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Uno Stato ad alto tasso criminale

Di Roberto Morrione il . L'analisi

Cosa è diventato il nostro Paese? Quanto è concreto il rischio che l’Italia si trasformi in uno Stato ad alto tasso di criminalità, dove i comportamenti illegali investono responsabilità pubbliche, la politica, le istituzioni, l’economia, avvolgendo nella corruzione gruppi dirigenti a ogni livello e trovando nella società resistenze sempre più deboli, contiguità diffuse, opaca indifferenza?

Interrogativi traumatici, di fronte al dilagare degli scandali che emergono ogni giorno, con una continuità che fa dell’Italia un caso unico all’attenzione allarmata del consesso internazionale, a partire dalla Banca Mondiale, che sta analizzando il sistema italiano delle tangenti.

Nel giro di pochi giorni l’opinione pubblica (posto che il concetto sia ancora valido in un Paese  diviso, in cui gran parte della popolazione ha come unica fonte d’informazione una televisione dominata dal conflitto d’interessi) è stata immersa nelle inchieste giudiziarie sui comitati d’affari che ruotano attorno alla Protezione Civile,  quindi negli arresti di funzionari pubblici colti con la mazzetta in mano e ora nell’indagine sul gigantesco riciclaggio di denaro  che avrebbe coinvolto potenti gruppi delle comunicazioni, dirigenti insospettabili, imprenditori legati all’estrema destra, servitori dello Stato “infedeli”. E mentre nell’inchiesta della Procura di Firenze si profilava la presenza inquietante di ambienti massonici e mafiosi, l’ala della più aggressiva fra le mafie, la ‘ndrangheta, si è stesa in modo netto sul senatore del PDL Nicola Di Girolamo di cui è stato chiesto l’arresto. Non siamo in grado di dare giudizi specifici sulla vicenda, né sarebbe giusto anticipare quanto il Parlamento deciderà sulla  sua posizione, ma sentiamo il dovere di chiedere che i cittadini si ribellino al dilagare della corruzione e della commistione affaristico-mafiosa.

Quando nei primi anni ’90 esplose tangentopoli, in un’epoca e in un contesto per molti aspetti diversi, il Paese fu accanto ai magistrati di Mani Pulite, espresse in mille modi una domanda di giustizia che era morale prima ancora che politica e che si riassumeva nel valore della “legge uguale per tutti”. Perché non avvertiamo ora una reazione altrettanto viva e penetrante? Cosa è cambiato in questi anni nel profondo del Paese e della coscienza degli italiani? Innanzi tutto dobbiamo rispondere che è tuttora largamente disattesa quella “questione morale” , in sostanza trasversale al sistema dei partiti, che fa della buona e trasparente amministrazione il punto di forza e credibilità della politica verso i cittadini. Troppe volte le scelte dei diritti e dell’etica sono state insidiate o  sopraffatte dalla ricerca del guadagno a ogni costo, dal miraggio di un falso modernismo e di un mercato senza regole, da un costume opportunista e spregiudicato che lascia inevitabilmente il passo  alle scorciatoie, all’ostentazione del sottopotere, al favoritismo familistico. Per illustrare le responsabilità del processo involutivo non è sufficiente neppure il dilagante “berlusconismo”, che pure ne è il più forte artefice e beneficiario. Da questo processo, che ha nella corruzione e nel voto di scambio i principali acceleratori soprattutto, ma non solo, nelle regioni del Sud, le mafie sono state beneficiate, fino a impadronirsi di parti rilevanti dell’economia nazionale, fino ad arrivare indisturbate, come dimostrano anche le nuove inchieste in corso, nel cuore delle istituzioni, del Governo, del Parlamento.

Ed è la stessa Chiesa, con l’allarme lanciato dalla CEI (che ha ripreso in parte il solenne monito espresso ad Agrigento da Papa Woytila, finora largamente inascoltato da vari livelli della gerarchia e della presenza ecclesiale sul territorio)  che scende in campo per denunciare l’assalto criminale alla democrazia e “l’abuso del potere e dell’illegalità”.

Peccato che la presa di coscienza non sia fatta propria dalle scelte del governo e dall’ossessione del Presidente del Consiglio nei confronti dei giudici e della Giustizia. Mentre si rinvia la tanto decantata legge contro la corruzione, non passa giorno in cui non sia sottolineato l’obiettivo di condizionare lo strumento giudiziario delle intercettazioni, senza il quale nessuno di questi scandali sarebbe venuto alla luce e l’avanzata sott’acqua delle mafie sarebbe inarrestabile.

Una sconcertante contraddizione fra chi proclama ogni giorno la necessità di fare pulizia della corruzione, mentre allo stesso tempo cerca nei fatti di colpire le risorse decisive per  arrivare al bersaglio, insieme impedendo ai giornalisti di fare bene il proprio mestiere e lasciando volutamente al buio i cittadini. Insomma, un po’ come fare ammucchiare la sporcizia  e nasconderla poi sotto il tappeto…

E’ reversibile questo devastante stato di cose? All’interrogativo angosciante che assilla tanti italiani è davvero difficile dare oggi una risposta, tante sono le responsabilità e le incognite che pesano su molteplici componenti della vita nazionale, come sui fattori economici, politici, sociali e culturali, interni e internazionali, che ne determineranno l’evoluzione o l’ulteriore regressione.

Una cosa però ci sentiamo di riaffermare: la partita della democrazia contro l’autoritarismo, della legalità contro il crimine, della trasparenza  e dell’etica contro la corruzione, sarà inesorabilmente persa se i tanti, tantissimi cittadini onesti resteranno in silenzio e nell’indifferenza, senza avere un sussulto di rifiuto, di protesta e di dignità.

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