Le mani di Cosa nostra sull’Umbria
Le cosche palermitane, decimate dagli ultimi arresti, tentano di riorganizzarsi. E ai vertici tornano boss storici. E’ una delle circostanze emerse dall’indagine congiunta dello Sco della polizia e dell’Fbi che ha portato all’arresto, a Palermo, di 20 persone e negli Usa di altre 6, accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di droga, riciclaggio e traffico di banconote false. Gli indagati nell’ambito dell’operazione denominata ‘Paesan Blues’ sono accusati di associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, tentato omicidio, traffico di droga e altro. Le indagini hanno consentito di destrutturare la famiglia di Santa Maria di Gesù di Palermo e le sue ramificazioni negli Stati. Accade a Palermo, in questi giorni. Mentre si cerca di leggere il contesto di una mafia in “fase di riorganizzazione”, così l’hanno definita i Servizi Segreti nella loro relazione inviata al Parlamento, si continua a tracciare la mappa dei prestanomi e degli affari di Cosa nostra, nel centro Italia. E in Umbria, in particolare. La regione un tempo lontana dal fenomeno mafioso, ha visto in questi anni, un graduale ingresso dei capitali mafiosi da parte di varie organiizzazioni mafiose, italiane e straniere. Gli affari più o meno grandi sono tenuti sott’occhio da parte delle mafie, e di quella siciliana, già da molti anni. Come dichiarava il procuratore di Terni, Fausto Cardella a Libera informazione, nella prima analisi del dossier “Numero zero” – “già dagli anni ’90 a Palermo, si parlava della regione umbra, come di un luogo cui le mafie guardavano per fare affari remunerativi a basso rischio”. Il 6 marzo scorso le cronace giornalistiche hanno raccontato dell’ennesimo sequestro di beni appartenenti a mafiosi, coinvolti ad Agrigento, nell’operazione Domino. Si trattava dei fratelli Diego ed Ignazio Agrò che a Spoleto avevano il controllo di un terreno e un casolare sulla Flaminia, acquistati “non da molto tempo”. Diego e Ignazio 64 e 72 anni, sono noti commercianti di olio della provincia di Agrigento, ma anche mafiosi condannati all’ergastolo per omicidio lo scorso anno. Oggi invece la Dia ha dato seguito all’esecuzione di un provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, per la confisca di beni riconducibili a Salvatore Lo Cricchio, 64 anni, di Partinico (Pa).
I beni erano già stati sequestrati nel gennaio del 2009 a seguito di indagini avviate intorno al 2005. Si tratta di beni immobili, quote societarie e complessi aziendali in provincia di Palermo e di Terni, per un valore di oltre 1,5 milioni di euro. Il provvedimento scaturisce dalle indagini che hanno riguardato il mandamento mafioso di Resuttana e San Lorenzo, zone di Palermo controllate dai boss Salvatore Lo Piccolo, Nino Madonia e Nicolo’ di Trapani, capi storici delle famiglie mafiose palermitane. Gli investigatori hanno accertato che Salvatore Lo Cricchio, zio di Nicolo’ Di Trapani, attualmente detenuto e condannato per estorsione aggravata e continuata, attraverso alcuni prestanome – tra cui la moglie Lorenza Sgroi ed i figli Margherita e Pietro, ma anche Paolo Faraone, palermitano trapiantato a Terni – avrebbe svolto, in nome e per conto della famiglia mafiosa di appartenenza, un ruolo attivo nella gestione e controllo di attivita’ economiche e nel reinvestimento di capitali illeciti proventi da Cosa nostra. Nel 2009 infatti, la Direzione investigativa antimafia aveva individuato nella famiglia Madonia-Di Trapani, ed un appartenente alla famiglia mafiosa di Partinico, la gestione di beni a Palermo (un appartamento di vani 5,5, il capitale sociale di una società di servizi) a Balestrate ( 2 appezzamenti di terreno di a. 15 complessive in c.da Foggia) a Partinico (n vasto appezzamento di terreno, dicirca H 1.48, in località Sirignano) e infine a Terni e provincia (2 magazzini, più un box e una palazzina che si compone di nr. 6 appartamenti; un appartamento e due complessi aziendali e relative licenze di esercizio). Beni che hanno un valore approssimativo di 2 milioni di euro circa. Il provvedimento scaturiva dalle indagini che per più di un anno, hanno monitorato, il mandamento mafioso di Resuttana e San Lorenzo, nonché i territori dei comuni di Cinisi e Terrasini, controllati da Salvatore Lo Piccolo, Nino Madonia e Nicolò di Trapani, ed evidenziato il ruolo di Lo Cricchio Salvatore (zio di Nicolò Di Trapani), di recente condannato per estorsione aggravata e continuata, capace attraverso alcuniprestanome (la moglie Sgroi Lorenza, i figli Margherita e Pietro, ma anche Paolo Faraone) di ricoprire per conto della famiglia mafiosa di appartenenza, un ruolo attivo nella gestione e nell’investimento dei proventi illeciti dell’attività di Cosa nostra, anche in Umbria.
La gestione delle attività commerciali a Terni, è stata affidata a Paolo Faraone, che sia direttamente che tramite altri soggetti, ha contribuito all’intestazione fittizia di attività commerciali e di beni immobili. Finanziatore delle operazione sempre Lo Cricchio. Confiscati due magazzini, uno a Terni, in corso Vecchio del ”valore dichiarato” di 53 mila euro, e un altro ad Acquasparta dove si trovano i due appartamenti ai quali sono stati posti i sigilli. Confiscati anche un ristorante pizzeria a Narni e un’impresa per il commercio al minuto di generi alimentari a Terni. Le indagini che portarono al sequestro furono portate avanti anche grazie ad intercettazioni ambientali e telefoniche, e in Umbria la collaborazione dei militari del Comando provinciale Carabinieri di Terni, che hanno contribuito anche alle acquisizioni documentali ed all’individuazione degli immobili sequestrati. Indagini cui i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Terni avevano dato inizio nel 2005 quando gli investigatori avevano accertato che un ternano già inquisito in passato intratteneva rapporti con pregiudicati di Roma e Verona, ma anche con un palermitano, risultato parente di Salvatore Lo Piccolo. Successivamente, sempre sul versante umbro era stato individuato un sodalizio criminale, di 12 persone ritenute dedite a truffe e riciclaggio di denaro proveniente da Palermo per acquisto, nel ternano, di beni immobili, ora confiscati.
La storia degli affari parlemitani invece sono successivi a quelli di un fallimento. Infatti i beni di Salvatore Lo Cricchio, erano già stati messi in vendita all’asta giudiziaria nel 1995. Li acquistò un’impresa di Partinico, i cui titolari erano legati da vincoli di parentela alla famiglia dei Di Trapani. Ma nel 2002, il figlio di Lo Cricchio, Pietro, è riuscito a riacquistare la società per una cifra irrisoria proprio dalla ditta che l’aveva acquistata all’asta. Una fotografia, in tempi non sospetti, della facilità con la quale boss mafiosi riescono a tornare in possesso di beni venduti all’asta e da altri soggetti acquistati. Una fotografia, in tempi non sospetti, anche della capacità di trovare ramificazioni e prestanome nella regione umbra, mettendo le mani su attività commerciali e immobiliari. E i promotori in Consiglio regionale della Commissione di inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Umbria in queste ore chiedono alla prossima legislatura di ricostituire la Commissione e di darle ulteriore slancio e forza.
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