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Il Patto – Da Ciancimino a Dell’Utri

Di Roberto Morrione il . Recensioni

Ci sono libri che scavano dentro, che infrangono spietatamente livelli di conoscenza che ritenevi  definitivamente acquisiti, conducendoti in un viaggio da incubo di agghiacciante crudezza, ma che insieme offre per la sua descrizione ed analisi una credibile chiave d’interpretazione della realtà. Un viaggio dal quale esci attonito, preoccupato, eppure consapevole di essere più vicino al cuore della questione, alla verità a cui tende il tuo impegno intellettuale e civile, a cui è dedicata una parte importante della tua vita.

“Il patto”, scritto da Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci per Chiare Lettere, fa parte a pieno titolo di questa ristretta cerchia di testimonianze ragionate che lasciano il segno. Due giornalisti di prima linea nelle inchieste investigative, che non conoscono scorciatoie, né compromessi con il loro mestiere: Biondo cronista giudiziario per la carta stampata e in particolare per “L’Unità”, Ranucci inviato televisivo di “Report”, dove ha realizzato numerosi “scoop”, già autore di memorabili inchieste a Rai News 24, fra le quali la denuncia del micidiale fosforo bianco usato dagli americani a Fallujah.

I due inviati ricostruiscono aspetti finora non esplorati della complessa trattativa che negli anni ’90 è intercorsa fra settori dello Stato e della politica e la mafia, sui quali le rivelazioni del pentito Spatuzza e di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo legato a Cosa Nostra, hanno gettato recentemente nuova luce, nel corso del processo in corso a Palermo nei confronti del generale Mario Mori, ex capo dei ROS dei carabinieri e del Sisde, per la mancata cattura del boss Provenzano nel ’95. I personaggi centrali di questa ricostruzione sono il colonnello dei carabinieri Michele Riccio e Luigi Ilardo, suo confidente infiltrato nell’organizzazione mafiosa, di cui per due anni rivelerà i segreti consentendo clamorosi arresti e operazioni investigative, fino a sfiorare la cattura dell’imprendibile “capo dei capi” di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano. La mancata cattura di Provenzano, che Ilardo aveva praticamente offerto alla giustizia, resta un inquietante mistero, del quale Mori è appunto chiamato a rispondere. Luigi Ilardo, tradito e isolato dall’interno di quello stesso apparato dello Stato al quale aveva deciso di affidare le proprie scelte e la sua stessa sorte,  sarà ucciso da Cosa Nostra nel ’96, pochi giorni prima di entrare ufficialmente sotto la protezione assegnata ai “pentiti”. Un personaggio che sembra uscire da una tragedia di Shakespeare, con le sue contraddizioni, i dubbi, il coraggio e le paure, la ricerca di una nuova identità, realizzata nel rapporto con la legge e con l’uomo, Riccio, che crede in lui e che non lo abbandonerà fino alla fine, scontrandosi con l’ambiguità e le doppiezze dei suoi stessi colleghi e superiori.

Fra questi due uomini, Riccio ed Ilardo, partiti dai lati opposti della barricata, ma uniti da un accordo sull’obiettivo comune di smantellare il sistema di potere criminale, si forma nel tempo un legame di fiducia e di reciproca lealtà, che diventa amicizia. Questo secondo “patto”, umano e personale, emerge nel libro come un simbolico contraltare di quello segreto e oscuro che apparati dello Stato, non solo i ROS di Mario Mori, ma settori deviati dei servizi, poteri politici, circoli affaristici, fra i quali si affacciano pulsioni separatiste, logge massoniche e la P 2 di Licio Gelli, portano avanti contestualmente con Cosa Nostra, dai corleonesi di Totò Riina a Bernardo Provenzano. Una trattativa che, attraversando le stragi di Capaci, Via D’Amelio, Firenze, Milano, Roma, segna il tramonto della contiguità democristiana al potere criminale e l’ affermazione nel ‘94 dei  nuovi equilibri politici che coincidono – secondo le numerose testimonianze raccolte e collegate da Biondo e Ranucci – con il ruolo centrale assunto da Silvio Berlusconi  e da Forza Italia, alla cui nascita dà un contributo decisivo Marcello Dell’Utri.

“Sarà un caso – annotano gli autori – ma dal 1994 in Italia non si è più verificata una strage…”

E sono tante le pagine dedicate ai risvolti più oscuri di questa trattativa, molti finora sconosciuti, come il tentativo, citato nel “papello” originario di Riina fatto ritrovare dopo anni dalla testimonianza di Massimo Ciancimino, di introdurre per i reati di mafia una “dissociazione” sulla falsariga di quella applicata a suo tempo per le BR, per arrivare a sconti di pena e all’abolizione del 41 bis sull’solamento dei mafiosi in carcere. Un tentativo più volte avanzato con l’appoggio politico di esponenti di Forza Italia e fallito per la netta opposizione di magistrati come Giancarlo Caselli (che era all’epoca a capo dell’amministrazione penitenziaria) e di Alfonso Sabella. Come davvero memorabile è la descrizione della deposizione di Ilardo dinanzi ai magistrati Caselli e Tinebra, allora capo della procura di Caltanissetta, con Ilardo che rifiuta di parlare con Tinebra, del quale non si fida e porta la sua sedia direttamente di fronte a Caselli, con il quale dialogherà come se fossero soli, fra “persone che si intendevano”…

O i tentativi di Carlo Taormina, allora suo difensore nel procedimento intentato contro di lui per vicende interne all’Arma dei carabinieri, di convincere Riccio a non menzionare Marcello Dell’Utri

nelle rivelazioni a suo tempo registrate con Ilardo sulle complicità di politici con Cosa Nostra, tentativi che indussero Riccio a togliere l’incarico al legale.

E c’è infine l’aspetto forse più inquietante che emerge da questa allucinante, ma precisa ricostruzione. “C’è puzza di servizi segreti”, dice Ilardo a Michele Riccio, “In Sicilia ci sono stati molti omicidi commessi dai servizi segreti e poi addossati a Cosa Nostra, è questo il vero intreccio fra mafia e politica…Secondo noi era per coprire determinati uomini politici che avevano interesse a coprire determinati fatti, mettendo fuori gioco magistrati o politici che volevano far scoprire tutte queste magagne”. E “Il patto” ripercorre questi delitti, fino alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, analizzando testimonianze e denunce di pentiti, inedite rivelazioni registrate dello stesso Ilardo, che hanno contribuito a far riaprire dalle procure di Palermo e Caltanissetta inchieste dal cui esito potrebbero venire clamorosi contraccolpi sugli stessi assetti politico-istituzionali della Repubblica.

Leggendo l’appassionante lavoro di Biondo e Ranucci, volendo cercare un filo con quanto già emerso nella migliore pubblicistica che ha approfondito una questione centrale per le sorti del Paese, il pensiero corre a “Il ritorno del principe” (Chiare Lettere, 2008). Roberto Scarpinato, sollecitato da Saverio Lodato, vi espone la tesi davvero desolante che il crimine organizzato sia in realtà solo un aspetto, uno degli strumenti storici e antichi, dalla violenza e le stragi alla corruzione, come alle deviazioni degli apparati dello Stato, messi in atto dai potenti per conservare il proprio dominio e i propri interessi. Una visione forse pessimistica, certo inquietante, che gli autori sembrano però fare propria quando a conclusione scrivono: “ Viaggiamo nel buio, aspettando che degli eroi vengano a salvarci, a tirarci fuori dall’inferno: santi o rivoluzionari, generali o politici, magistrati o preti di periferia, poco importa. Che siano loro a sporcarsi nella battaglia, che siano loro a combattere in nome di tutti: e se cadono li si celebri come martiri”.

Il Patto

di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci – prefazione di Marco Travaglio

Chiare Lettere, 2010


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