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Mazara: ancora un sequestro ai mafiosi complici di Messina Denaro

Di Rino Giacalone il . Sicilia

 Un nuovo duro colpo alle casse di Cosa Nostra trapanese è stato inferto nelle ultime ore stavolta dai Carabinieri del reparto operativo provinciale di Trapani, che ieri hanno eseguito una ordinanza di sequestro emessa dal Tribunale delle misure di prevenzione. La richiesta i boss Salvatore e Matteo Tamburello, padre e figlio, la richiesta di sequestro inizialmente è stata avanzata dalla Procura di Marsala, successivamente è stata integrata da indagini e accertamenti coordinati dalla Procura antimafia di Palermo.

Un «impero» di terreni e immobili, ma anche aziende e quote societarie, quello colpito dall’indagine antimafia, il sequestro ammonta a 4 milioni di euro, i provvedimenti ieri sono stati notificati in carcere ai due Tamburello, detenuti per condanne di associazione mafiosa. Proprietà, le loro, che secondo le conclusioni del Tribunale derivano dall’attività criminale; loro sono «i pezzi da 90» che nell’ultimo periodo hanno capeggiato le famiglie mafiose del mazarese, ne sono stati capi con la «benedizione» del padrino Mariano Agate e perfettamente d’accordo con il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro. Per un decennio tra gli anni ’80 e ’90 i due Tamburello si sono occupati della gestione della «famiglia» mafiosa di Mazara. Periodo in cui le loro aziende (specializzate nella trivellazione) si sono infiltrati in grandi appalti, e non solo a Mazara, ma anche a Trapani.

Nel sequestro di ora rientrano una villa, una impresa individuale operante nel settore della trivellazione, le quote di una società a responsabilità limitata, una «cava» sita a Campobello di Mazara ed un fondo intestato alla «Calcestruzzi Belice srl» che appartiene quasi per intero al noto imprenditore Rosario Cascio, destinatario anche qualche settimana fa, di uno dei più cospicui sequestri di beni degli ultimi anni. Nell’elenco dei beni da sequestrare c’era anche la villa di contrada Boccarena usata per le affiliazioni di mafia: qui il «pentito» Vincenzo Sinacori, per un periodo «reggente» della cosca, raccontò di essere stato «punciutu» negli anni 80 alla presenza di «don» importanti come Saro Tamburello e Mariano Agate. Il giudice poi non ha proceduto al sequestro della villa per un precedente giudicato.

Appena la scorsa estate Saro e Matteo Tamburello sono stati condannati dal Tribunale di Marsala. Nel corso del processo è emerso il particolare che «don» Saro Tamburello nel gennaio del 2003, dopo l’arresto degli allora latitanti, Natale Bonafede e Andrea Manciaracina, considerato che si trovavano detenuti nello stesso carcere, a Trapani, profittando che si trovava recluso in infermeria, aveva escogitato il tentativo di avvicinarli per sincerarsi che nessuno dei due avesse intenzione di pentirsi. Per «don» pare che muoversi nel carcere non era un problema, tanto che sarebbe riuscito ancora a mandare i suoi ordini all’esterno, solo che quella sua intenzione l’aveva esternata durante un colloquio con i familiari finito «intercettato».

Una mafia, quella trapanese, fatta da «ricchi» “ministri”. C’era quello dei Lavori Pubblici, Rosario Cascio, imprenditore di Partanna, che ha subito un sequestro da 550 milioni di euro, c’era quello al Commercio, il «re» della grande distribuzione, Giuseppe Grigoli, spossessato di beni per 700 milioni di euro, quello al Turismo e agli Appalti, l’imprenditore valdericino Tommaso Coppola, anche a lui sequestrato un patrimonio di società e imprese, compresa la struttura turistica di Torre Xiare di Lido Valderice, attorno a loro si muovevano una serie di «sottosegretari» e «consulenti», come sarebbero stati Saro e Matteo Tamburello, sopra di loro il boss dei boss, Matteo Messina Denaro. Al solito attento, accorto, ma con le mani piene di soldi, perchè quei beni, i denari sequestrati insistono gli investigatori, sono certamente «roba sua».

Il nome dei Tamburello era uscito da ultimo nei «grandi» appalti. Quello per l’eolico di Mazara per esempio, la costruzione del parco di pale eoliche in contrada Aquilotta. In quel caso si scoprì l’esistenza di una mafia «ecologica», verde ma mai al verde. «Un palo a Mazara non si alza se non lo voglio io» venne sentito dire Matteo Tamburello (intercettato) mentre parlava alla moglie, una frase apparentemente poco chiara che fece insospettire gli investigatori, ma presto carabinieri e polizia capirono, appunto, che il «palo» altro non era che la «pala eolica» e che, dietro al business dell’energia alternativa, s’era costituita una società del malaffare tra imprenditoria, cosche e politici, tutti interessati ad arricchirsi, una sorta di joint venture in chiave mafiosa.

Poi l’interesse dei Tamburello si posò  anche sui «grandi» appalti di Trapani e in questo caso si è  scoperto con l’operazione «Oriente II» dei carabinieri (2006) come il «cemento» ha saldato bene gli accordi tra le «famiglie» di Mazara e Trapani, da una parte «don» Salvatore Tamburello e dall’altro lato «don» Ciccio Pace, boss assoluto di Trapani per volere di Matteo Messina Denaro. La «famiglia» Tamburello è stata in qualche modo interessata alla prima fase dei lavori di ammodernamento del porto di Trapani, quelli relativi alle banchine settentrionali, lavori aggiudicati dal Genio Civile opere marittime. Ciccio Pace, capo mafia di Trapani, dette l’assenso per quella «partecipazione» al cantiere, facendo capire bene di sapere chi c’era dietro  i Tamburello: «Con Matteo (Messina Denaro ndr) uncinnè problemi».

Ma il «blitz» «Oriente II»  dimostrò anche altre circostanze, come quella che l’anziano Saro Tamburello nonostante lo stato di detenzione continuava a dettare ordini che venivano puntualmente eseguiti tramite l’intermediazione dei congiunti. Tamburello fu uomo di fiducia di Totò Riina che a Mazara trascorreva la latitanza, in particolare nei periodi estivi: il famigerato Totò «u curtu» gli avrebbe regalato una catenina d’oro in occasione della nascita della nipote, un regalo per sancire rispetto e fiducia in perfetto stile mafioso.

Mafiosi all’antica i Tamburello ma anche capaci di adeguarsi alle necessità del momento, alla mafia diventata impresa. In una intercettazione Matteo parlando con suo padre fu sentito rassicurarlo sull’attività delle loro imprese, «ho partecipato a tante gare e le ho vinte tutte» spiegava soddisfatto.

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