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Le mafie in Umbria fanno notizia

Di Norma Ferrara il . Umbria

Un terreno e un casolare sulla Flaminia a Spoleto, acquistati “non da molto tempo”, rientrano tra i beni sequestrati dalla Dia ai fratelli Diego e Ignazio Agrò, 64 e 72 anni, noti commercianti di olio della provincia di Agrigento. Condannati all’ergastolo per omicidio lo scorso anno, i due potenti fratelli di Racalmuto nel mirino delle complesse indagini dell’antimafia c’erano da un pezzo. E’ stato infatti dimostrato in sede processuale il loro legame con capi mafia della provincia agrigentina a cui i due imprenditori si rivolgevano quando c’era da dirimere qualche controversia legata alla loro attività di usurai. Questo raccontano le cronache dei giornali locali lo stesso giorno in cui Libera Informazione e Regione Umbria, propongono agli operatori dell’informazione di incontrarsi, ad una tavola rotonda, sul ruolo dell’informazione locale per una società responsabile in Umbria.

Diritti negati dalle mafie

Si tratta della prima tappa nel capoluogo perugino, del percorso “Diritti negati dalle mafie”, nato in collaborazione con l’assessorato alle politiche sociali della Regione Umbria. A Palazzo Donini, sede della Giunta regionale,  si sono incontrati,  il 6 marzo scorso, per fare il punto sul ruolo del giornalismo e del mondo della cultura nella lotta alle mafie, i direttori dei giornali umbri più letti nella Regione, responsabili dell’ordine dei giornalisti e dell’Assostampa umbra e il prof. dell’Università degli studi di Perugia, Roberto Segatori.  A coordinarli e a seguire i lavori Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione, introdotto dall’analisi del giornalista Andrea Gerli, del coordinamento di Libera in Umbria.  “L’umbria è fra le prime regioni del centro – nord ad aver accettato la sfida della prevenzione e dell’intervento immediato delle istituzioni e della società civile di fronte all’avanzare delle mafie – dichiara Andrea Gerli   – ma è contestualmente anche la terra che le ultime operazioni antimafia descrivono come terra del ricilaggio, dell’investimento illecito di capitali delle mafie”. ” Qual è il ruolo del giornalista nella battaglia contro le mafie? A questo interrogativo risponde il prof. Roberto Segatori, docente di Sociologia dell’Univesità degli studi di Perugia. “Chi comunica sulla mafia-  chiede Segatori  –  i mafiosi stessi, l’informazione e la politica. Se togliamo ai giornalisti la possibilità di raccontare questo fenomeno, a parlarne rimarranno soltato la mafia e la politica”. Fra l’altro spesso in pericolosa vicinanza fra loro.  Leggi scivolose, mancanza di tutela giornalistica e autocensura, sono alcune fra le debolezze del mondo dell’informazione nel racconto dei fatti di mafia e antimafia, in questo Paese – sottolinea Segatori. ” A loro serve dare maggiore protezione e garanzia”.

Luci e ombre del mestiere del giornalista

A rappresentare proprio la categoria giornalistica umbra, Tiziano Bertini, dell’Ordine dei giornalisti e Mino Lo Russo, giornalista Rai e Assostampa umbra. “Il giornalismo – dichiara Bertini – ha cercato di raccontare in maniera puntuale qui in Umbria l’arrivo delle mafie e dei loro affari. Lo ha fatto però – ricorda Bertini  – all’interno di quel quadro già complesso che è il mondo del giornalismo locale: conflitti d’interesse editoriali, precarietà giornalistica, concorrenza pubblicitaria e mancanza di risorse”. Un sistema, che a causa di questi limiti, secondo Bertini ha gradualmente messo da parte lo strumento dell’inchiesta giornalistica. “Non sarebbe da trascurare – conclude Bertini – quella proposta già avanzata dall’ordine, di fare il punto su quello che accade all’interno della categoria, con appuntamenti periodici che consentano di dare supporto e di osservare mutamenti e necessità di questo settore prezioso per la democrazia”. Un invito ripreso, in varie parti, anche da Mino Lo Russo, che ha ricordato come non siano concessi “silenzi ed autocensure” da parte dei giornalisti e come siano invece necessarie più garanzie e elementi che rafforzino il sistema dell’informazione.

Viaggio nell’informazione locale

E’ Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione, a tracciare un panorama del mondo dell’informazione locale che in questi tre  anni, anche con l’osservatorio di Libera, ha visto in netta difficoltà, a rischio e spesso isolato. “Ci sono colleghi  – ricorda Morrione – che in gran parte del centro sud non sono messi nelle condizioni di fare il proprio lavoro, liberamente. Accade in Sicilia, in Campania, in Calabria, e in Puglia. Ma non solo. Accade anche in altre regioni, dove i giornalisti non rischiano un proiettile, una macchina incendiata, ma non sono liberi, perchè subiscono altre forme di ricatto/pressioni, di raccontare i fatti, al di là delle verità ufficiali”. Se un’informazione non è libera, non è informazione. E cosa accade ad un bene prezioso per la democrazia, come l’informazione, quando in una regione fanno ingresso, da più di 15 anni, gli affari delle mafie, i tentacoli delle attività illecite della criminalità organizzata?

Le mafie in Umbria fanno notizia

In compagnia di Roberto Morrione la tavola rotonda si è aperta agli interventi dei quattro direttori delle testate umbre che hanno accettato l’invito di Libera Informazione (Corriere dell’Umbria, Giornale dell’Umbria, Messaggero Umbria, La Nazione). “In Umbria ci siamo occupati sempre senza remore di queste notizie – dichiara Riccardo Regi, vicedirettore del Corriere dell’Umbria, e questo è un dato; altra cosa è capire se abbiamo la reale percezione di quello che in questa regione sia accaduto e stia accadendo.  Si tratta di un fenomeno tradizionalmente lontano e difficile, anche per i giornalisti, da interpretare e leggere sul territorio. L’unica nostra fonte – ricorda Regi – è la magistratura. Solo loro possono raccontarci queste infiltrazioni nella regione. Non neghiamo  le tante difficoltà – che rispetto ad altri temi – questo comporta per le nostre testate, per un modo di fare informazione in questa regione e siamo pronti a confrontarci di più con altri giornalisti su questo tema, con altre realtà, altre fonti, per cercare di moficare e adeguare il nostro racconto quotidiano”. 

Un appello diretto ai cittadini invece viene dal responsabile della pagina umbra de “Il Messaggero”, Marco Brunacci. “Il nostro ruolo ha luci e ombre, ma noi tentiamo di farlo giornalmente come ci è consentito. Però anche voi cittadini, chiedeteci di più, è essenziale”. Brunacci ricorda il periodo della ricostruzione post – sisma in Umbria, a Nocera, in particolare, e ritiene che la regione sia stata scelta, alla stregua degli anni del terrorismo, come “covo freddo”, come base di smistamento e accumulazione di capitali e di traffici che per loro stessa natura altrove non passerebbero inosservati, come spesso invece accade qui in Umbria. Brunacci infine introduce un interessante terzo elemento. “C’è un’altra realtà –  dice Brunacci – che non abbiamo ancora indentificato che si posiziona fra le mafie e la normalità”. L’intervento di Bruncacci apre a molteplici interpretazioni, ma in una terra in cui la zona grigia potrebbe diventare il motore acceleratore degli affari delle mafie, è di certo necessario alzare il livello di allerta in tutte quelle aree non chiare dove si decidono affari, si fanno patti, talvolta politici, si crea una rete che non  favorisce la democrazia ma la ammorba.

“Non conosco un altro modo di fare giornalismo – dichiara Gianfranco Ricci – se non quello di fare il giornalista”. Un gioco di parole che contiene un richiamo forte alla mis
sione del giornalista e al suo codice deontologico. Il giornalista de La Nazione, cronista attento e storico osservatore di questi fenomeni mafiosi nella regione, ricorda l’importanza dell’art. 2 della carta dei diritti e dei doveri del giornalista. Lo ricorda alla platea come per riannodare a quell’articolo anche il futuro di questo mestiere. “In Umbria non c’è un’informazione negata sulle mafie – dichiara Ricci –  su altri argomenti è legata piuttosto ai conflitti d’interesse del mondo editoriale, alla precarietà, ai contratti di lavoro. Non corriamo qui il rischio (che altrove ricordava Morrione si corre ancora oggi) di trovarci un buco in fronte, ma di trovarci un buco nel giornale, cioè una notizia mancante”. Un’informazione locale attenta a non perdere  notizie, informazioni, è quella descritta dal giornalista de La Nazione, frutto di una concorrenza editoriale non secondaria a regioni con maggior numero di abitanti.  In quest’ottica si cerca di raccontare tutto, ma rimane ferma la domanda inziale del prof. Segatori: come? con quali tutele?. “Si racconta quello che accade, quello di cui l’opinione pubblica ha percezione – dichiara Giuseppe Castellini, direttore del “Giornale dell’Umbria”. Dobbiamo registrare che i cittadini hanno in Umbria una percezione molto limitata delle mafie e questo si riflette sui nostri giornali”. Un’idea di giornalismo, quella di Castellini, che rifugge dalle agenzie, che va in mezzo alla gente a raccontare quello che accade nella pancia più profonda della città. Con i pro e i contro che questo comporta per il racconto delle infiltrazioni mafiose. “Abbiamo notizia – rivela il direttore – di alcuni casi di “pizzo” in un paesino umbro. Stiamo cercando di verificare i fatti e capire come muoverci;  per questo il lavoro di associazioni come Libera sul territorio può essere di grande aiuto a muovere un’opionione pubblica non ancora attenta al fenomeno”.

Bavaglio all’informazione, in atto

A seguire molti interventi fra i quali quello di Arianna Ciccone del Festival internazionale del Giornalismo, Leonardo Espostio della Locomotiva universitaria, e Floriana Lenti della Tavola della Pace, hanno ricordato il ruolo fondamentale dei cittadini nella costruzione di un’informazione libera e completa sul tema dei diritti e in difesa del diritto fondamentale alla libertà d’informazione. “In questa regione – sottolinea però Morrione – al termine di questa mattinata densa di interventi e spunti di riflessione – è chiaro che i cronisti sono nel mirino ma dal dibattito sono emersi molti fattori che ne condizionano l’operato e potrebbero in futuro anche in relazione al tema delle infiltrazioni mafiose”. Dall’Umbria, il presidente di Libera Informazione, invita a tenere alta l’attenzione sui tentativi di imbavagliare l’informazione, dal locale al nazionale. Cita le tante denunce a carico dei giornalisti e dei direttori, cità soprattutto, il ddl intercettazione in via d’approvazione. “Sebbene si rendano necessarie delle tutele sulla privacy dei soggetti indagati, non è ammissibile in alcun modo che una maggioranza parlamentare tenti di mettere un bavaglio all’informazione e alla cronaca giudiziaria, in particolare”. Una posizione netta che risuona nella sala come una diretta chiamata alle “armi culturali” del mestiere,  per i tanti free-lance presenti in sala, per i colleghi che hanno partecipato alla tavola rotonda e per i giovani studenti della scuola di giornalismo che hanno preso parte all’iniziativa.

Interrogativi aperti…

Il giornalismo deve arrivare prima o dopo la percezione dell’opinione
pubblica di fatti che, per loro natura, non sempre incidono
direttamente sulle singole vite dei cittadini? L’informazione locale in una regione in cui le mafie si muovono, come si fa in un covo freddo, senza far rumore, senza lasciare tracce, può attendere o deve prevenire? può fare inchiesta o deve aspettare che i fatti oggi invisibili diventino domani allarme sociale? L’Umbria e i suoi cittadini oggi (non tutti umbri) hanno davvero gli anticorpi per arginare l’inserimento organico nell’economia e nella finanza delle organizzazioni mafiose? Il rapporto dei servizi segreti,  consegnato qualche giorno fa al Parlamento, ha posizionato l’Umbria fra le prime cinque regioni del centro nord a rischio infiltrazioni mafiose, soprattutto in questo periodo in cui la ndrangheta è in “espansione” e Cosa nostra in “risalita”. Su queste ed altre domande continuerà “Diritti negati dalle mafie” il percorso che Libera informazione e l’assessorato alle politiche sociali della Regione Umbria hanno intrapreso per capire cosa sta cambiando in questa regione, a più di dieci anni di infiltrazioni mafiose, due omicidi riconducibili alla criminalità mafiosa, numerosi sequestri e una sola confisca definitiva. E non secondarie, le cifre sempre in aumento, del narcotraffico, della tratta degli esseri umani e dell’usura.

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