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Business dei rifiuti nel Lazio

Di Mino Massimei il . Lazio

Partiamo da Mario di Carlo. Per capire Mario Di Carlo, assessore alle Politiche della casa della Regione Lazio, basta ricordare la famosa conversazione rubata da Paolo Mondani di Report. Così si esprimeva Di Carlo del suo rapporto con Cerroni: «tutti e due ci piace andare a mangiare, che c….o ne so, la coda alla vaccinara, capito? Nel mondo che vive lui, co chi c…o ce va, co’ Caltagirone a mangiare la coda alla vaccinara? Lui non ce l’ha sostituti. Non ce l’hai una soluzione, no? Tuo nipote c’ha 14 anni, te ce n’hai 82, quanto c…o pensi di campare ancora? Cioè quanto pensi di campare lucido?».  

L’intervistatore gli chiede: «lui (Cerroni, ndr) ti ha chiesto di sostituirlo»? Risposta: «No di sostituirlo, lui aveva visto che io non m’ero candidato alla Camera, non avevo seguito Rutelli, nel 2001, e quindi mi disse: “Perché non te ne vieni a lavorare con me?”. No, io se fossi andato a lavorare con lui gli avrei chiesto la televisione, cioè ormai la politica la fanno i giornali no? La fanno i giornali e la televisione, i politici sono degli utili idioti!».

Di Carlo ha un curriculum di tutto rispetto questi sono solo alcuni incarichi nel mondo dell’ambientalismo e dei rifiuti:1981-‘1982 tecnico presso il Laboratorio d’Igiene e Profilassi della Provincia di Roma,1982′-1986 funzionario della Provincia di Roma con compiti su temi come smaltimento dei rifiuti e degli impianti di depurazione, del Progetto di Risanamento dell’Alta Valle dell’Aniene e del Progetto per un Museo dell’Archeologia Industriale per Tolfa’Allumiere. Membro permanente della Commissione sugli impianti di depurazione nel 1987, nel 1990 Tecnico nel nuovo Ufficio Valutazione Impatto Ambientale della Provincia di Roma. Dal 1991 al 1993 Presidente della Legambiente Lazio. Coordinatore scientifico di molte campagne ambientaliste promosse da Legambiente Nazionale. Dal 1993 al 1995 Direttore Generale di Legambiente nazionale, dal 1995 al 1997 Presidente di AMA e Presidente della Commissione Scientifica per l’Emergenza dei Rifiuti della Regione Campania dal 1997 al 2002 Presidente di ATAC, STA e COTRAL. Dal 2002 al 2005 Assessore alla Mobilità del Comune di Roma poi consigliere regionale, e assessore alla casa con delega ai rifiuti che dopo il fuori onda è costretto a rimettere.  

E’ la biografia di un perfetto uomo interno al sistema di potere della Regione Lazio e del Comune di Roma  targato centro-sinistra. Nessuno fino ad oggi ha intaccato seriamente il potere di Cerroni e il sistema di gestione dei rifiuti. Non lo farà certamente la giunta Alemanno che latita su qualsiasi progetto per la città di Roma. Cerroni o Di Carlo ( che negli anni ha avuto molte polemiche  su queste questioni) hanno avuto però dei nemici molto agguerriti i movimenti, le associazioni che da Malagrotta ad Albano hanno detto no al loro modello fatto di discariche, gassificatori ed inceneritori. E un nemico giurato di fama internazionale candidato al nobel per la chimica il Prof. Paul Connett , della Saint Lawrence University di New York. Su Albano, Malagrotta e Cerroni ha speso molte energie.  Il gassificatore di Malagrotta è finito sotto sequestro. I  carabinieri del Noe, su ordine della Procura di Roma, hanno sequestrato il nuovo gassificatore di Malagrotta, contestando la mancata certificazione antincendio. I comitati hanno prodotto molto materiale per mettere in evidenza le principali questioni che la letteratura scientifica contraria a questi impianti ha prodotto. L’ingegnere Piergiorgio Rosso che si è occupato della faccenda per conto dei comitati di lotta ha svolto un lavoro molto preciso. Stessa storia per l’inceneritore di Albano: l’Asl RmH ha detto di no all’inceneritore che Ama-Acea e gruppo Cerroni vogliono fare a Roncigliano, Comune di Albano, al confine con Ardea e Pomezia, in quanto incompatibile con il territorio.  Cerroni, Ama, Acea, la Regione che va dietro al modello Cerroni, unico modello sul territorio per smaltire i rifiuti. Nella politica regna il caos delle proposte. L’idea è quella di chiudere Malagrotta e, al posto di Albano, aprire uno sversatoio con termovalorizzatore annesso ad Allumiere, sopra i terreni del demanio militare gestiti dall’amico e ministro Ignazio La Russa. Nel centrodestra gira anche un’altra ipotesi, si dice caldeggiata da Paolo Togni, ex braccio destro di Altero Matteoli e oggi direttore del dipartimento politiche ambientali della capitale: bruciare il Cdr nella centrale Enel di Torrevaldaliga, a Civitavecchia. Secondo alcuni, l’operazione è tecnicamente impossibile. Perucci spiega, poi, che proprio a Civitavecchia c’è un eccesso “misurabile” di mortalità e di ricoveri legati a malattie respiratorie. “L’impatto ambientale in città proviene da più fonti: il porto più grande del Tirreno, con navi che hanno emissioni fino a 10 volte più alte del peggior inceneritore d’Italia, due centrali elettriche, quella dell’Enel e un cementificio”. 

Il documento stilato dal prof. Carlo Perucci ( lo stesso di Colleferro) su Albano è stato contestato perché il modo in cui è stato fatto ( la linea scientifica che ha seguito) tende a ridurre i rischi di contagio delle malattie da inceneritore. Ma pur ridimensionando non può tacere i rischi sul territorio di impianti del genere. Avviandoci alla conclusione quello che emerge è che qui come in tutta Italia sui rifiuti si stia giocando una delle partite di potere più importanti del paese e le mafie non stanno certo a guardare.

Andiamo a Viterbo.  Legambiente Lazio si è costituita parte civile  nei confronti dei 15 imputati che sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di traffico illecito di rifiuti nelle cave di Vetralla, Capranica e Castel S. Elia, sull’inchiesta “Giro d’ Italia, ultima tappa Viterbo”, la più grande operazione di polizia giudiziaria che sia mai stata condotta nel Lazio. Basata sull’articolo 53 bis del Decreto Ronchi, ha avuto come fulcro delle attività d’indagine proprio due province del Lazio prima assolutamente “immacolate”: Viterbo e Rieti. Le indagini hanno consentito di scoprire un traffico di 250mila tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non, provenienti da mezza Italia e aventi come destinazione finale Viterbo, per un giro d’affari pari a 2,5 milioni di euro. L’inchiesta, che si è conclusa nel Maggio 2005, prende il nome dal tortuoso percorso che i rifiuti facevano attraverso la penisola prima di giungere a Viterbo. Le indagini relative all’operazione giudiziaria “Giro d’Italia, ultima tappa Viterbo”, hanno portato a smantellare un’articolata organizzazione criminale che operava una sistematica manipolazione e miscelazione dei rifiuti prodotti da aziende del Lazio, Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Campania.

I rifiuti, costituiti da fanghi di cartiera, terre inquinate da Pcb, ceneri di acciaieria, rifiuti farmaceutici e contenenti alte concentrazioni di zinco, piombo e nichel, viaggiavano accompagnati da certificazioni false, fornite da un compiacente laboratorio d’analisi, e venivano poi smaltiti in tre ex cave in ripristino ambientale. Sono state arrestate 9 persone e 28 sono state denunciate, con l’accusa di attività organizzata al traffico e gestione illecita di rifiuti, e falso in atto pubblico. La partita con le ecomafie è tutta ancora aperta, i modelli di gestione e smaltimento dei rifiuti sono da ricostruire ma la strade delle discariche e degli inceneritori se si vuole costruire un futuro degno di questo nome sono chiuse perché piene di inchieste, cattiva gestione, morti per tumori e malattie da inquinamento. Il 24 marzo si attende il giudizio del TAR sul gassificatore di Albano comunque vada la palla è al
la politica. 

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