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Milano 20 marzo: l’alba di un nuovo giorno?

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

Non è  semplice tracciare il
bilancio di una giornata davvero straordinaria, né raccontare
quanto è avvenuto sabato 20 marzo a Milano, senza sconfinare
nella retorica e nel trionfalismo; senza lasciarsi influenzare dalle
voci e dai colori che hanno animato le vie del centro; senza farsi
condizionare dalle emozioni e dalle suggestioni che hanno raggiunto
prima gli occhi e poi hanno riempito la mente e il cuore di tutti
noi, nel corso di una di quelle giornate uggiose che soltanto Milano
è in grado di regalare. Partiamo quindi da un dato di fatto
assolutamente incontrovertibile: la XV edizione della Giornata delle
memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie è
andata ben al di là di ogni più rosea aspettativa, testimoniando
nei fatti la presenza di un’altra Italia che non si rassegna alla
violenza, alla corruzione, alle mafie.

Venivamo dalle due edizioni
precedenti di Napoli e Bari che erano state ricche, gioiose e
oltremodo partecipate e, con non poca ma legittima apprensione, ci
avvicinavamo alla giornata di Milano, temendo che non sarebbe
risultata all’altezza della storia di quest’appuntamento ormai
entrato nel calendario della storia civile del nostro paese. Sapevamo che le mafie e le loro
soffocanti collusioni non erano l’argomento principale di
discussione in questi mesi e che l’opinione pubblica era distolta
dall’incalzare di questioni più pressanti, quali la crisi
economica e il conflitto istituzionale perennemente in atto tra
politica e magistratura. Sapevamo che le piazze milanesi e lombarde
potevano risultare, forse, ancora troppo lontane dalla consapevolezza
della pericolosità del fenomeno mafioso anche per questi territori.
Sapevamo che, a una settimana dalle elezioni regionali, forte era il
rischio di essere schiacciati, mediaticamente e non solo, dal
dibattito sempre più avvelenato della campagna elettorale.

Conoscevamo anche i limiti dell’organizzazione regionale di Libera,
troppo leggera e per ciò forse incapace di reggere l’onda d’urto
costituita da un simile evento. C’era il rischio concreto che si
potesse dare vita a un appuntamento comunque importante, solo grazie
all’arrivo delle delegazioni esterne, con Milano e la Lombardia
alla finestra, ad assistere. Ci confortava però la
consapevolezza di un ricco lavoro di animazione del territorio,
iniziato a novembre con la Carovana antimafie e proseguito
soprattutto poi, nei mesi successivi, con i tanti appuntamenti nelle
scuole di ogni ordine e grado, nelle università e con le
associazioni sia a Milano che nel resto della Lombardia.

Ci sosteneva
poi la forza che Libera ormai dispiega da tempo a livello nazionale,
nel chiamare a raccolta la rete di associazioni, scuole e cittadini
che da ogni parte d’Italia è pronta a ritrovarsi,
nel nome della memoria e dell’impegno. Ci spronava, infine, la
certezza di combattere una battaglia giusta che, prima o poi, si
sarebbe dovuta imporre in ragione dei suoi contenuti. Era una scommessa difficile realizzare
la giornata in Lombardia, a Milano, in questo frangente temporale e
con poche risorse umane ed economiche ma la scommessa è stata vinta,
grazie all’impegno e alla caparbietà dei tanti che ci hanno
creduto e si sono spesi senza riserve, sacrificando lavoro e tempo
libero e guadagnandoci in orgoglio, tanto e legittimo.

E così, dalla miscela imprevedibile
degli elementi negativi e di quelli positivi, è sortita la
bellissima giornata di Milano. Migliaia e migliaia di persone, tanto
che alla fine saranno 150.000 le presenze calcolate – la Questura
già all’avvio del corteo accreditava oltre 50.000 presenze – che
hanno camminato a fianco dei familiari delle vittime di mafia. I
giovani e i meno giovani, di ogni età e provenienza, che hanno
segnato il percorso per le vie di Milano con slogan e canti. Le
bandiere di ogni colore in rappresentanza delle tante anime di
Libera. Gli striscioni delle scuole che hanno adottato una vittima di
mafia.

Una città  e una regione sono
state attraversate e toccate dal passaggio di una folla variopinta
che si è data appuntamento per chiedere verità e giustizia per le
tante vittime della criminalità organizzata nel nostro paese. Al
termine del corteo, un’altra imprevedibile sorpresa: la voglia di
tanti di stare insieme a riflettere, a ragionare insieme sui profili
dell’impegno civile e sociale contro le mafie. Un pomeriggio straordinario che ha
visto i quattordici (14!) seminari tematici previsti – una
presenza così articolata costituisce un altro piccolo record
nella storia della giornata – andare riempiti in poco tempo, in
ogni ordine di posto, ben oltre le prenotazioni registrate in
precedenza. Un’attenta partecipazione, i taccuini diligentemente
appuntati, le domande pronte per incalzare i relatori di ogni
seminario: un ulteriore risultato eccezionale e non scontato, visto
l’andazzo attuale.

Durante e dopo il 20 marzo ci siamo
sentiti spesso rivolgere una facile obiezione: “Qui c’è l’Italia
che resiste, ma dov’è Milano, dov’è la Lombardia?”. A tutti
questi amici abbiamo risposto che non sarebbe Stato possibile
saturare piazza Duomo e le vie limitrofe, soltanto potendo contare
sulle tante persone arrivate con pullman, treni e auto da ogni parte
d’Italia; a loro abbiamo spiegato che non sarebbe stato possibile
riempire le sale dei pomeriggi dei seminari solamente contando su
quanti erano giunti da fuori, tanto più che in quelle stesse ore, i
tanti amici delle altre regioni stavano facendo ritorno a casa. A
loro abbiamo ribadito che tutta la nostra riconoscenza nei confronti
di quanti erano giunti da molto lontano, con non pochi sacrifici, si
accompagnava alla gratitudine ai tanti milanesi e lombardi che
avevano, per una volta tanto, fatto la loro parte, fino in fondo.

E se la città  è sembrata
fredda a quanti arrivavano da fuori, si tengano in debito conto le
attenuanti: la sorpresa dei tanti milanesi che hanno visto sfilare
una manifestazione inusuale da queste parti; la disillusione epocale
provocata in molti dal riflusso successivo alle inchieste di Mani
Pulite; la scarsa fiducia nella possibilità di cambiare visto
l’attuale quadro politico; il ruolo di testimonianza civile che
inevitabilmente compete ai 150.000 di Milano in tempi di generale
disimpegno e di delega senza fiducia, perché la lotta
alla mafia diventi una lotta di popolo e non di pochi.

Tutto questo non inficia però l’altro
dato di fatto inconfutabile che la giornata di sabato ci regala: Milano e la Lombardia hanno
risposto alla grande all’invito di Libera, un invito a manifestare
a sostegno dei familiari delle vittime di mafia, in nome della
legalità democratica e della giustizia sociale, un invito a
ribadire il proprio fermo rifiuto di ogni logica mafiosa, di corruzione, di violenza, di illegalità.
Il lungo abbraccio, evocato da Don Luigi Ciotti, era iniziato il giorno primo con il doppio
appuntamento al San Fedele; prima con l’assemblea dei familiari e
poi con la veglia ecumenica.

Due momenti di scambio emotivo
fortissimo, di passione e di ragione volti al cambiamento, di unione
di tante storie alla ricerca di giustizia e di verità. Le belle
parole di Umberto Ambrosoli si sono saldate idealmente al messaggio
videoregistrato del Cardinal Martini che non è voluto mancare
all’appuntamento con i tanti familiari giunti da ogni parte
d’Italia.

E cosa dire dell’ulteriore dato da
sottolineare e da far fruttare? Stiamo parlando naturalmente della rinnovata presenza giovanile,
nelle file di Libera e non solo. Migliaia di studenti, di ragazzi e
ragazze che neppure erano nati nell’estate del 1992, quando
Falcone, Borsellino e le loro scorte saltavano per aria e che oggi
chiedono di sapere, che vogliono impegnarsi, che hanno capito che la
battaglia contro le mafie ha bisogno del contributo di tutti, anche del loro. Sono queste solo alcune prime
considerazioni, in larga parte offuscate dalla fatica ma colme di riconoscenza e di gioia per aver
vissuto la giornata del 20 marzo.

Ora, Libera a Milano e in Lombardia
è chiamata a raccogliere la sfida e continuare, per far sì che ci sia “un dopo” in
grado di recepire le istanze di cambiamento; un luogo che accolga la voglia di esserci dei più giovani;
uno spazio capace di colmare la distanza tra l’esistente e il
possibile, per scrivere la parola fine alla pellicola insanguinata
che in questi decenni siamo stati costretti a subire. Lo
dobbiamo ai tanti caduti, i cui nomi abbiamo ricordato solennemente
davanti al Duomo, alla presenza dei loro cari. Lo dobbiamo alla
nostra dignità e al domani di un paese che ora aspetta
con trepidazione l’alba del nuovo giorno, annunciato dai 150.000 di Milano.

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