Rifiuti tossici smaltiti illegalmente, irregolarità connesse alle zoomafie, crimini agroalimentari sono alcuni dei reati che le mafie commettono con guadagni altissimi e rischi minimi. La quindicesima Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie a Milano, nel cuore dell’Italia che produce, ha richiamato l’attenzione sulla presenza della criminalità organizzata al nord, dove le grandi opere sono state e continuano a essere un terreno fertile per l’accumulazione illecita di denaro. Don Luigi Ciotti, dal palco di piazza Duomo, ha chiesto ai parlamentari l’introduzione del delitto contro l’ambiente nel codice penale, per cui Legambiente si sta battendo da tempo, e che permetterebbe di sanzionare più severamente i reati ambientali.
«In Lomabardia si registra il 3-4% dei crimini ambientali in Italia, ma la percentuale sale al 10% se si considerano i grandi traffici e al 36% se si esaminano tutti i reati che coinvolgono soggetti con sede in Lombardia» spiega Sergio Cannavò, vicepresidente di Legambiente Lombardia, introducendo il seminario “Le ecomafie al nord” organizzato nel pomeriggio della Giornata della Memoria. «Spesso per i reati ambientali sono previste semplici contravvenzioni, oltre a strumenti poco efficaci per combatterli. Delinquere nel settore dei rifiuti oggi è troppo conveniente, i guadagni sono enormi e le sanzioni blande, dopo lunghi processi troppe volte i reati cadono in prescrizione» continua Cannavò. «Per le forze di polizia è molto difficile lavorare senza ottenere risultati – afferma Davide Corbella, responsabile di Polizia giudiziaria aliquota reati contro l’ambiente della Procura della Repubblica di Busto Arsizio – se non si riesce a dimostrare l’associazione a delinquere, i reati sono destinati alla prescrizione. L’unico strumento efficace, che provoca un danno vero ai criminali, è il sequestro immediato del profitto, premessa necessaria perché il giudice chieda la confisca».
Corbella racconta alcuni casi esemplari. Per un traffico illecito internazionale di rifiuti, prelevati dalle strade di Milano e affidati a società per il riciclo, ma in realtà rivenduti come materie prime a Hong Kong con guadagni molto elevati, furono condannati in primo grado il 90% degli imputati. Quasi la totalità di queste condanne, in particolare quelle rivolte alle figure di congiunzione più importanti, sono state prescritte in cassazione, rendendo vano il lungo lavoro degli inquirenti. Ma il faticoso lavoro di indagine sui crimini ambientali, spesso intralciato da segnalazioni di irregolarità banali, può ricevere una spinta grazie al supporto di persone coraggiose. Le indagini sui rifiuti tossici interrati nei cantieri per la ferrovia ad alta velocità, dalle quali è emerso il coinvolgimento delle mafie, sono infatti partite in seguito a una segnalazione di due comuni cittadini che hanno casualmente assistito a una conversazione in un bar.
«Le ecomafie al nord sono caratterizzate dal solito modello operativo che scardina i meccanismi dello stato ed espropria il territorio alla comunità – osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – è dal 1994 che parliamo di ecomafie, quando si dimostrò il legame di alcune aziende del nord con la camorra, e ancora persiste un atteggiamento negazionista dei politici, a metà tra minimizzazione, inadempienza del proprio ufficio e collusione. Nel presente sistema culturale, in cui il rispetto delle regole è visto come un freno all’arricchimento o è irriso in nome della straordinarietà, vogliamo rilanciare il ruolo della società civile con la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre i delitti ambientali dentro il codice penale».