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A Milano l’impegno dei familiari “La giornata della memoria sia il 21 marzo”

Di Stefano Fantino il . Lombardia

«La spaccatura politica sulla volontà di fare del 21 marzo la giornata nazionale in ricordo delle vittime di mafia è la strategia di chi vive di divisione, un elemento assente nelle nostre storie». Parola di Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, assassinato dalla mafia.

Una risposta pacata ma ferma, di fronte alle notizie delle ultime ore che vedono la giornata della memoria e dell’impegno, che Libera da quindici anni organizza, al centro del dibattito politico. Farne o no un giorno nazionale di memoria? La spaccatura governativa di fronte alle parole di Umberto. Qui a Milano, profondo nord, industriosità e operosità si scontrano con il viso barbuto di Ambrosoli: «Nelle nostre storie non c’è divisione, c’è condivisione». La città meneghina testimonia un impegno di quindici anni che non può essere ignorato e semplificato, un giorno neutro che ha unito le storie, dure e terribili, di tragedie trasformate in una rinascita. Se qualcuno deve essere sentito, un interlocutore privilegiato nel momento di prendere questa decisione, ebbene sono proprio loro, ancora una volta riuniti in tantissimi nel centro San Fedele, nel cuore di Milano.  

Il 21 marzo è da quindici anni il giorno in cui «ci fermiamo per ricordare le vittime, tutte le vittime» – dice Luigi Ciotti – soffermandosi sulla pluralità e la coralità del gesto che rende l’appuntamento un «patrimonio di tutti noi» non etichettabile e per questo non liquidabile come un’iniziativa di un singolo, di una associazione. Vi è un senso di democrazia che coincide con la volontà stessa di portare avanti il proprio impegno, un’etica della responsabilità che salda il dolore e la testimonianza con la volontà di andare oltre e incidere sulla realtà.  Per Stefania Grasso, che nella Locride ha visto ucciso il padre e ora coordina i familiari all’interno di Libera, oggi è ancora una volta un giorno «in cui persone in ginocchio riescono a rialzarsi e a riconoscere negli occhi dell’altro il proprio dolore».
Copartecipandolo e diventando il cuore pulsante cui anche la politica deve porgere orecchio.  

Per la prima questa giornata della memoria e dell’impegno ha visto la presenza in sala di alcuni familiari sudamericani venuti a testimoniare l’unicità del dolore causato da molteplici malvagità, a parlarci di vite, per citare ancora Umberto Ambrosoli, «strappate ma non tolte alla vita» proprio per l’occasione di trasformare il dolore nella speranza.  Un percorso riuscito per molti familiari, alcuni che proprio in queste ore hanno trovato la forza di elaborare la morte dei loro cari e scoprire, sebbene consce del loro status, di «non essere vittime ma di potere far qualcosa in più» per lottare,  provocare indignazione, educare. 

Per fare in modo che il nome di una vittima di mafia sia un qualcosa di cui non avere paura, da supportare, da ricordare, da portare orgogliosamente avanti come simbolo di una società giusta e normale che non si arrende alla sopraffazione mafiosa. Poche parole nell’intervento di Nando dalla Chiesa ma molto duro: il figlio del prefetto ucciso nel 1982 rievoca i morti per mano mafiosa ma anche le vittime del terrorismo e individua in loro la necessità di far parte di un ricordo collettivo che non faccia classifiche di merito ma li ricordo per l’eguale e importante valore storico. 

E a Nando si uniscono le voci di tanti familiari che hanno voluto esternare i loro sentimenti, parlare con il cuore come loro stesso hanno sottolineato, o semplicemente raccontato la storia dei loro cari. Spetta a loro, ha sottolineato Franco La Torre, figlio di Pio, portare avanti la battaglia per riconoscere il 21 marzo come giornata nazionale della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia. Spetta a loro, ma anche a noi, lottare perché accanto alla memoria ci sia giustizia, come ha ricordato Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso a Siderno.

Troppi in casi in cui la giustizia cede il passo e si rimane vittime due volti, «sono qui per ricaricarmi» dice Congiusta. La sua indignazione e sete di giustizia viaggia pari passo al vessillo della memoria che sventola su Milano, per le vittime di mafia che conosciamo e anche per quelle di cui ancora nulla sappiamo.

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