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Le elezioni all’ombra della ‘ndrangheta

Di Chiara Spagnolo il . Calabria

Auto incendiate, colpi di pistola, lettere minatorie. E poi ancora: pietrate contro le sedi, telefonate anonime, addirittura messaggi su internet. La ‘ndrangheta è scatenata in questo finale incandescente di campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione regionale e di molte amministrazioni comunali, tra cui quelle di Vibo Valentia e Lamezia Terme, città da sempre strette nella morsa della criminalità organizzata. Proprio Lamezia, nelle ultime settimane, è diventata la città simbolo della Calabria intimidita prima di andare al voto. In un mese sono stati registrati ben sette atti intimidatori nei confronti di cinque candidati. Qualcuno è stato preso di mira per due volte in pochi giorni. Salvatore Vescio è la vittima esemplare. Candidato sindaco con la lista civica “Calabria domani” ha scelto di non sostenere la prescelta del Pdl, la deputata Ida D’Ippolito, nella corsa verso il Palazzo municipale. Una defezione che gli è costata l’estromissione dalla giunta provinciale di Catanzaro, nella quale era entrato due anni fa proprio in virtù della sua militanza nel partito di Berlusconi, ma che non l’ha dissuaso dal tentare anche la corsa al Consiglio regionale con la lista “Scopelliti presidente”. Un mese fa, davanti all’ingresso della sua abitazione, trovò un ordigno inesploso, “regalo” affatto gradito per recapitargli un messaggio ben preciso. La sua campagna elettorale è continuata, l’attenzione delle cosche è rimasta alta. Al punto da mandargli, nella notte tra martedì e mercoledì, un segnale ancora più chiaro: due automobili, in uso alla moglie e al figlio del politico, sono state date alle fiamme, che le hanno completamente distrutte. Delle vetture sono rimaste carcasse annerite, il coraggio di Vescio – di nuovo – è stato messo a dura prova. L’arroganza delle ‘ndrine, invece, si è ancora rafforzata. Al punto da mandare, nello stesso giorno, un secondo segnale anche ad un altro candidato: Giulia Serrao, aspirante consigliere regionale che sostiene l’attuale presidente Agazio Loiero. A lei una settimana fa era stata recapitata una busta contenente cinque proiettili, mentre mercoledì è stata incendiata l’auto del fattore che dirige la sua azienda agricola di Cortale. L’avvocato Serrao con la paura i conti li ha fatti da tempo e il linguaggio della ‘ndrangheta lo conosce fin troppo bene, dopo aver visto morire il marito, l’avvocato Torquato Ciriaco, sotto i colpi di pistole e fucili. Vescio e la Serrao, però, non sono i soli ad essere destinatari delle attenzioni dei mafiosi.
A Lamezia, evidentemente, la partita in gioco è troppo alta. E le cosche hanno bisogno di mettere le cose ben in chiaro prima del voto. Dopo potrebbe essere troppo tardi. Per questo sparano e bruciano. Poche parole e pochi fatti, ma sufficienti a dimostrare chi è che comanda. E chi deve continuare a comandare, indipendentemente dallo schieramento che vincerà le elezioni. Non a caso, nelle scorse settimane, dodici pistolettate sono state sparate contro la vetrata della segreteria di Raffaele Mazzei, consigliere uscente del Pdl nuovamente candidato per l’assise civica. Poi un grosso masso ha distrutto la vetrata di una delle sedi del candidato sindaco Ida D’Ippolito. Mentre Salvatore De Biase, esponente del Pdl e padre del consigliere uscente Francesco, ha avuto la sorpresa di colpi di pistola sparati contro le sue auto e poi contro i portoni della villetta in cui vivono i suoi familiari.
Da Lamezia a Crotone, dove mercoledì le minacce sono arrivate come se fossero in saldo. Il consigliere provinciale Umberto Lorecchio, oggi candidato alla Regione con il Pdl, ha ricevuto una lettera con tanto di proiettile. Il vicepresidente della Provincia, Gianluca Bruno, anche lui del Popolo delle libertà, ha “vinto” invece un plico giallo contenente oltre alla consueta missiva, un quantitativo di piombo utile a confezionare un proiettile rudimentale. Contemporaneamente al senatore Giuseppe Esposito, campano prestato alla Calabria grazie alla nomina di coordinatore provinciale del Pdl crotonese, è stata recapitata a Roma una lettera minatoria. Per lui niente bossoli, solo parole che dicono tutto. Messaggi affatto cifrati, a pochi giorni dal voto che decreterà quale coalizione gestirà la Regione Calabria e molte amministrazioni comunali per i prossimi cinque anni. Per l’una o per le altre le elezioni rappresentano una specie di caccia al tesoro. Perché chi vince il tesoro lo trova davvero: fondi pubblici a iosa, incarichi da assegnare, appalti da affidare. Le cosche non possono restare con le mani in mano. Perché il legame a filo doppio con la politica, negli ultimi anni, è stato la loro forza più grande e anche questa “tornata” deve servire a rafforzare i rapporti esistenti o a crearne di nuovi. Il reclutamento dei candidati e la conta dei voti è in atto già da diversi mesi. E a dimostrarlo c’è l’enorme numero di segnalazioni già arrivate alla Commissione Antimafia, al cospetto della quale è stata evidenziata la presenza di 26 candidature non proprio trasparenti tra i soli corridori per le regionali. Proprio dall’Antimafia, del resto, è giunta una denuncia pesante, tramite le parole della parlamentare del Pdl Angela Napoli, che ha annunciato la sua intenzione di non andare a votare. La sua è una forma eclatante di protesta contro il malcostume dei candidati di fare leva sull’appoggio elettorale delle ‘ndrine. Chi doveva capire ha capito. E, non a caso, la deputata è stata vittima di nuove minacce e addirittura protagonista di un piano svelato da un pentito che prevedeva la sua eliminazione fisica. In Calabria il sistema mafia-politica è consolidato e non vuole essere toccato. E neppure portato alla luce.
È per questo motivo che oltre ai politici, protagonisti involontari di questa campagna elettorale sono diventati i giornalisti e i magistrati. Anche per loro le intimidazioni si sprecano. Michele Inserra, della redazione di Siderno del Quotidiano della Calabria, è solo l’ultimo di una lista troppo lunga. A guardar bene dentro i suoi articoli, e dentro quelli dei numerosi colleghi destinatari di minacce di morte, ci sono sempre rivelazioni relative al rapporto tra la ‘ndrangheta e i palazzi del potere. Tutte le cose che non dovrebbero essere scritte. Quelle su cui i magistrati non dovrebbero indagare. I clan di tutta la Calabria ne hanno anche per loro. Da Reggio a Vibo. Dai sostituti Giuseppe Lombardo e Antonio De Bernardo al procuratore capo Mario Spagnuolo. Senza dimenticare la bomba alla Procura generale della città dello Stretto. Era appena l’inizio del 2010, alle elezioni mancavano tre mesi. Ora che mancano tre giorni le parole si sono sprecate ma nulla è cambiato, il clima è solo diventato più pesante. Le intimidazioni più numerose e capillari. Toccano a tutti. Perché alla legge della ‘ndrangheta non sfugge nessuno e chi pensa di cambiare l’ordine costituito da decenni deve capire che si sbaglia. Che la politica non è una cosa pulita, che il sostegno elettorale si paga. Che nei palazzi del potere, anche questa volta, gli uomini d’onore ci entreranno. E per altri cinque anni ne saranno i padroni.

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