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Riciclaggio, bufera sulle società di telecomunicazioni

Di Stefano Fantino il . Internazionale, Lazio, Lombardia

«Una strage della legalità», così l’ha definita il procuratore nazionale antimafia Grasso, presente alla conferenza stampa in cui il gip di Roma Giancarlo Capaldo ha raccontato i retroscena dell’inchiesta che ha portato all’emissione di cinquantasei ordinanze di custodia cautelare. L’operazione Phunchard-Broker, ha smascherato quella che è stata definita «una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale», un’ operazione di riciclaggio di denaro sporco per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro. Al centro il mondo delle telecomunicazioni con ordinanze di arresto eccellenti, come quelle per  Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb, attualmente all’estero e per il senatore Nicola Di Girolamo del Pdl, eletto nella circoscrizione Estero-Europa. Proprio l’elezione del senatore sarebbe collegato al mondo mafioso, in particolare ai favori ricevuti dalla ‘ndrangheta per favorire la sua votazione.
Due miliardi di euro di riciclaggio: tsunami nel mondo delle tlc
Alla base delle ordinanze per il caso di maxi riciclaggio sta l’accusa  di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di ingenti capitali illeciti attraverso un ben articolato sistema di frodi fiscali.  Una vera e propria organizzazione transnazionale che riciclava il denaro  tramite una rete di società appositamente costituite in Italia e all’estero. I capitali provenivano da una serie di operazioni commerciali fittizie di compra-vendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale per un valore complessivo, alla cui realizzazione concorrevano società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese ed off-shore, tutte controllate dall’organizzazione stessa. Nella vicenda sono coinvolti molti protagonisti nel campo delle telecomunicazioni, come il già citato Silvio Scaglia, ex amministratore delegato e fondatore di Fastweb, ma non solo. Arresto anche per Stefano Mazzitelli, ex amministratore delegato della Telecom Italia Sparkle mentre sono indagati Stefano Parisi, amministratore delegato di Fastweb a partire dal primo novembre 2004 e Riccardo Ruggiero, all’epoca dei fatti presidente di Telecom Italia Sparkle. In manette anche un ufficiale della guardia di Finanza, Luca Berriola, attualmente in servizio al comando di tutela finanza pubblica, che avrebbe incassato una cospicua tangente su una delle operazioni di riciclaggio. 
I funzionari d Telecom Italia Sparkle e Fastweb sono accusati di avere, nell’arco di tempo che va dal 2003 al 2006, emesso fatturazioni di servizi telefonici e telematici in realtà inesistenti, venduti nell’ambito di due successive operazioni commerciali dalle compagini italiane Cmc e Web Wizzard srl, e da I-Globe e Planetarium, che evadevano il pagamento dell’Iva per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro, trasferendoli poi fraudolentemente all’estero, dove i soldi venivano reinvestiti in beni come appartamenti, gioielli e automobili.  L’obiettivo principale era creare “ingenti poste passive di bilancio dovute alle apparenti uscite di centinaia di milioni di euro in favore delle società ‘cartiere’. Le ingenti somme di denaro apparentemente spese per pagare l’Iva in favore delle ‘cartiere’ consentivano a Fweb e Tis di realizzare ‘fondi neri’ per enormi valori”. In sostanza, le somme sembravano spese per attività commerciali legittime e venivano riportate nelle uscite registrate nei bilanci societari ma questo movimento “serviva solo ad utilizzare liberamente il denaro incassato attraverso il pagamento dell’Iva versata dai clienti di Fweb e Tis che non era mai stato versato all’ erario”. Partendo da questi presupposti la procura romana ha reso noto che sono indagate anche le società madri coinvolte per le quali è stata fatta richiesta  formale di commissariamento, motivata dalla “mancata vigilanza”, in ottemperanza della legge 231 del 2001 che prevede sanzioni per quelle società che non predispongono misure idonee ad evitare danni all’intero assetto societario.
Di Girolamo e i voti della ‘ndrangheta
Un passaggio forte dell’ordinanza ci fa comprendere come la grandezza dell’operazione vada bene oltre i risvolti economici e l’entità. inquietante della frode. Secondo Capaldo la pericolosità dell’organizzazione perseguita sarebbe tale per la abituale collaborazione al sodalizio criminale di appartenenti alla ‘ndrangheta, cui venivano intestati beni di lusso e attività economiche degli associati, acquistati coi proventi dei soldi riciclati. Capaldo fa riferimento a metodi mafiosi per descrivere l’associazione per delinquere che saprebbe unire «disponibilità diretta di enormi capitali e di strutture societarie apparentemente lecite l’eccezionale capacità intimidatoria tipica degli appartenenti ad organizzazioni legate da vincoli omertosi, la cui violazione è notoriamente sanzionata da intimidazioni e violenze che, spesso, giungono a cagionare l’uccisione sia di quanti si oppongano ai progetti delittuosi che degli stessi appartenenti al sodalizio criminale ritenuti non più affidabili».
Alla luce di quanto detto sopra appare  particolarmente inquietante la posizione del senatore Di Girolamo, eletto  nella circoscrizione Estero-Europa, che tuttavia nega ogni addebito. Sarebbe collegato ad alcuni degli indagati, legati alla ‘ndrangheta, che avrebbero di fatto favorito la sua vittoria elettorale. Secondo gli inquirenti, durante una na riunione tenuta dallo stesso Di Girolamo da Gennaro Mokbel, destinatario di uno dei 56 fermi,  e da esponenti della famiglia Arena  si concordò di sostenere la sua elezione, facendo confluire su di lui i voti dei calabresi in Germania. La ‘ndrangheta riuscì a venire in possesso di moltissime schede elettorali, che compilò direttamente con il nome di Di Girolamo. Il gruppo avrebbe così fatto il cosiddetto salto di qualità riuscendo a far eleggere il senatore: il sodalizio così disponeva di associati che svolgevano funzioni pubbliche, sia all’interno dell’amministrazione civile dello Stato che della polizia giudiziaria, e perfino  in Parlamento di uno dei promotori dell’associazione. In base alle accuse, infatti,  l’elezione di Di Girolamo doveva servire all’organizzazione criminale per spostarsi, senza problemi nell’ambito delle attività transnazionali di riciclaggio. 

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