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Caffè, té, droga e il ponte sullo stretto di Messina

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Sembra quasi di rivedere una scena del film “Gli intoccabili”. Ma quello che sta succedendo a Montreal, Canada, è pura e semplice realtà. Nel giro di tre settimane sono stati fatti esplodere nove tra bar e ristoranti, otto dei quali di proprietà di italiani. Che qualcosa di inquietante e pericoloso stia succedendo è uno degli interrogativi che circolano nei maggiori quotidiani canadesi. E le risposte che arrivano sono preoccupanti. Una guerra tra bande? Una sfida alla mafia? Il paese nordamericano è da sempre considerato un paradiso dalla criminalità organizzata: tanta ricchezza, la possibilità di investire e ripulire denaro sporco, una base operativa per i traffici di droga, un lungo e poroso confine con il vicino americano, e, last but not least l’assenza di una seria legislazione in grado di contrastare le mafie.

Il Canada, ma la lista è molto più lunga, non contempla il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Esiste una legge molto difficile da applicare, il Bill C95, che consente alla magistratura canadese di perseguire reati di associazione mafiosa se si ha a che fare con un gruppo di almeno cinque persone, che per almeno cinque anni ha operato nello stesso modello criminale compiendo reati punibili con almeno cinque anni di carcere. Una legislazione talmente complicata che raramente riesce a portare un mafioso dietro le sbarre. Oppure, rasentando l’incredulità, può succedere che un boss dichiari la sua dissociazione dall’organizzazione, senza pentirsi o collaborare con la giustizia, e possa essere facilmente scarcerato.

E’ successo a Gerlando Caruana, boss della potente famiglia Cuntrera- Caruana, che davanti ai giudici canadesi, ha ammesso la sua volontà di dissociarsi da Cosa nostra, ma naturalmente senza fare nomi o svelarne gli affari, perchè avrebbe messo a rischio la sua vita e quella dei suoi familiari. Accertata la sua buona fede i giudici lo hanno messo in libertà condizionata. Storicamente in Canada, specialmente a Montreal, Cosa nostra ha spadroneggiato. Il clan Rizzuto, retto dall’ottantaquattrenne Nick Rizzuto, alleato della famiglia Bonanno di New York e della famiglia Cuntrera-Caruana, ha creato un vero e proprio impero economico.

Negli anni ‘90 la “Sesta Famiglia”, così è stato soprannominato il clan Rizzuto, ha messo in piedi una serie di alleanze con altri gruppi criminali operanti nel paese, consolidatesi nel cosiddetto “Consortium”. Non facciamoci la guerra, ma banchettiamo tutti insieme nel mare magno delle ricchezze canadesi. In questo modo le famiglie italo-canadesi, i russi, i colombiani, le Triadi cinesi, le bande di strada irlandesi, le bande di motociclisti degli Hells Angels, e quanto di criminale fosse presente nello scenario canadese, hanno collaborato attivamente. Le vicende delle ultime settimane, tuttavia, possono essere il segnale dell’indebolimento del Consortium. Dopo gli arresti dei reggenti della Sesta Famiglia, Vito Rizzuto e Frank Arcadi, la leadership dei Rizzuto si è indebolita. Inoltre, seguendo la metamorfosi dei cugini americani, anche Cosa nostra canadese ha iniziato ad investire nel mercato legale, lasciando sguarniti “affari” tradizionali quali il racket. Interpretazione, questa, contrastata da Antonio Nicaso, studioso di mafie nordamericane. Secondo Nicaso, infatti, gli attentati delle ultime settimane sono organizzate da Cosa nostra per imporre il monopolio di prodotti alimentari “sponsorizzati”. Come accadeva negli States negli anni ‘50. Il caffè imposto dalla mafia a Montreal, ad esempio, è il Moka d’Oro, un marchio ricollegabile a Nicodemo Cotroni, figlio del vecchio capomafia Frank Cotroni.

Le mafie in Canada, e la famiglia Rizzuto in particolare, negli ultimi anni è stata al centro di numerose operazioni giudiziarie che hanno reso possibile evidenziare la grande capacità economica-imprenditoriale. Tre sono le operazioni più significative: Colosseo, Brooklyn e Orso Bruno. L’operazione Colosseo, condotta dalla magistratura canadese, ha coinvolto il vecchio boss Nick Rizzuto e altri ottanta affiliati al clan, con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. L’operazione Brooklyn, ha messo in luce il tentativo dei Rizzuto di entrare nel business della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, tramite una fitta rete di intermediari ed imprenditori collusi. L’operazione, gestita dalla DDA di Roma, ha coinvolto Vito Rizzuto, il rampollo della famiglia. Orso Bruno, infine, coordinata anch’essa dalla DDA di Roma, ha sventato il tentativo dei Rizzuto di riciclare 600 milioni di euro. Contatti con la Sesta Famiglia li hanno allacciati anche i calabresi. In fase ascendente, se non dominante, nel controllo del traffico internazionale di cocaina diretto verso l’Europa, le ‘ndrine calabresi hanno trovato nel Canada un avamposto strategico, coordinato da Giuseppe Coluccio, il “re del narcotraffico”. L’esperienza di Coluccio finisce tuttavia nell’agosto del 2008, grazie all’operazione Nostromo, coordinata dal Pm Nicola Gratteri della DDA di Reggio Calabria. Non si è bloccata, invece, la penetrazione della ‘ndrangheta, come di altre organizzazioni criminali, a loro agio in quello che può essere considerato un paradiso delle mafie.

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