vittima della ‘ndrangheta, attualmente candidato al Consiglio Regionale

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