Blitz antimafia, Messina Denaro ora è più solo
Se si deve dare una immagine di quello che è successo la notte scorsa a Trapani con gli arresti dell’operazione Golem II, la migliore che si può offirire è quella che porta ad immaginare come gli investigatori che danno la caccia a Messina Denaro, siano riusciti a dargli un calcio proprio in quella parte del corpo dove i calci fanno più male e fanno piegare in due. Matteo Messina Denaro mai come ora in tanti anni di latitanza, dal 1993, aveva subito un colpo così forte.
Un’operazione finalizzata a smantellare la rete di favoreggiatori del superboss latitante Matteo Messina Denaro, indicato come il nuovo capo di Cosa Nostra, è in corso dalle prime ore di oggi in provincia di Trapani. Gli investigatori della Polizia di Stato appartenenti al Servizio Centrale Operativo ed alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, commentano così gli arresti fatti stanotte nel versante trapanese del Belice, tra Castelvetrano, Campobello e Partanna, ordinati dalla Procura antimafia di Palermo. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Secondo l’accusa farebbero parte della struttura trapanese di Cosa Nostra; alcuni di loro sono legati anche da vincoli di parentela con il boss latitante attorno al quale gli investigatori hanno fatto ormai «terra bruciata».
Stanotte hanno operato nel blitz antimafia oltre 200 agenti della Polizia. Le indagini della polizia sono state coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall’aggiunto Teresa Principato e dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido. L’operazione è stato denominata in codice Golem II. Gli arresti costituiscono infatti il seguito dell’operazione Golem I del giugno scorso, condotta da uno speciale team investigativo, con l’obiettivo di disarticolare la rete di complicità che avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figurano infatti alcuni fedelissimi del padrino trapanese che avrebbero svolto il ruolo di «postini» per recapitare la corrispondenza del boss contenente ordini e disposizioni. Gli investigatori sono riusciti a «intercettare» alcuni pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato aveva avuto un fitto scambio epistolare con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo.
In cella sono finiti anche alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonchè con i vertici delle cosche palermitane I particolari dell’operazione saranno illustrati da magistrati e investigatori in una conferenza stampa che si terrà in mattinata, alle ore 11, presso la Questura di Trapani.
Nell’ambito dell’operazione Golem II, è stato chiesto all’autorità il sequestro di alcune aziende che operano nel settore della ristorazione e della distribuzione alimentare, risultate fittiziamente intestate a prestanome di parenti di Matteo Messina Denaro e di affiliati al mandamento mafioso di Castelvetrano. L’obiettivo era quello di sottrarre il patrimonio accumulato illecitamente ai provvedimenti di confisca e sequestro. Gli investigatori hanno accertato infine numerose estorsioni nei confronti di imprese impegnate in appalti nel comune di Castelvetrano come quello per la costruzione di serbatoi e condotte dell’acquedotto Bresciana o le opere di completamento del Polo tecnologico integrato in contrada Airone.
Dall’inchiesta Golem II emerge che il capomafia si serviva di fiancheggiatori insospettabili incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari della famiglia. Tra i fermati anche il fratello del padrino, Salvatore Messina Denaro. In cella sono finiti inoltre, tra gli altri, Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo, Salvatore Sciacca e Vincenzo Scirè. Alcuni sono legati al latitante da vincoli di parentela. L’indagine ha evidenziato, inoltre, come Cosa nostra continua a utilizzare uomini d’onore storici che, scontata la pena e usciti dal carcere, tornano a dare il loro contributo all’organizzazione. È il caso di Filippo Sammartano, Antonino Bonafede e Piero Centonze. Tutti questi si sarebbero occupati della latitanza ma anche di assicurare la trasmissione di intese e direttive di indubbia rilevanza per gli scopi dell’organizzazione mafiosa. Affari milionari ma anche tante estorsioni con minacce e intimidazioni.
Dalla latitanza dorata, che dura dal 1993, il boss mafioso Matteo Messina Denaro riesce a continuare la sua azione criminale grazie ad «appoggi e contatti», come dicono gli investigatori, di numerose persone. « Da alcuni passaggi delle intercettazioni – dicono gli inquirenti – si desume il penetrante controllo del territorio da parte del gruppo criminale capeggiato dal superlatitante; il ricorso sistematico alla violenza per la realizzazione degli obiettivi; il programma di gestione di alcune risorse economiche della zona; l’assoggettamento delle imprese, in molti casi titolari di importanti appalti pubblici, al sistema delle estorsioni e il sistema di riscossione delle relative tangenti; le attività di sostegno alle famiglie dei detenuti con il pagamento delle spese legali e di quelle personali attraverso i proventi delle estorsioni; la ricerca di consenso, di »disponibilità« e mutua assistenza tra i membri dell’organizzazione e verso il capomafia latitante».
L’operazione «è stata un grave colpo per il capomafia». Lo ha detto il dirigente della Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares che ha condotto l’operaizone insieme con lo Sco di Roma. «Si tratta del miglior approfondimento investigativo sulla rete di protezione del boss Messina Denaro – ha spiegato Linares – che può ancora disporre di numerosi contatti e appoggi». «È stato scoperto e disarticolato quello che era un verso e proprio servizio postale utilizzato negli ultimi 14 anni dal superlatitante Matteo Messina Denaro per comunicare, attraverso i pizzini, gli ordini del boss divenuto ormai il capo di Cosa Nostra». Lo ha detto a sua volta il funzionario del Servizio Centrale Operativo della Polizia, Vincenzo Nicolì. Il funzionario di polizia ha sottolineato che Messina Denaro si serviva di una rete capillare, formata da alcuni familiari e dai suoi fedelissimi, per comunicare le disposizioni da impartire all’organizzazione attraverso il sistema ormai rodato dei famigerati «pizzini», la forma di comunicazione imposta da Bernardo Provenzano per sottrarsi alle intercettazioni.
Tra gli arrestati emerge Nino Marotta, ottantenne, il più anziano dei boss mafiosi della provincia di Trapani. Negli anni Cinquanta era tra i fedelissimì del bandito Salvatore Giuliano, oggi per gli investigatori è tra i fiancheggiatori del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Lui è stato visto organizzare e dirigere summit di mafia dentro una officina di Castelvetrano.
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