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Rifiuti tossici: due navi affondate e il “patto” con i mafiosi

Di Rino Giacalone il . Sicilia

C’è una voce che gira e vuole restare «anonima» al porto di Trapani, «anonima» perchè riferisce di vicende non tanto scomode quanto «radioattive». Questa voce racconta di una nave che vent’anni addietro arrivò qui a Trapani a caricare marmo, ma partì con la stiva in parte vuota, o almeno così pareva fosse. Circostanza strana perchè caricare una stiva di una nave in parte significa mettere a rischio la stessa capacità di galleggiamento durante la navigazione, sopratutto se si porta del marmo come succedeva in quel caso. Quella nave partì ugualmente da Trapani «a mezzo carico», cosa che la «voce» deduce perchè secondo quanto ha saputo per la quantità di marmo imbarcata solo per una parte poteva essere stata stipata la stiva. Il racconto prosegue in modo preciso circa l’esito che ebbe quel viaggio, quella nave fuori Trapani finì col fare naufragio, e nemmeno c’era maltempo. Nessuno perse la vita, l’equipaggio riuscì a salvarsi. In questi mesi dopo che per una serie di indagini che si stanno svolgendo in Calabria, si è tornato a parlare delle navi cariche di rifiuti speciali e radioattivi fatte apposta naufragare, uno smaltimento illegale camuffato da incidenti in mare, a Trapani c’è chi si è ricordati anche di quella nave, più che una storia è una «leggenda» perchè mai provata. E però spesso al porto di questo accadimento ogni tanto si è sentito dire qualche cosa, sottovoce però. E’ una delle «storie» che i «vecchi» raccontano, anche se in questo caso non sono tanto i «vecchi» visto che poi da quel fatto non sarebbero passati tanti anni, una ventina al massimo. Ma elementi circostanziati di più non ne vengono riferiti, ciò nonostante è un racconto che sembra potere calzare ad un naufragio che c’è stato davvero.

È quello della motonave «Silenzio», 198 tonnellate, nave cargo, l’affondamento risale al 2 novembre del 1982, partita da Trapani doveva raggiungere Malta, di solito era usata per trasportare marmo, ma quando fece naufragio la stiva era vuota. Qualche similitudine con quello che si racconta al porto di Trapani la si trova nella cronaca striminzita di questo affondamento, impossibile dire se si tratti della stessa nave. Il naufragio della «Silenzio» avvenne ad est di Trapani su un fondale di 1250 metri. Tutti salvi i membri dell’equipaggio. Il nome della «Silenzio» è finito nell’elenco dei naufragi italiani sospetti, ma non è il solo che riguarda da vicino le nostre coste, c’è anche il nome di un’altra nave, la «Monte Pellegrino», affondata l’8 ottobre del 1984 al largo di San Vito Lo Capo, doveva raggiungere il porto di Palermo da Porto Empedocle, nave cargo di solito impiegata per trasportare sostanze chimiche o pomice. La «Silenzio» e la «Monte Pellegrino» avrebbero potuto trasportare altro, qualcosa da non potere e dovere dichiarare, quando fecero naufragio, e per questa ragione sono finiti tra gli affondamenti sospetti. 

Altri affondamenti 

Al largo delle coste trapanesi non sono gli unici affondamenti strani che sarebbero avvenuti. Ce ne sono altri, rimasti enunciati e però non accertati. A proposito infatti di smaltimento criminale di rifiuti tossici, speciali, residui di materiale radioattivo, finiti in fondo al mare con le navi che li trasportavano illegalmente, in atti giudiziari si incrociano i nomi di due navi. Una è la «River», l’altra la «Dures», affondate vicino Trapani. Naufragi mai dichiarati, «navi fantasma», che però sarebbero venute ad affondare dalle nostre parti. Scenario di tutto questo è quello di Trapani e le sue commistioni, i crocevia tra la mafia e i settori «deviati» dello Stato, la massoneria, che in altre circostanze sono emersi per i loro interessi in traffici di droga e di armi. Gli stessi scenari che sono presenti nelle indagini calabresi. Di traffico di scorie si sono occupati a Trapani poi gli stessi magistrati che hanno seguito le indagini sulla presenza di Gladio (la struttura segreta del Sismi nata in funzione di contrasto al possibile pericolo “comunista”), scorie finite sepolte nelle nostre cave. 

Il patto con la mafia 

«Pezzi» dello Stato avrebbero trafficato con la mafia e con organizzazioni criminali a livello internazionale per smaltire illecitamente rifiuti tossici, in cambio di far transitare per gli stessi circuiti armi e droga. Nel caso trapanese si sarebbe trattato di un «patto» per fare continuare i traffici di droga e di armi che su quelle rotte si sviluppavano da decenni, prima ancora che arrivassero i rifiuti tossici da smaltire. C’è un dato particolare che non va sottovalutato. Quella di una serie di rapporti che la mafia trapanese per tempo è riuscita a intavolare con soggetti del nord Africa e arabi, terminali di questi «commerci» illegali. Contatti che secondo il pentito Nino Giuffrè, boss di Caccamo, e braccio destro prima della sua cattura del boss Bernardo Provenzano, erano nella disponibilità dei Messina Denaro di Castelvetrano, Francesco e Matteo, padre e figlio, il patriarca e il nuovo capo della mafia. Il primo morto nel 1998, l’altro latitante dal 1993.

I traffici di rifiuti speciali nel trapanese non sarebbero qui giunti solo per fermarsi, dentro le cave di tufo dismesse nella zona tra Marsala e Mazara, come hanno raccontato il pentito Scavuzzo e il faccendiere Francesco Elmo, ma Trapani potrebbe essere stato un punto di transito, per far fare il salto verso l’Africa, la Somalia. Questo traffico di scorie chimiche e radioattive si sarebbe svolto tra la metà degli anni ’80 sino al 1991/93, scorie chimiche che arrivavano trasportati da camion destinati a portare oli esausti, mentre quelle radioattive venivano trasportate su navi di diversa nazionalità.

Luoghi e circostanze portano a pensare ad alcune morti eccellenti, che possano entrarci qualcosa, quelle in Somalia della giornalista Ilaria Alpi, dell’operatore che l’accompagnava, Miran Hrovatin (erano andati a scoprire rifiuti tossici finiti seppelliti sotto le nuove strade di Bosaso), e quella «nostrana» di Mauro Rostagno, che avrebbe scoperto un trasporto segreto sull’aeroporto ufficialmente chiuso di Kinisia. Piste delle quali si parla da anni, qualcosa di più comincia ad emergere. 

Una sola voce si è alzata dal mondo politico 

C’è un ordine del giorno che attende di essere esaminato dal Consiglio provinciale di Trapani. È stato presentato nel novembre scorso dal consigliere Ignazio Passalacqua (gruppo misto, esponente della sinistra), si riferisce proprio all’uso criminale e illegale che sarebbe stato fatto di cave presenti nel territorio, tra Marsala e Mazara. «Negli scorsi anni – ricorda Passalacqua – alcuni sopralluoghi, realizzati in maniera poco precisa non riuscirono a fare chiarezza sulla vicenda. Da allora – continua Passalacqua – sono trascorsi più di quindici anni e nel frattempo le tecnologie hanno consentito di elaborare strumenti più efficaci e sofisticati e dunque gli accertamenti potrebbero essere ripetuti». Ignazio Passalacqua aggiunge anche altro, ricorda le morti per tumore che in quelle zone delle cave si sono registrate: «Da anni gli abitanti di quella fetta di territorio – dice – denunciano l’alto tasso di incidenza di tumori e l’altissima mortalità che ne deriva. Una zona in cui sono presenti falde acquifere di importanza rilevante. Per questo si è chiesto l’intervento del Consiglio nella sua interezza, dobbiamo insistere perchè magistratura e forze dell’ordine, predispongano una nuova verifica sugli indici di radioattività presenti nelle aree in questione».

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