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Colombia Vive!

Di Stefano Fantino il . Internazionale



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Narcotrafficanti, paramilitari, gruppi
terroristi, omicidi, desplazados, falsos positivos. E qui ci
fermiamo. Sono già sufficienti per descrivere la situazione che un
paese, la Colombia, sta vivendo da anni. Ma che, ufficialmente non
esiste. Almeno stando alla linea ufficiale, a quel Álvaro Uribe
Vélez che dal 2002 è alla guida del paese sudamericano. Solo
terroristi da reprimere, in realtà un qualcosa di più profondo,
radicato nell’essenza stessa della Colombia. Ieri un incontro
organizzato dalla Rete Italiana di Solidarietà–Colombia Vive!,
dalla Fondazione Internazionale Lelio Basso e da Libera ha voluto
ricordare l’ennesimo massacro: otto civili innocenti, tra loro tre
bambini, della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, in
Colombia, uccisi dai membri della XVII Brigata dell’esercito e dai
paramilitari del Bloque Eroes de Tolovà. Caso purtroppo non isolato.



Falsos Positivos, una vergogna di Stato

Può capitare, il Colombia, di ricevere
una telefonata dalla polizia e di dover andare a riconoscere il
cadavere del proprio marito, o del proprio fratello, a 200 km da dove
si vive. Ritrovarlo morto, con i vestiti da guerrigliero, e con
un’arma vicino. Ufficialmente un nemico in meno, di cui può
fregiarsi l’esercito, in realtà una morte programmata di persone
innocenti, uccisi lontano da casa, camuffati come guerriglieri. Fa
gelare il sangue il documentario, brevemente assaggiato in sala, che
Simone Bruno e Dado Carrillo hanno prodotto in sei mesi di lavoro, e
in un attimo viene squarciato quel velo e rivelata la perversa
strategia di lotta contro il terrorismo da parte del governo Uribe.
Uccidere persone e calcolare come risultati positivi del proprio
sforzo, rappresenta una delle tante macroscopiche e inquietanti
ambiguità del governo centrale colombiano.

L’impunità e la negazione

A sostegno di questo assunto di fondo
ha concorso in maniera chiara il racconto che Andrea Proietti,
Presidente della Rete Italiana di Solidarietà–Colombia Vive!, ha
reso riguardo a un incontro avvenuto tra una delegazione da lui
guidata e l’ambasciatore colombiano in Italia. «Un dialogo tra
sordi» lo ha definito Proietti. Proietti ha portato davanti al
diplomatico alcune importanti questioni, per cui si batte da anni la
sua rete. Innanzitutto la necessità di prendere coscienza delle
costanti minacce e delle continue violazioni dei diritti umani che le
comunità di pace colombiane subiscono da parte della forza pubblica.
Nello specifico l’assunzione da parte dell’esercito di una condotta
che metta al cento i diritti dei civili. Perché questo non avviene?
In conseguenza di una guerra tra Colombia e terroristi, una norma
lotta che non prevede misure emergenziali di tutela dei civili,
spesso alla mercé dell’esercito, senza alcuna cautela adottata nei
loro confronti. Parimenti al continuo crescere delle violenze verso i
civili e le comunità di pace si assiste, come ha sottolineato
Proietti, ha una pesante deriva di impunità. Le implicazioni dei
militari rischiano di non venire condannate e le ultime notizie
«riguardanti la sparizione di 9 faldoni di prove dalla Fiscalia
colombiana» sembrano confermare questo triste presagio. Da qui la
proposta da parte della Rete italiana dell’istituzione di una
commissione aperta a organismi internazionali che segua gli sviluppi
processuali. Proposta che cade in partenza. Secondo il diplomatico è
già stato fatto…

”Anomalia” colombiana

Il corso dell’attuale politica
colombiana e della repressione attuata dal governo, in vista di un
vantaggio economico transnazionale, non può prescindere da una
analisi storico-formale del caso Colombia. Gianni Tognoni, segretario
generale del Tribunale permanente dei popoli, ricorda la differenza
della realtà colombiana rispetto al sudamerica: uno stato che
formalmente non è mai stata una dittatura, ma che «anticipa, tra la
fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta una strategia
nella quale i popoli vengono repressi all’interno di un sistema non
dittatoriale». Si tratta, spiega Tognoni, di una guerra intestina
per il mantenimento di una società, per cui sono sacrificabili molte
persono non utili a quel progetto sociale. Il modo di raggiungere
questo è la creazione di una «perenne situazione di emergenza».
Anche Guido Piccoli, giornalista e scrittore, esperto di Colombia,
condivide questa visione e si spinge, se vogliamo oltre: Colombia non
solo diversa, ma anticipatrice di una persecuzione civile che non
condivide con altri stati sudamericani, la matrice di scontro
ideologico, ma persegue un fine perverso che trascende la
contrapposizione politica.

In questo si inserisce la testimonianza
di Emmanuel Rozental, attivista di movimenti sociali in Colombia,
diventata, un laboratorio dove si sta compiendo un progetto
criminale. Gli omicidi, tutti sotto l’occhio vigile dell’esercito,
sono guidati da un progetto economico che vuole eliminare le
alternative sociali a un progetto economico transnazionale. «Basta
controllare da dove vengono spostati gli abitanti della Colombia,
tutti da potenziali siti di interesse economico» dice Rozental. Per
favorire l’escalation economica non si disdegna una «pianificazione
del terrore» contro ogni diritto. In chiusura l’attivista
colombiano ha posto in luce il rapporto tra una resistenza attiva e
il comparto culturale, elemento ritenuto indispensabile per un
rifiuto di quelli che sono i comportamenti violenti e prevaricatori.

Tra Colombia e Italia

Si innesta su questo tema l’intervento
di Tonio dell’Olio e del sociologo Fabio Neri, ideale ponte per
effettuare un collegamento tra la situazione colombiana e quella
criminale italiana. Dell’Olio forte del ragionamento culturale di
Rozental, ha sottolineato l’importanza di questo aspetto nella
creazione di un futuro possibile, ma ha particolarmente incentrato il
discorso sul lato economico. Economia e finanza alla base della
situazione drammatica della Colombia e anche alla base dei rapporti
illeciti con le mafie italiane. Ma non solo. Non di solo
narcotraffico, ma anche di denaro ripulito e perciò legale si può
parlare quando si parla di mafie e Colombia: un aspetto spesso
ignorato e che invece costituisce l’ossatura della stessa
internazionalizzazione del crimine organizzato. L’intervento di Neri
ha cercato di analizzare le strategie di controllo territoriale delle
mafie italiane e di paragonarle a quelle in atto in Colombia. Questa
ultima parte è stata sicuramente la più interessante e ha messo in
luce alcuni paralleli convincenti. Non paragonabili per contesto
geopolitico il potere mafioso in Italia e quello paramilitare in
Colombia mantengono punti di contatto. Il controllo del territorio,
delle risorse economiche, l’inserimento in un modello economico
dominante sono elementi comuni. Come anche l’esercizio del loro
potere e la tendenza a farsi alternativa allo Stato. Sovente capita
che in Colombia i paramilitari concedano alcuni servizi ai
desplazados più “fidelizzati” per garantirsi il consenso. Come
altrettanto forte è il legame con il mondo politico. L’ex capo delle
AUC Mancuso riteneva amici 133 persone del congresso, tanto da far
ipotizzare a Neri un rapporto simile tra paramilitari e politica in
Colombia a quello tra mafia e politica in Italia. Quando non si parla
addirittura di veri e propri rapporti operativi, e allora a coca
colombiana arrivava a Gioia Tauro con il benestare dei paramilitari.
Un’altra storia? No, solo un’altra faccia della medaglia.



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