Omertà e luci spente
“L’Italia è una Repubblica
autocratica, fondata sulla corruzione e l’evasione fiscale”.
L’articolo 1 della Costituzione, per paradosso, potrebbe
essere riformulato così, se andasse in porto l’offensiva contro la
Carta fondamentale della nostra democrazia messa in atto dal sistema
di potere costruito da Silvio Berlusconi. L’enorme scandalo del
comitato d’affari che secondo l’inchiesta della Procura di
Firenze ha messo le mani sulle grandi opere pubbliche, ruotando
attorno alla Protezione Civile di Guido Bertolaso o facendosene
scudo, porta in primo piano il vero male oscuro che sta minando il
Paese e che richiama in modo inesorabile le amare vicende di
Tangentopoli a torto ritenute superate.
A tutto questo si salda lo
sconcertante rapporto diffuso dal Ministero dell’Economia, secondo
il quale il 27% degli italiani, cioè un cittadino su quattro, ha
dichiarato nel 2008 un reddito netto pari a zero, si rifiuta cioè
semplicemente di pagare le tasse. Un fenomeno complesso, con molte
facce da analizzare. Vi influiscono certo una crescente povertà
diffusa, le disuguaglianze fra le diverse zone del Paese, nell’antica
insoddisfazione per il poco che in cambio lo Stato offre ai cittadini
sul terreno delle politiche sociali, ma è evidente anche la
radicalizzazione di una furbizia priva di remore civili e morali ,
che attinge ai numerosi modelli di cattiva amministrazione, di
privilegio, di elusione di ogni regola, offerti da ceti dirigenti e
da caste cui tutto sembra ormai consentito. Parte dunque della stessa
deriva culturale ed etica verso la quale l’Italia sembra correre a
precipizio.
Le denunce per corruzione sono
cresciute del 229 % rispetto all’anno precedente e quelle per
concussione del 153 %: è l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti
all’apertura del suo anno giudiziario. Analisi di istituti
universitari, suffragati da studi della stessa Banca Mondiale, fanno
salire a circa 70 miliardi di euro le perdite economiche che ogni
anno il nostro Paese subisce a causa della corruzione. Non
dimentichiamo che l’istituto Trasparency International ci collocava
nel 2007 al 41mo posto nella classifica mondiale della lotta alla
corruzione, ma quest’anno ci pone al 63mo posto, superati soltanto
da Stati non sviluppati e fuori da istituzioni democratiche.
La pubblicazione di una piccola parte
delle intercettazioni operate dalla procura di Firenze sulla “cupola”
del comitato d’affari che ha dominato le opere pubbliche e i
cosiddetti Grandi Eventi, insieme con il faticoso lavoro di
investigazione dei ROS dei carabinieri, ha portato alla luce un
intreccio fra amministrazione e settori del governo, politici,
imprenditori d’avventura, che – al di là degli aspetti penali
tutti da verificare – esattamente 18 anni dopo l’avvio di
“Mani pulite” ripropone ingigantite molte di quelle vicende, sia
pure in un contesto storico cambiato. «La casta dei corrotti fa
quadrato», dice in un’intervista a Marco Travaglio il giudice
Piercamillo Davigo, che operò nel pool milanese. E Gianfranco Fini
ne coglie una differenza particolarmente agghiacciante: «Allora i
politici prendevano le mazzette soprattutto per i loro partiti, ora
chi lo fa è per se stesso, cioè è soltanto un ladro».
Non vogliamo qui ripercorrere quanto
una parte della stampa ha abbondantemente riportato, conversazioni
telefoniche vergognose e ciniche che si commentano da sole, invano
(almeno così speriamo per il formarsi dell’opinione pubblica)
ignorate, aggirate o minimizzate da Telegiornali asserviti, che
tradiscono una corretta informazione al servizio della completezza
dei fatti. Né ci interessa in questa sede valutare il comportamento
e il destino di Guido Bertolaso, il cui abnorme potere centralistico
in deroga a qualsiasi norma Libera Informazione fu peraltro fra i
primi a denunciare subito dopo il terremoto e nell’avvio della
ricostruzione a L’Aquila. Dobbiamo solo osservare che, se può
esistere a suo modo una sorta di “grandezza del male”, ne è al
di sotto la squallida dimensione dei tristi protagonisti dello
scandalo, fra sghignazzi famelici mentre in Abruzzo si scava a mani
nude nelle macerie, riserve sessuali di “escort” per facilitare
l’attribuzione pilotata degli appalti o premiare una sorta di
“riposo dalle mazzette”, miriadi di favori a figli, cognati,
amici vari, in una ragnatela che chiama in causa aziende pubbliche,
compresi alti gradi della già devastata Rai.
Preoccupa molto,
invece, l’irruzione in alcune intercettazioni di personaggi legati
a logge della massoneria e a figure che i rapporti dei Ros ritengono
contigue ai clan camorristici casalesi o legati in
passato al capo di Cosa Nostra, Riina. Si riaffacciano dunque le
ombre dei poteri occulti che pesano ancora sui misteri mafiosi degli
anni ’90 (in quei rapporti si fa indirettamente anche il nome di
Marcello Dell’Utri) e che nella corruzione dei comitati d’affari
pubblici e privati mimetizzano l’espansione economica di interessi
criminali.
E c’è un’ulteriore riflessione: se
fosse stata operativa la legge sulle intercettazioni telefoniche che
il governo ha già approvato alla Camera, niente di tutto questo
avrebbe visto la luce e il Paese sarebbe completamente all’oscuro
dello scandalo. Dall’inchiesta di Firenze, infatti, che riguardava
inizialmente appalti cittadini, le intercettazioni – secondo il
progetto governativo – non avrebbero potuto estendersi ad altre
vicende non direttamente attinenti a quello specifico reato, mentre
la stampa, pena durissime sanzioni, sarebbe stata costretta all’
assoluto silenzio… Occorre ora alzare la vigilanza sui tempi nei
quali il disegno di legge governativo, voluto ad ogni costo da
Berlusconi, che ne ha riaffermato in questi giorni l’urgenza e la
necessità, potrà proseguire l’iter parlamentare, rallentato
finora solo dal timore di un intervento di natura costituzionale del
Capo dello Stato. E’ il terreno più esposto nelle prossime
settimane e va presidiato con nuove iniziative a ogni livello,
riaccendendo la passione e l’unità che animò il 3 Ottobre a Roma
una straordinaria Piazza del Popolo Non dimentichiamo infatti che a
quel provocatorio cambiamento dell’articolo1 della Costituzione, da
noi evocato, si unirebbe l’abolizione sostanziale dell’articolo
21, che difende la libertà di stampa. Un sistema fondato sulla
corruzione richiede sempre omertà e luci spente.
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