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I casalesi non sono in ginocchio

Di Pietro Nardiello il . Campania

Quanto accaduto a Rosaria Capacchione  in occasione della presentazione del libro “’O Cecato”, dato alle stampe dall’altra cronista del Mattino Daniela De Crescenzo, deve obbligarci ad una riflessione importante che, giustamente, ci dovrà spingere oltre la solidarietà delle parole. Che un parente di un boss latitante del calibro di Antonio Iovine possa alla presenza di forze dell’ordine, magistrati e questore porgere delle osservazioni sul lavoro che Rosaria, con onestà e in silenzio, svolge da sempre rappresenta un atto gravissimo che racchiude in se tutta l’identità camorrista: screditare l’avversario e intimorirlo con un gesto platealmente elegante come nel caso del mancato bacio. Non possiamo archiviare quest’azione di potenza ancora una volta come l’ennesimo incidente di percorso nel quale può incappare una cronista, alla quale bisognerà offrire un servizio di sicurezza migliore, e che vuole, semplicemente, raccontare i fatti. Non ce lo consente l’etica professionale, alla quale tutti dovremmo rispondere,  ma nemmeno  l’appartenenza ad una comunità che vorrebbe, anche con piccole azioni quotidiane, costruire percorsi alternativi alla camorra. Per queste ragioni abbiamo il diritto di chiedere che si faccia al più presto chiarezza su quanto accaduto invocando l’intervento di forze dell’ordine, magistratura e classe politica.

Il clan dei casalesi è  tutt’altro che in ginocchio e quanto è avvenuto alla libreria Feltrinelli rappresenta l’ennesima sfida lanciata allo Stato, alla società civile e a tutti coloro che non si rassegnano ad accettare di vivere sotto il giogo camorrista.

Per sradicare un pensiero comune e un senso di appartenenza sedimentatosi nel corso dei decenni non è sufficiente la sola, seppur ottima, azione militare, ma è necessaria una volontà manifesta di una classe dirigente che dovrebbe incominciare, proprio nel corso di questa campagna elettorale, a cassare dalle proprie segreterie coloro che si sono macchiati di un reato o hanno in corso un procedimento penale.  Infine si rende necessaria un’altrettanta decisa azione sociale che offra nuove prospettive ai giovani per impedirgli, così, di correre in massa all’ufficio di collocamento della camorra. E’ in gioco un principio democratico e non possiamo accettare passivamente tutto questo discutendone, ancora una volta, solamente intorno ad una tavola rotonda. 

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