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Il coraggio del giudice ragazzino

Di Giovanni Marino (da repubblica.it) il . Campania

Da Napoli a Locri. La terra infestata dagli assassini della ‘ ndrangheta. Dagli studi universitari, da una vita serena nella casa di genitori premurosi, circondato da amici e fratelli, a una realtà crudele, dove il silenzio viene interrotto soltanto dai colpi della lupara e dei revolver. 

Ha avuto coraggio, Francesco Cascini, fresco di laurea, ad andare in un luogo, dal 1996 al 2001, dimenticato dallo Stato, sottovalutato dai media, dominato dal terrore. E a rimanerci, per intensi e terribili anni. Una realtà raccontata come un emozionante romanzo in “Storia di un giudice, nel far west della ‘ ndrangheta“, appena uscito per Einaudi, che sarà presentato giovedì alle ore 18 presso la libreria Ubik in via Benedetto Croce numero 28 (telefono 081 4203308), presenti il procuratore Paolo Mancuso e l’autore

Centosettantacinque pagine con due protagonisti invisibili ma fondamentali chiamati passione civile e spirito di servizio. Insomma, come dovrebbe essere un magistrato. Con il suo impegno. Le sue umane e intelligenti paure. Le sue regole. I suoi fondamentali dubbi. Fragile e forte. Al servizio della comunità. Un racconto-verità, dove Cascini non fa sconti a se stesso e mette tutto in piazza. A partire del suo terrificante esordio: due ragazzi straziati a colpi di lupara. Lo sgomento durante l’autopsia dove teme di crollare e resiste grazie a un inatteso consiglio: spalmarsi il Vicks sotto il naso, come si faceva da bambini per curare il raffreddore. La costante angoscia di non farcela a dare fino in fondo il suo contributo dopo le prime inevitabili sconfitte lì dove la legalità non è di casa. 

Fino alla svolta. Francesco, il giudice ragazzino, diventa improvvisamente grande, sceglie di non fuggire, come tanti altri, chiedendo il trasferimento nei dintorni di Napoli. No, resta per fare il suo dovere. E lo spiega così: “Avevo fallito, avevo perso. Ma erano passati già diciotto mesi e mi stavo abituando ai fucili caricati a pallettoni, all’odore dei morti, alle autopsie, ai Vicks, a rincorrere la verità. Soprattutto, mi stavo abituando a perdere”. 

Cascini assiste addirittura a una esecuzione in diretta. Un killer fa saltare il cervello a un boss rivale. Lui è lì, casualmente, su quella stessa strada, in auto. Prima confessa: “Ero pietrificato. Mentre sparavano avevo provato a tirare fuori il cellulare, mi era caduto, non riuscivo a comporre il 113, il rumore dei colpi mi bloccava le mani e sentivo il cuore che andava sempre più forte”. Subito dopo fa il suo dovere, senza esitazioni: “Li avevo visti mentre sparavano (…) dopo due minuti arrivò una Volante della polizia. Le corsi incontro gridando che gli assassini erano a bordo di una Uno bianca e indicai la direzione da cui erano scappati, a voce alta dissi che erano in due e diedi una descrizione rapida dell’autista”. Si espone, perché i veri coraggiosi sanno convivere con la paura.

Ci sono tanti coinvolgenti episodi, nel libro. Si alternano piccole vittorie a grandi sconfitte ma, visto il contesto, è davvero un buon bilancio. E soprattutto, sullo sfondo, resta ben saldo lo scopo del giudice: la ricerca della verità. O di quanto più vicina ad essa.

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